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“Tutti dentro, cazzo!”

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Editoriale di Antonio Giangrande

“Tutti dentro, cazzo!”

Editoriale di Antonio Giangrande

 

 

E’ celebre il “vada a bordo, cazzo” del comandante De Falco. L’Italia
paragonata al destino ed agli eventi che hanno colpito la nave Concordia.
Parafrasando la celebre frase di De Falco mi rivolgo a tutti gli italiani:
“”TUTTI DENTRO CAZZO!!”. Il tema è “chi giudica chi?”. Chi lo fa, ha
veramente una padronanza morale, culturale professionale per poterlo fare?
Iniziamo con il parlare della preparazione culturale e professionale di
ognuno di noi, che ci permetterebbe, in teoria, di superare ogni prova di
maturità o di idoneità all’impiego frapposta dagli esami scolastici o dagli
esami statali di abilitazione o di un concorso pubblico. In un paese in cui
vigerebbe la meritocrazia tutto ciò ci consentirebbe di occupare un posto di
responsabilità. In Italia non è così. In ogni ufficio di prestigio e di
potere non vale la forza della legge, ma la legge del più forte. Piccoli
ducetti seduti in poltrona che gestiscono il loro piccolo potere incuranti
dei disservizi prodotti. La massa non è li ha pretendere efficienza e
dedizione al dovere, ma ad elemosinare il favore. Corruttori nati. I
politici non scardinano il sistema fondato da privilegi secolari. Essi
tacitano la massa con provvedimenti atti a quietarla. Panem et circenses,
letteralmente: “pane e giochi del circo”, è una locuzione in lingua latina
molto conosciuta e spesso citata. Era usata nella Roma antica. Perché quel
“TUTTI DENTRO CAZZO!!”. Perché la legge dovrebbe valere per tutti. Non
applicata per i più ed interpretata per i pochi. E poi mai nessuno, in
Italia, dovrebbe permettersi di alzare il dito indice ed accusare qualcun
altro della sua stessa colpa. Prendiamo per esempio la cattiva abitudine di
copiare per poter superare un prova, in mancanza di una adeguata
preparazione. Ognuno di noi almeno un volta nella vita ha copiato. In
principio era la vecchia “cartucciera” la fascia di stoffa da stringere in
vita con gli involtini a base di formule trigonometriche, biografie del
Manzoni e del Leopardi, storia della filosofia e traduzioni di Cicerone. Poi
il vocabolario farcito d’ogni foglio e foglietto, giubbotti imbottiti di
cultura bignami e addirittura scarpe con suola manoscritta. Oggi i metodi
per “aiutarsi” durante gli esami sono più tecnologici: il telefonino, si sa,
non si può portare, ma lo si porta lo stesso. Al massimo, se c’è la
verifica, lo metti sul tavolo della commissione. Quindi non è malsana
l’idea dell’iPhone sul banco, collegato a Wikipedia e pronto a rispondere ad
ogni quesito nozionistico. Comunque bisogna attrezzarsi, in maniera
assolutamente diversa. La rete e i negozi di cartolibreria vendono qualsiasi
accrocchio garantendo si tratti della migliore soluzione possibile per
copiare durante le prove scritte. C’è ad esempio la penna UV cioè a raggi
ultravioletti scrive con inchiostro bianco e si legge passandoci sopra un
led viola incluso nel corpo della penna. Inconveniente: difficile non far
notare in classe una luce da discoteca. Poi c’è la cosiddetta
penna-foglietto: nel corpo della stilo c’è un foglietto avvolto sul quale si
è scritto precedentemente formule, appunti eccetera. Foglietto che in men
che non si dica si srotola e arrotola. Anche in questo caso l’inconveniente
è che se ti sorprendono sono guai. E infine, c’è l’ormai celebre
orologio-biglietto col display elettronico e una porta Usb sulla quale
caricare testi d’ogni tipo. Pure quello difficile da gestire: solo gli
artisti della copia copiarella possono.

Il consiglio è quello di studiare e non affidarsi a trucchi e trucchetti. Si
rischia grosso e non tutti lo sanno. Anche perché il copiare lo si fa
passare per peccato veniale. Copiare ad esami e concorsi, invece, potrebbe
far andare in galera. E’ quanto stabilito dalla legge n. 475/1925 e dalla
sentenza della Corte di Cassazione n. 32368/10. La legge recita all’art.1
:”Chiunque in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorità o
pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro
grado o titolo scolastico o accademico, per l’abilitazione all’insegnamento
ed all’esercizio di una professione, per il rilascio di diplomi o patenti,
presenta, come propri, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici
e, in genere, lavori che siano opera di altri, è punito con la reclusione da
tre mesi ad un anno. La pena della reclusione non può essere inferiore a sei
mesi qualora l’intento sia conseguito”. A conferma della legge è intervenuta
la Corte di Cassazione con la sentenza n.32368/10, che ha condannato una
candidata per aver copiato interamente una sentenza del TAR in un elaborato
a sua firma presentato durante un concorso pubblico. La sentenza della
sezione VI penale n. 32368/10 afferma: “Risulta pertanto ineccepibile la
valutazione dei giudici di merito secondo cui la (…) nel corso della prova
scritta effettuò, pur senza essere in quel frangente scoperta, una
pedissequa copiatura del testo della sentenza trasmessole (…). Consegue che
il reato è integrato anche qualora il candidato faccia riferimento a opere
intellettuali, tra cui la produzione giurisprudenziale, di cui citi la
fonte, ove la rappresentazione del suo contenuto sia non il prodotto di uno
sforzo mnemonico e di autonoma elaborazione logica ma il risultato di una
materiale riproduzione operata mediante l’utilizzazione di un qualsiasi
supporto abusivamente impiegato nel corso della prova”.

In particolare per gli avvocati la Riforma Forense, legge 247/2012, al CAPO
II (ESAME DI STATO PER L’ABILITAZIONE ALL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE DI
AVVOCATO) Art. 46. (Esame di Stato) stabilisce che “….10. Chiunque faccia
pervenire in qualsiasi modo ad uno o più candidati, prima o durante la prova
d’esame, testi relativi al tema proposto è punito, salvo che il fatto
costituisca più grave reato, con la pena della reclusione fino a tre anni.
Per i fatti indicati nel presente comma e nel comma 9, i candidati sono
denunciati al consiglio distrettuale di disciplina del distretto competente
per il luogo di iscrizione al registro dei praticanti, per i provvedimenti
di sua competenza.”

Ma, di fatto, quello previsto come reato è quello che succede da quando
esiste questo tipo di esame e vale anche per i notai ed i magistrati.
Eppure, come ogni altra cosa italiana c’è sempre l’escamotage tutto
italiano. Una sentenza del Consiglio di Stato stabilisce che copiare non è
reato: niente più punizione. Dichiarando tuttavia “legale” copiare a scuola,
si dichiara pure legale copiare nella vita. Non viene sanzionato un
comportamento che è senza dubbio scorretto. Secondo il Consiglio di Stato,
il superamento dell’esame costituisce di per sè attestazione delle
“competenze, conoscenze e capacità anche professionali acquisite”
dall’alunna e la norma che regola l’espulsione dei candidati dai pubblici
concorsi per condotta fraudolenta, non può prescindere “dal contesto
valutativo dell’intera personalità e del percorso scolastico dello studente,
secondo i principi che regolano il cosiddetto esame di maturità”: le
competenze e le conoscenze acquisite….in relazione agli obiettivi generali e
specifici propri di ciascun indirizzo e delle basi culturali generali,
nonché delle capacità critiche del candidato. A ciò il Cds ha anche aggiunto
un’attenuante, cioè “uno stato d’ansia probabilmente riconducibile anche a
problemi di salute” della studentessa stessa, che sarebbe stato alla base
del gesto. Il 12 settembre 2012 una sentenza del Consiglio di Stato ha
ribaltato la decisione del Tar della Campania che aveva escluso dagli esami
di maturità una ragazza sorpresa a copiare da un telefono palmare. Per il
Consiglio di Stato la decisione del Tar non avrebbe adeguatamente tenuto
conto né del “brillante curriculum scolastico” della ragazza in questione,
né di un suo “stato di ansia”. Gli esami, nel frattempo, la giovane li aveva
sostenuti seppur con riserva. L’esclusione della ragazza dagli esami sarà
forse stata una sanzione eccessiva. Probabilmente la giovane in questione,
sulla base del suo curriculum poteva esser perdonata. Gli insegnanti,
conoscendola e comprendendo il suo stato d’ansia pre-esame, avrebbero potuto
chiudere un occhio. Tutto vero. Ma sono valutazioni che spettavano agli
insegnanti che la studente conoscono. Una sentenza del Consiglio di Stato
stabilisce invece, di fatto, un principio. E in questo caso il principio è
che copiare vale. Non è probabilmente elegante, ma comunque va bene. Questo
principio applicato alla scuola, luogo in cui le generazioni future si
forgiano ed educano, avrà ripercussioni sulla società del futuro. Se ci
viene insegnato che a non rispettar le regole, in fondo, non si rischia
nulla più che una lavata di capo, come ci porremo di fronte alle regole
della società una volta adulti? Ovviamente male. La scuola non è solo il
luogo dove si insegnano matematica e italiano, storia e geografia. Ma è
anche il luogo dove dovrebbe essere impartito insegnamento di civica
educazione, dove si impara a vivere insieme, dove si impara il rispetto
reciproco e quello delle regole. Dove si impara a “vivere”. Se dalla scuola,
dalla base, insegniamo che la “furbizia” va bene, non stupiamoci poi se chi
ci amministra si compra il Suv con i soldi delle nostre tasse. In fondo
anche lui avrà avuto il suo “stato d’ansia”. Ma il punto più importante non
è tanto la vicenda della ragazza sorpresa a copiare e di come sia andata la
sua maturità. Il punto è la sanzionabilità o meno di un comportamento che è
senza dubbio scorretto. In un paese già devastato dalla carenza di etica
pubblica, dalla corruzione e dall’indulgenza programmatica di molte vulgate
pedagogiche ammantate di moderno approccio relazionale, ci mancava anche la
corrività del Consiglio di Stato verso chi imbroglia agli esami.

E, comunque, vallo a dire ai Consiglieri di Stato, che dovrebbero già
saperlo, che nell’ordinamento giuridico nazionale esiste la gerarchia della
legge. Nell’ordinamento giuridico italiano, si ha una pluralità di fonti di
produzione; queste sono disposte secondo una scala gerarchica, per cui la
norma di fonte inferiore non può porsi in contrasto con la norma di fonte
superiore (gerarchia delle fonti). nel caso in cui avvenga un contrasto del
genere si dichiara l’invalidità della fonte inferiore dopo un accertamento
giudiziario, finché non vi è accertamento si può applicare la “fonte
invalida”. Al primo livello della gerarchia delle fonti si pongono la
Costituzione e le leggi costituzionali (fonti superprimarie). Al di sotto
delle leggi costituzionali si pongono i trattati internazionali e gli atti
normativi comunitari, che possono presentarsi sotto forma di regolamenti o
direttive. I primi hanno efficacia immediata, le seconde devono essere
attuate da ogni paese facente parte dell’Unione europea in un determinato
arco di tempo. A queste, si sono aggiunte poi le sentenze della Corte di
Giustizia Europea “dichiarative” del Diritto Comunitario (Corte Cost. Sent.
n. 170/1984). Seguono le fonti primarie, ovvero le leggi ordinarie e gli
atti aventi forza di legge (decreti legge e decreti legislativi), ma anche
le leggi regionali e delle provincie autonome di Trento e Bolzano. Al di
sotto delle fonti primarie, si collocano i regolamenti governativi, seguono
i regolamenti ministeriali e di altri enti pubblici e all’ultimo livello
della scala gerarchica, si pone la consuetudine, prodotta dalla ripetizione
costante nel tempo di una determinata condotta, sono ammesse ovviamente solo
consuetudini secundum legem e praeter legem non dunque quelle contra legem.
Pare che molte consuetudini sono contra legem e pervengono proprio da coloro
che dovrebbero dettare i giusti principi.

Dr Antonio Giangrande

Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia