di Natalia Gelonesi
E’ stato molto più di un concerto l’esibizione di Caparezza al PalaCalafiore di Reggio Calabria, ieri sera. Uno spettacolo fatto di ritmi coinvolgenti, effetti scenici grotteschi e bizzarri, coreografie coinvolgenti e musiche trascinanti. Quasi un musical. E al centro di tutto lui: Michele Salvemini, questo ragazzone pugliese con una massa di capelli ricci e scuri che non ha smesso un attimo di dar vita alle sue gambe e alla sua particolare voce, tenendo in stato ipnotico il pubblico. Bisogna essere un po’ Caparezza per amare Caparezza, al di là dei gusti musicali: bisogna avere la testa un po’ annodata da pensieri, inquietudini, dubbi, senso critico.
Bisogna avere quel senso profondo di giustizia sociale e di intolleranza per tutto ciò che è conformismo, convenzione, etichetta. Bisogna sentirsi un po’ soli e diversi, un po’ pesci fuor d’acqua in questa società spietata dove ogni giorno i valori più elementari vengono calpestati in nome del profitto e del successo. E’ così che i suoi ritmi trascinanti e coinvolgenti non solo ti fanno ballare, saltare e cantare a squarciagola, ma ti entrano dentro, toccando le corde più profonde del tuo sentire. Prisoner 709 è il nome del suo tour e lo spettacolo è un viaggio metaforico dalla prigionia all’evasione. Dalle prigioni mentali e dalla negatività che ci attanagliano, fino alle soluzioni per trovare una via d’uscita ed entrare in contatto con la libertà.
L’artista ci fa dono della sua personale strada: non esistono destinazioni, mete particolari, viaggi strani in cui ritrovarsi: il cambiamento avviene sempre da dentro. E la sua cura, la sua chiave per forzare le prigioni dell’anima è la penna, la scrittura, la musica, come ci racconta nella splendida “ChinaTown” (leggi kina, come china, inchiostro). Del resto, ipersensibilità e scrittura vanno di pari passo e sono funzionali una all’altra.
Dalle canzoni del nuovo album, con la ballatissima e coloratissima “Ti fa stare bene” a un salto indietro nel tempo, con gli ormai cult “Fuori dal Tunnel” e “Vieni a ballare in Puglia”, passando da “Mica Van Gogh”, omaggio al genio di un artista considerato folle (ma poi, chi decide cosa sia la follia?), è stato un crescendo di emozioni, entusiasmo, spettacolarità.
Viene poi da chiedersi se i veri “prisoners” siano quelli che soffrono per questa diversità e incapacità di adeguarsi a un mondo senza scrupoli o, piuttosto, se siano quelli che del potere e della smania di successo sono schiavi, con un debito perenne verso chi, scavalcando la logica del merito, ha consegnato loro uno scettro effimero e fasullo, rendendoli vittime di un modo di vivere “tristemente divertente”. A Michele il nostro grazie, per averci fatto passare una serata splendida, lasciando fuori dal palazzetto paturnie e negatività e per aver dato voce a tutti noi che veniamo un po’ dalla Luna, ma che, fortunatamente, ci sentiamo persone libere.