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TAURIANOVA (RC), SABATO 27 APRILE 2024

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Un cuore in subbuglio Fibrillazione atriale: lo stato di agitazione delle cellule cardiache

Un cuore in subbuglio Fibrillazione atriale: lo stato di agitazione delle cellule cardiache
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di Natalia Gelonesi


“Stasera esco col tipo della palestra, sono in fibrillazione”. “Tra un po’ ho quel colloquio di lavoro, sto già in fibrillazione”. “Domani si parte per la vacanza, sono in fibrillazione”.
Quante volte avete usato l’espressione “sono in fibrillazione” senza sapere esattamente di cosa stavate parlando? Tranquilli, sono qui per spiegarvelo, così magari la prossima volta usate qualche altro modo di dire. Oppure vi fate una camomilla.
Poi vi riferite alla fibrillazione atriale o alla fibrillazione ventricolare? No, perché c’è una bella differenza, sapete? Nel secondo caso, se vi trovate davanti allo specchio con le vostre paranoie e dall’armadio non esce qualcuno con un defibrillatore a scaricarvi addosso un po’ di corrente, siete praticamente già morti. Niente vacanza, niente lavoro nuovo, niente appuntamento. In quest’ultimo caso non vi sareste persi niente, ve lo dico io. Al massimo il solito narciso che poi vi avrebbe “scaricato”. Meglio i 300 joule del semiautomatico. Oggi però mi sento positiva e quindi parlerò solo della sorella “buona” delle due, la fibrillazione atriale.
Per capire di cosa si tratta vi chiedo un piccolo sforzo di memoria perché dobbiamo andare a recuperare qualche concetto chiave esposto nel pezzo sui disturbi del ritmo (questa è pure una prova per vedere se siete attenti). Parlando di extrasistolia abbiamo imparato che, nel sistema di fili elettrici che attraversa il cuore e conduce l’impulso, esiste un interruttore chiamato “segnapassi” che si accende da solo, in modo automatico, tot volte al minuto, e , come un bravo direttore d’orchestra, dà il ritmo a tutta la banda di cellule cardiache che lo seguono e si accendono alla stessa frequenza.
Ora, ogni tanto, questa forma di autarchia, questo timone affidato esclusivamente a un solo gruppo di cellule, agli altri componenti della banda non garba troppo. Quindi può succedere che alcuni gruppi di cellule sovversive decidano di ammutinarsi e “accendersi” ognuno per conto loro in modo caotico e disordinato. Praticamente sono i black bloc dell’impulso che, sventolando bandiere inneggianti lo slogan #noritmosinusale, si muovono all’interno dell’atrio al grido di “spacchiamo tutto, facciamo bordello” . Il risultato di questa manifestazione di protesta si concretizza in una contrazione disorganizzata dell’atrio con un numero altissimo di impulsi al minuto. Per fortuna, anche il cuore ha il suo sistema di “forze dell’ordine”. In un punto strategico, situato tra atrio e ventricolo, è posta un’altra struttura altamente specializzata chiamata “nodo atrioventricolare”, una vera e propria dogana. Le cellule che lo costituiscono respingono a manganellate parte degli impulsi provenienti dall’atrio e ne fanno passare solo alcuni. E menomale. Immaginate cosa succederebbe se 400 o 600 di questi black bloc raggiungessero tutti il ventricolo. Avremmo una frequenza di 600 battiti al minuto, e per il cuore non sarebbe proprio una passeggiata di salute. Questa selezione determina quella che si chiama “risposta ventricolare”, ovvero la quota di impulsi che arriva al ventricolo determinando la frequenza cardiaca. Inoltre, la caratteristica della fibrillazione è un ritmo irregolare: gli impulsi che vengono “condotti” al ventricolo passano in modo random, senza rispettare un intervallo temporale. In pratica questo si traduce in un tipico elettrocardiogramma e, dal punto di vista clinico, in un battito irregolare. Ma perché succede tutto questo manicomio? A volte le cause sono da ricercare in una patologia organica del cuore, ad esempio una “valvulopatia”, cioè un disturbo di una valvola che a lungo andare sfianca l’atrio, lo ingrandisce e lo predispone alla formazione di questa anarchia elettrica. Altre cause possibili sono rappresentate da patologie della tiroide, ipertensione, cardiopatia ischemica. Esiste anche una percentuale di casi in cui non è possibile riconoscere una causa precisa quindi si parla di fibrillazione “idiopatica”. Idiopatica è un termine molto usato in medicina che si può banalmente tradurre con “malattiedicuinonabbiamocapitounaccidenti”.
Ma torniamo al dunque: come si manifesta e cosa facciamo per farla passare?
La manifestazione più frequente, quella su cui contiamo tutti per non trovarci a fare interrogatori da cui non se ne esce più, è il “cardiopalmo”, ovvero la sensazione di battito accelerato, con il cuore che a un certo punto, mentre uno se ne sta tranquillo sul divano o sbriga le sue faccende, inizia a battere all’impazzata. Talora si possono associare vertigini, senso di costrizione alla gola, sudorazione, malessere, e, in alcuni casi, la fibrillazione o non viene avvisata o si presenta con questi sintomi un po’ aspecifici. Noi, ovviamente, siamo tutti più contenti se ci consegnate su un vassoio d’argento un bel cardiopalmo secco.
Perché è quello che ci aiuta ad identificare il momento preciso in cui è insorta l’aritmia. E lo vogliamo sapere, non per farci i fatti vostri, ma perché è fondamentale per guidarci nella terapia da scegliere e nella gestione del problema.
Infatti, se l’aritmia è insorta da meno di 48 ore possiamo tentare di farla passare con una “cardioversione farmacologica”, cioè somministrando dei farmaci endovena sotto monitoraggio elettrocardiografico. Se invece il disturbo è venuto venerdì sera, sabato sono stato in campagna, domenica c’era il pranzo con la zia, lunedì il medico non c’era, martedì (possibilmente alle tre di notte) quasi quasi vado in pronto soccorso, possiamo fare poco per voi.
Al massimo possiamo somministrare dei farmaci che riducono ulteriormente la risposta ventricolare, quindi la frequenza, aiutandovi a stare meglio, e poi ci rivediamo tra tre settimane.
Non è per cattiveria, perché vi siete ricordati di venire proprio quando c’ero io di turno, davvero. E’ perché, se il cuore è da più di due giorni in fibrillazione, tornando a un ritmo normale, c’è la possibilità che si formino dei trombi (sì, sempre loro!) che poi vengono immessi in circolo andando ad occludere le arterie cerebrali e determinando un ictus.
Invece voi in queste tre settimane prenderete un farmaco che renderà il sangue più fluido (anticoagulante), impedendo la formazione di ‘sti benedettissimi trombi e poi tornerete da noi, più fluidi e anticoagulati che mai. E allora sì che potremo tentare di ripristinare il ritmo sinusale, come quando si formatta il tablet e si torna alle impostazioni di fabbrica.
Si parla di tentativo perché non è proprio matematico che l’operazione funzioni. Cioè, se siete come il mio tablet che ho formattato circa venti volte senza risolvere niente, forse, è il caso che vi rassegniate a convivere con un’aritmia cronica. Ci sono convivenze peggiori, non disperate.
Comunque, si era detto positività, quindi facciamo che il tentativo riesce e il ritmo sinusale si mantiene.
Adesso viene il bello. La cardioversione farmacologica l’abbiamo riservata a chi è stato solerte ed è arrivato subito, per i ritardatari il trattamento è rappresentato dalla “cardioversione elettrica”, quella che in genere i pazienti la chiamano “la scossa”. Che uno pensa di vedersi arrivare le letterine di Carlo Conti che improvvisando un balletto in abiti succinti risolvono l’aritmia. Invece il massimo che vi potete trovare davanti siamo noi disgraziate vestite da grande puffo. Dopo aver effettuato un po’ di sedazione vengono applicate delle piastre sul torace e viene emessa una “scarica” di corrente che va a “resettare” i circuiti patologici, responsabili della fibrillazione, riportando il ritmo a una situazione di normalità. Alla fine è meno traumatico di quel che potrebbe sembrare, anche se non ci sono le ballerine.
Adesso? Siete ancora in fibrillazione?