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TAURIANOVA (RC), GIOVEDì 25 APRILE 2024

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Siamo sotto “dittatura” dei like e non è un’esercitazione, moriremo tutti in odore di Social Basta un "Mi piace", un "Cuore", quando a volte servirebbe una "Mano (ma brava)", a farci sentire migliori

Siamo sotto “dittatura” dei like e non è un’esercitazione, moriremo tutti in odore di Social Basta un "Mi piace", un "Cuore", quando a volte servirebbe una "Mano (ma brava)", a farci sentire migliori

Come Dante nei suoi 700 anni dalla sua dipartita (insieme all’amore platonico di quella donzella dal “colore umile e onesto sanguigno” per Beatrice), mi ritrovai in quella “selva oscuro” o, in questo caso una “cloaca” di dimensioni gigantesche abitata da gente con una gargantuesca fame di apparire. Tali luoghi che il “sommo” Eco prima di morire definì come fucine le quali “Danno diritto di parola a legioni di imbecilli”. Stiamo parlando dei social network come Facebook, Instagram e Twitter, i più noti.
I social network, si legge in un’interessante riflessione di una giovane psicoterapeuta di nome Giuseppina Di Carlo, “sono uno strumento per mantenere le relazioni, condividere chi siamo e, perciò, un modo per ricevere dagli altri conferme sulla nostra identità e su come veniamo percepiti all’esterno”.
Già il grande Ennio Flaiano cinquant’anni fa disse che “Mai epoca fu come questa tanto favorevole ai narcisi e agli esibizionisti. Dove sono i santi? Dovremo accontentarci di morire in odore di pubblicità”, eravamo nel secondo millennio, oggi nel terzo, dovremmo morire in odore di like (sic!).
Che i social hanno abbassato quel livello culturale specie negli intellettuali è cosa nota, in quanto (vedi Eco), il diritto di parola ha consentito di passare dai bar dello sport al social. Con la vituperazione della lingua italiana che ne consegue e i roghi simbolici dei dizionari, come dei libri di grammatica.
Tali strumenti sono diventati dei luoghi di estrema importanza per la condivisione dei nostri momenti della giornata, dai più banali (dipende dai punti di vista), ai più importanti, come un dolore o una gioia (anche in questo caso dipende sempre dai punti di vista). Ci ritroviamo in una pletora di narcisisti e megalomani che per apparire sarebbero capaci in un funerale, ricordando Longanesi, di immedesimarsi nel morto o ad un matrimonio nella sposa.
Da quella ricerca spasmodica, quasi (no, ritiriamo il quasi), maniacale di apparire si cela dietro una sorta di pensiero e di anima simile ad un “coito interrotto”, in molti casi. Un disagio umano, a volte anche estetico, come se la ricerca dell’arca perduta si fosse trasformata in una “cisterna” di scarsa fattura, ma piena delle attestazioni di stima, delle conferme sulla loro “bellezza”, sui loro “addominali (?) a forma di ciambella in galleggiamento perpetuo. O peggio, in una condizione di casting delle vanità.
In questo mare perpetuo degli infiniti imcomprensibili e, diremmo anche impossibili, ci siamo cascati un po’ tutti, chi non ha un profilo social? Chi non ha mai scritto delle baggianate le quali, diversamente, nella vita quotidiana quella che combacia con la realtà dei profumi, degli sguardi non diremmo (o non faremmo) mai.
In questo (triste) orizzonte ci sono politici nazionali, locali che dal pulpito della loro condizione cerebrale formata da neuroni a mo’ di orchestrali stonati dal tempo musicale anarchico nel variopinto mondo in cui vivono. Dove la bellezza dell’essere resta un mistero e tale non ha ancora subito la magia del ranocchio preso d’assalto da un bacio che non è un apostrofo rosa, ma solo un’appendice scritta in una cartella clinica di qualche centro di salute mentale posizionato tra i racconti di Tolken.
Il like è diventata roba seria, ovviamente da studio approfondito dove al contempo stravolge le tombe di Freud e di Jung in un colpo solo. Un turbine di emozioni, a volte quando osservi foto e frasi, quasi da sconquassare ogni stomaco nonché i fianchi dal movimento ridente che subiscono, come sisma di proporzioni indignanti tanto che le braccia si assopiscono verso il basso divenendo legni da pendolo penzolante.
Perché a volte, anzi spesso, quello che manca nei social è la reale percezione della realtà, quella che avida, ma vera, inesorabile ma dura, ridicola (quasi sempre) e impudica la quale fa entrate in gioco quella che comunemente viene definita la “ballata degli sciocchi”, e si sa lo sciocco ha una particolarità, la non consapevolezza dei limiti. Eh sì, limiti che parola, eppure basterebbe poco a capirli, basterebbe non superarli.
(GiLar)