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TAURIANOVA (RC), MARTEDì 23 APRILE 2024

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“Risarcimento processi lunghi: Legge Pinto? No, legge truffa” Mini trattato di Antonio Giangrande, scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie

“Risarcimento processi lunghi: Legge Pinto? No, legge truffa” Mini trattato di Antonio Giangrande, scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie
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Le accuse di Renzi ai magistrati lucani. Il premier alla direzione Pd del 4
aprile 2016: «Non arrivano mai a sentenza. Se è reato sbloccare le opere lo
sto commettendo. Vedo che i giornalisti dicono che ho attaccato la
magistratura. Ma non li sto attaccando, dico solo che non ci vogliono otto
anni per andare a sentenza. Se è reato sbloccare le opere pubbliche, io sono
quello che sta commettendo reato. Ma se si decide che un’opera va fatta nel
1989, c’era ancora il muro di Berlino, 27 anni dopo, lo scandalo non è che
l’emendamento venga approvato ma che si siano buttate delle occasioni». E
ancora: «Io chiedo alla magistratura non solo di indagare ma di arrivare a
sentenza: perché ci sono state indagini sul petrolio in Basilicata con la
stessa cadenza delle Olimpiadi, 2000-2004-2008, ci sono stati anche
arrestati, ma non si è giunto mai a sentenza». All’indomani delle parole del
Presidente del Consiglio Matteo Renzi arriva, dura, la replica del
presidente della sezione della Basilicata dell’Associazione nazionale
magistrati (Anm), Salvatore Colella: «Le dichiarazioni di Renzi sono
inopportune nei tempi ed inconsistenti nei fatti. Inopportune perché
arrivano in un momento molto delicato dell’inchiesta, con un intervento “a
gamba tesa” e le sue insinuazioni sono quantomeno viziate da un interesse di
parte, inconsistenti perché smentite, solo poche ore dopo, da un pesante
verdetto di condanna contro i vertici della Total nel processo “Totalgate”
(dopo 8 anni, con inchiesta nata nel 2008 per mani di Woodcock). Se è vero
che in un paese civile, come dice il Presidente Renzi, “i processi arrivano
a sentenza”, e noi abbiamo dimostrato di saperlo fare – ha continuato l’Anm
lucana – è anche vero che in un Paese civile “il governo rispetta i lavoro
dei magistrati”, sempre, anche quando toccano la propria parte politica. Ci
saremmo aspettati la stessa intransigenza e fermezza di condanna annunciata
dal Presidente in occasione di altre inchieste di rilievo nazionale». Renzi
sceglie Facebook per rispondere alle critiche sulle sue affermazioni sulla
Procura di Potenza: «Oggi leggo che Renzi accusa i magistrati, noi stiamo
incoraggiando i magistrati a fare il più veloce possibile. Non accuso i
magistrati, accuso un sistema che non funziona, voglio mettere in galera i
ladri, per questo incalzo i magistrati perché siano veloci», ha detto Matteo
Renzi in diretta da Palazzo Chigi utilizzando Facebook Mentions.

Ma a prescindere dalla diatriba farsesca, tra parti che si coprono a
vicenda, parliamo dei danni inflitti alla comunità dalle lungaggini
processuali ed a cui nessuno vuol porre rimedio per non inimicarsi “le sacre
toghe”.

Per porre rimedio alle condanne inflitte dalla CEDU il legislatore italiano
ha inventato la Legge Pinto, ossia la legge che, man mano annacquata da
riforme restrittive, è a tutti gli effetti una legge truffa.

Chi è stato coinvolto in un processo – civile, penale, amministrativo,
pensionistico, militare, in una procedura fallimentare o concorsuale ovvero,
a certe condizioni, tributario, ecc. – per un periodo di tempo considerato
«irragionevole», cioè troppo lungo, può richiedere, in base alle
disposizioni della legge 24 marzo 2001, n. 89, meglio conosciuta come “legge
Pinto”, una equa riparazione, cioè un risarcimento del danno allo Stato
italiano, nella misura determinata dalla legge stessa in ragione degli anni
o frazione eccedenti la durata ragionevole.

Secondo l’art. 2-bis, si considera rispettato il termine ragionevole per la
durata del giudizio «se il processo non eccede la durata di tre anni in
primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di
legittimità».

La legge Pinto è stata modificata col D.L.8 aprile 2013, n. 35, convertito
con modificazioni nella L. 6 giugno 2013, n. 64 e col D.L. 22 giugno 2012,
n. 83, con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134. È stata poi
modificata dalla legge di stabilità 2016. L’ammontare effettivo del
risarcimento concesso dipende dalla materia del procedimento e dalla sede
territoriale della Corte: di solito vengono liquidati risarcimenti più alti
per questioni in materia di famiglia o status della persona, per
procedimenti penali o pensionistici, meno per altre questioni; inoltre le
corti d’appello che si trovano al Nord sono, solitamente, più di manica
larga rispetto a quelle del meridione, parallelamente alla differenza del
costo della vita, almeno tendenzialmente. In materia, valgono inoltre le
regole poste dall’art. 2 bis della legge Pinto. Il risarcimento può essere
chiesto anche se il giudizio è terminato con una transazione e cioè mediante
un accordo tra le parti (Cass. 8716/06, Cass. 11.03.05 n. 5398). Il
risarcimento va chiesto con ricorso alla Corte d’Appello territorialmente
competente e viene deciso dalla corte con un decreto che poi va notificato
al ministero, con una procedura simile a quella prevista per l’ingiunzione
di pagamento.

La legge 24 marzo 2001, n. 89 – nota come legge Pinto – (dal nome del suo
estensore, Michele Pinto) è una legge della Repubblica Italiana. Essa
prevede e disciplina il diritto di richiedere un’equa riparazione per il
danno, patrimoniale o non patrimoniale, subìto per l’irragionevole durata di
un processo. La norma nacque come ricorso straordinario in appello qualora
un procedimento giudiziario ecceda i termine di durata ragionevole di un
processo secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), in base
all’art. 13 della Convenzione che prevede il diritto ad un ricorso effettivo
contro ogni possibile violazione della Convenzione. In tal modo, si
introduce un nuovo ricorso interno, che i ricorrenti devono avviare prima di
rivolgersi alla Corte di Strasburgo. Tuttavia le Corti d’Appello
inizialmente non hanno applicato i parametri della CEDU per la definizione
dell’irragionevole durata del processo, ma hanno chiesto ai ricorrenti la
dimostrazione dell’aver subito un danno (cosa che, secondo l’art.6 CEDU, è
incluso nel fatto stesso). Tali casi sono stati quindi ri-appellati alla
Corte CEDU di Strasburgo per scorretta applicazione della Legge Pinto. Nel
2004 la Corte di Cassazione ha stabilito che i giudici nazionali devono
applicare i criteri di Strasburgo nel decidere in casi relativi alla legge
Pinto, senza poter richiedere la prova del danno subito dal ricorrente. La
sentenza Brusco della CEDU ha infine statuito che tutti i casi pendenti a
Strasburgo dal 2001 (sui quali non sia ancora stato dato un giudizio di
ricevibilità da parte della Corte) debbano tornare in Italia per l’appello
interno secondo la legge Pinto. La sentenza Brusco è stata criticata per gli
alti costi processuali presenti nella procedura interna italiana, ed
inesistenti a Strasburgo. L’art. 55 del Dl. 22 giugno 2012 n. 83, contenente
“misure urgenti per la crescita del paese” (c.d. decreto sviluppo del
governo Monti), ha apportato importanti modifiche alla legge, volte a porre
un freno alle richieste di risarcimento. Infatti, la riforma introdotta dal
c.d. DL Sviluppo 2012 è stato profondamente mutato il procedimento delineato
dalla Legge Pinto per permettere un più agevole ed efficace accesso al
giudizio di equa riparazione ed ottenere in tempi più rapidi (che non siano
a loro volta “irragionevoli”) il giusto risarcimento.

1) Non è più investita della decisione la Corte d’Appello in composizione
collegiale. A decidere sarà un giudice monocratico di Corte d’appello con
una procedura modellata su quella del decreto ingiuntivo e quindi, senza
inutili appesantimenti procedurali (a titolo di esempio basti pensare che
per la fissazione dell’udienza, specie avanti le Corti di appello più
oberate, occorrono mesi o anni di attesa).

2) Viene fissato un preciso tetto oltre il quale la lunghezza del processo
diventa “irragionevole” facendo così sorgere il diritto all’equa
riparazione. Il processo non è svolto in termini ragionevoli quando supera i
sei anni (tre anni in primo grado, due in secondo e uno nel giudizio di
legittimità).

3) Sono stati puntualmente fissati gli importi per gli indennizzi
commisurati in 1.500 euro per ogni anno o frazione di anno superiore a sei
mesi che eccedente rispetto al termine di ragionevole durata.

4) In ogni caso la domanda può essere proposta a pena di decadenza entro sei
mesi dalla sentenza definitiva che definisce il giudizio durato oltre il
termine “ragionevole”.

La Legge, 28/12/2015 n° 208, G.U. 30/12/2015, detta “Legge di Stabilità
2016”, introduce rilevanti modifiche alla cosiddetta Legge Pinto (L. n° 89
del 2001) regolamentando alcuni aspetti ma, fondamentalmente, riducendo
ancor di più la possibilità di ottenere l’indennizzo e riducendo, altresì,
la quantificazione dell’indennizzo stesso. Contenimento degli effetti della
Legge Pinto pare essere il leit motiv che, a partire dal corposo intervento
sull’articolato operato dal Governo Monti, contraddistingue ogni intervento
sulla materia.

SCHEMA ESEMPLIFICATIVO.

IL DANNO

Danno da lungaggine del processo per la Cedu: patrimoniale o non
patrimoniale.

Danno da lungaggine del processo per lo Stato Italiano: Forfettario. Prima,
da 500 euro a 1500 euro, dopo, da 400 euro a 800 euro.

IL DIRITTO

Diritto al risarcimento per la CEDU: è incluso nel fatto stesso (onere della
prova a carico dello Stato, an e quantum) senza valutazione ed
interpretazione.

Diritto al risarcimento per lo Stato Italiano: ai ricorrenti tocca la
dimostrazione dell’aver subito un danno (onere della prova a carico dei
ricorrenti, an e quantum) e valutazione data dai magistrati responsabili
essi stessi del danno. Il giudice infatti, nell’accertare l’entità della
violazione valuta: la complessità del caso, l’oggetto del procedimento, il
comportamento delle parti e del giudice collega durante il procedimento,
nonché quello di ogni altro soggetto chiamato a concorrervi o a contribuire
alla sua definizione.

DURATA

Durata ragionevole del processo per la Cedu: ragionevole inteso in senso
oggettivo europeo.

Durata ragionevole del processo per lo Stato Italiano: 3 anni per il primo
grado; due anni per il secondo grado; un anno per il terzo grado. Precisando
che il processo si considera iniziato, nell’ambito dei procedimenti civili,
con il deposito del ricorso o con la notifica dell’atto di citazione;
penali, con l’assunzione della qualità di imputato e non di indagato, di
parte civile o di responsabile civile, ovvero, quando l’indagato ha legale
conoscenza della chiusura delle indagini preliminari.

ITER

Iter risarcitorio per la Cedu: procedimento amministrativo semplificato,
veloce e gratuito.

Iter risarcitorio per lo Stato Italiano: procedimento giudiziario di
competenza dell’ordine professionale foriero del danno attivato. Prima
presso la Corte di Appello competente ex art. 11 c.p.p., poi, presso la
Corte di Appello foriera del danno in composizione monocratica ed inaudita
altera parte. Le nuove norme assicurano senz’altro una più equilibrata ed
efficiente distribuzione dei carichi di lavoro (condizione indispensabile
per evitare il moltiplicarsi di procedimenti c.d. “Pinto bis”o, perfino,
“Pinto ter”!), ma determinano anche un grave vulnus ai principi
costituzionali di terzietà ed imparzialità della magistratura, che, per
accrescere la fiducia dei consociati nel sistema giustizia, richiedono di
essere perseguiti e realizzati anche semplicemente sul piano dell’apparenza.

ATTIVAZIONE

Attivazione dell’iter per la Cedu: semplice domanda.

Attivazione per lo Stato Italiano: Prima semplice ricorso giudiziario, dopo
una domanda modellata sulla forma del ricorso per ingiunzione di pagamento.

GRAVOSITA’ DELL’ONERE DELLA PROVA

Onere della prova per la Cedu: Fascicolo acquisito d’ufficio.

Onere della prova per lo Stato Italiano: copie fascicolo conformi
all’originale con oneri di bollo e diritti.

DIFFICOLTA’ ARTEFATTE

Intoppi ed ostacoli per la Cedu: nessuno.

Intoppi ed ostacoli per lo Stato Italiano: La novità più rilevante consiste
nella introduzione del concetto di “rimedio preventivo”; la parte deve
dimostrare fattivamente di avere intrapreso le strade più brevi per
l’ottenimento della sentenza, attraverso istanze di accelerazione, (insomma,
solo se ha chiesto al giudice di accelerare in ogni modo la causa, come se
fosse colpa sua e non del sistema che scricchiola), istanze di prelievo,
riunione delle cause, utilizzo di riti sommari, trattazione orale ex art.
281-sexies, ecc. Gli esperti sostengono che sul versante civile questa
clausola potrebbe portare ad una situazione drammatica: la rinuncia al rito
ordinario e la decisione allo stato degli atti, questa la dizione tecnica,
col rischio di perdere la causa. Fondamentale la regola introdotta dal prima
comma dell’art. 2 secondo la quale “È inammissibile la domanda di equa
riparazione proposta dal soggetto che non ha esperito i rimedi preventivi
all’irragionevole durata del processo di cui all’articolo 1-ter”.

TERMINE DELLA DOMANDA

Termine della domanda per la Cedu: ragionevole.

Termine della domanda per lo Stato Italiano: In ogni caso la domanda deve
essere proposta a pena di decadenza entro sei mesi dalla sentenza definitiva
che definisce il giudizio durato oltre il termine “ragionevole”.

PAGAMENTO

Pagamento per la Cedu: immediato e semplice.

Pagamento per lo Stato Italiano: gli indennizzi potranno essere erogati
entro il limite delle risorse disponibili di un apposito capitolo del
ministero della Giustizia. Per fortuna sarà possibile un‘anticipazione di
tesoreria, ma solo nel caso venga attivata l’esecuzione forzata. In quel
caso sarà Banca d’Italia a provvedere registrando il pagamento in “conto
sospeso” in attesa che il ministero regolarizzi la partita contabile non
appena abbia le risorse per farlo. Con l’introduzione del nuovo art.
5-sexies viene completamente regolamentata a nuovo la fase del pagamento. Vi
è ora la necessità di formulare ripetutamente una istanza che potremo
chiamare di precisazione del credito con la quale si ricorda allo Stato che
non ha ancora pagato.

TERMINI DEL PAGAMENTO

Termini ragionevoli di adempimento per la Cedu: due anni.

Termini ragionevoli di adempimento per lo Stato Italiano (Pinto su Pinto):
prima 4 mesi, dopo, 6 anni ordinari, dopo le pronunzie giurisprudenziali, 2
anni e tre anni. 2 anni. La Corte di Cassazione, sesta sezione civile, con
sentenza n. 8283/2012, è intervenuta, limitando a due anni la durata
massima, fra appello e Cassazione, entro cui deve concludersi il processo ex
lege Pinto, istaurato al fine di ottenere l’equo ristoro per i danni subiti
da un “processo lumaca”. Superato tale limite la vittima ha diritto a
ottenere un secondo e differente ristoro. Infine 2 anni, primo grado, 1
anno, legittimità. I giudizi risarcitori per irragionevole durata del
processo devono essere molto più che “di ragionevole durata”. E’ quanto si
ricava dalla sentenza n. 36 del 19 febbraio 2016, con la quale la Corte
Costituzionale si è pronunciata in merito alla cd. “legge Pinto” (legge n.
89/2001). Tuttavia, con impeto chiaramente burocratico, teso a creare un
percorso ad ostacoli, si prescrive che “nel caso di mancata, incompleta o
irregolare trasmissione della dichiarazione o della documentazione di cui ai
commi precedenti, l’ordine di pagamento non può essere emesso”.
L’amministrazione provvede al pagamento nel termine di sei mesi. In questo
periodo “… i creditori non possono procedere all’esecuzione forzata, alla
notifica dell’atto di precetto, né proporre ricorso per l’ottemperanza del
provvedimento”.

SANZIONI

Sanzioni per la Cedu: nessuna, se non la pronuncia di rigetto della domanda.

Sanzioni per lo Stato Italiano: qualora infatti la domanda sia, agli occhi
del giudicante, inammissibile o manifestamente infondata, il ricorrente
potrà essere condannato al pagamento di una somma non inferiore a 1000 euro
e non superiore a 10.000 euro in favore della Cassa delle Ammende! Tutto
“merito” del legislatore italiano, che – con un decreto legge! – è riuscito
a trasformare un diritto tutelato dalla Corte europea dei Diritti dell’uomo
in un nuovo eventuale introito per le Casse dello Stato!!

Dr Antonio Giangrande