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TAURIANOVA (RC), VENERDì 03 MAGGIO 2024

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Nasce il manifesto per un nuovo soggetto politico

Nasce il manifesto per un nuovo soggetto politico

E’ quanto ideato da un gruppo di intellettuali

Nasce il manifesto per un nuovo soggetto politico

E’ quanto ideato da un gruppo di intellettuali

 

 

Riceviamo e pubblichiamo:

Un gruppo di intellettuali e di persone impegnate in una vasta rete di associazioni e movimenti ha firmato un manifesto politico-culturale “per un soggetto politico nuovo, per un’altra politica, nella forma, nei contenuti e nelle passioni”.

In un lungo testo (lo trovate in versione integrale sui siti http://www.soggettopoliticonuovo.it/; http://www.sinistraeuromediterranea.it) gli estensori sostengono che non c’è più né tempo, né speranza di cambiare i partiti esistenti, essi stessi causa della crisi di partecipazione e democrazia che dovrebbero affrontare e risolvere.

Non a caso i sondaggi fermano l’indice di gradimento degli italiani nei loro confronti ad un misero 4%.

Per affrontare in modo adeguato i mille problemi che la crisi di sistema scarica addosso a milioni di uomini e donne, ad interi Paesi, si impone con urgenza un ricambio profondo. Necessitano altre forme e altri strumenti per ridare senso ed efficacia alla politica, altri uomini e donne che se ne facciano carico, altre ragioni, altre passioni, altri sentimenti.

Un altro progetto di società, altri rapporti produttivi ed economici che muovano dal disarmo della finanza e si sviluppino sulla lunghezza d’onda della cooperazione piuttosto che su quella della competitività selvaggia propria del modello dominante.

I contenuti che animano questo Manifesto emergono, infatti, dall’irrompere sulla scena della Categoria dei Beni Comuni che con i referendum dello scorso anno segna clamorosamente un’inversione di rotta di sistema di cui i partiti esistenti, anche quelli che i referendum hanno sostenuto, non sono stati di coglierne essenza e profondità.

Eppure questa categoria già emersa ed affrontata nei lavori della Commissione Rodotà sui Beni Pubblici del 14 luglio 2007, aveva evidenziato come un bene comune che si definisce tale, perché necessario a garantire diritti fondamentali ed inalienabili delle persone, non possa in alcun modo essere assoggetto a nessuna forma di diritto proprietario esistente e la sua gestione non sopporta logiche e vincoli di mercato di sorta.

Un’affermazione densa di implicazioni non solo sul versante giuridico, ma sullo stesso assetto fondamentale della democrazia liberale che reclama, come emerso nel Forum di Napoli dello scorso 28 gennaio, per la costruzione di una rete di comuni per i beni comuni, l’apertura di una nuova fase costituente dal basso, di forme nuove e vincolanti di partecipazione che facciano uscire la democrazia rappresentativa ed i partiti del novecento che l’hanno animata, dalla crisi mortale che attraversa entrambi.

Come è noto a tutti, c’è in Occidente, e soprattutto in Italia, un crescente distacco tra i partiti ed i cittadini che si sta trasformando in un baratro. Una situazione estremamente pericolosa che sta degenerando nell’antipolitica in cui insieme ai partiti si buttano a mare i principi fondanti del nostro ordinamento costituzionale, della nostra stessa democrazia. Il cosiddetto “governo tecnico” è un segno dei tempi che viviamo in cui è prevalsa una nuova religione – il dio mercato – ed un pensiero “unico” che si identifica con la scienza economica neoliberista, a cui viene ridotta la complessità della vita sociale. Dopo un iniziale vasto consenso il governo del Prof. Monti sta cominciando a svelare la vera natura della sua missione: rendere solvibile l’Italia e ripagare i debiti contratti con l’estero (900 miliardi di euro in titoli di Stato) e posseduti soprattutto dalle grandi banche e dai fondi speculativi. Per farlo ci si affida alle virtù terapeutiche di un mercato “liberato da lacci e lacciuoli”, da diritti dei lavoratori e spese per il welfare, in modo tale da far ripartire la crescita. A pagare sono e saranno sempre più i ceti popolari e medi, i lavoratori dipendenti e le piccole imprese, insomma la stragrande maggioranza degli italiani. Non vengono toccati i grandi patrimoni né le rendite finanziarie, ancor meno le grandi banche che anzi vengono in tutti modi agevolate ad uscire dall’impasse causata dai titoli “tossici” di cui erano piene malgrado le rassicurazioni del mago Tremonti.

Purtroppo, la linea di politica economica e sociale di questo governo sta solo spostando in avanti il momento del default, perché non solo non affronta di petto la questione del “debito esterno”, ma addirittura sta provocando un aumento del rapporto debito/Pil passato dal 119% al momento dell’arrivo di Monti al 121% di oggi e ad un prevedibile 125% alla fine dell’anno. I cittadini hanno sempre meno soldi da spendere, le piccole e medie imprese sono strozzate dalle banche, il Pil scende velocemente mentre lo stock del debito aumenta. Come se ne esce?

Non bastano più piccoli aggiustamenti, l’eterno ritornello delle “riforme”, ma scelte radicali per salvare la vita dei cittadini e non i portafogli delle banche. Per questo abbiamo bisogno di più democrazia, di più partecipazione, di assicurare a tutti l’usufrutto dei Beni Comuni, sganciandoli dalle mere logiche di mercato. Ma, abbiamo altresì bisogno di innovazione nelle istituzioni che garantiscano trasparenza e partecipazione, ma anche un ruolo attivo nell’indirizzare la produzione verso la conversione ecologica, come grande occasione anche per offrire nuove opportunità di lavoro dotato di senso.

Tutte queste considerazioni sono alla base del Manifesto per il nuovo soggetto politico richiamato in apertura.

Un soggetto che nasce per mettere in campo un’altra Italia (quella della Carta di Teano dell’ottobre 2010) e lavorare per un’altra Europa con un progetto ambizioso ed un vasto programma, che non sia la ripetizione dei vecchi schemi partitici, ma nasca e cresca per aggregazioni dal basso e sperimentazioni nelle realtà locali. Da tempo si è infatti capito che non è possibile, né utile rimettere insieme i cocci delle mille frammentazioni della vecchia sinistra. Ci vuole altro. Da qui il Manifesto, redatto da una serie di intellettuali impegnati da sempre nel campo culturale e sociale, dagli animatori di una rete vasta di associazioni e movimenti che punta a rilanciare l’impegno politico dei cittadini, cambiare il nostro modello di sviluppo insostenibile e colmare il vuoto che si è determinato e che rischia di ingoiare la stessa democrazia.

Da qui un soggetto che:

1. “vuole rompere con il modello novecentesco del partito, introducendo nuove regole e pratiche: trasparenza non segretezza, semplicità non burocrazia, potere distribuito non accentrato, servizio non carrierismo, eguaglianza di genere non enclavi maschili, direzione e coordinamento collettivo e ruotante, non di singoli individui carismatici.

2. vuole rompere con il modello neo liberista europeo che vuole privatizzare a tutti i costi, che non ha alcuna cultura dell’eguaglianza, che minaccia a morte lo stato sociale e la sicurezza del posto del lavoro, insistendo invece sulla centralità dei beni comuni, la loro inalienabilità, la loro gestione democratica e partecipata.

3. vuole rompere con la visione ristretta della politica, tutta concentrata sul parlamento e i partiti e lavorare invece per un nuovo spazio pubblico allargato, dove la democrazia rappresentativa e quella partecipata lavorano insieme, dove la società civile e i bisogni dei cittadini sono accolti e rispettati.

4. riconosce l’importanza della sfera dei comportamenti e delle passioni, rompendo con le pratiche mai esplicitate ma sempre perseguite dal ceto politico attuale: la furbizia, la rivalità, la voglia di sopraffare, il mirare all’interesse personale e mette al loro posto l’ inclusività, l’empatia, la mitezza coniugata con la fermezza”.

A 24 ore della sua pubblicazione è già pervenuta sul sito http://www.soggettopoliticonuovo.it/ un’ondata di 1500 adesioni.

I riferimenti Calabresi del progetto, per quanti/e interessati/e sono:

Il prof. Domenico Gattuso (SEM Reggio Calabria);

domenico.gattuso@unirc.it /

L’Ing. Rosario Puntoriero (SEM Catanzaro)

rosariopunturiero@libero.it

Il Prof. Vincenzo Altomare (SEM Cosenza)

vincenzoaltomare1@libero.it

Tonino Perna – Mimmo Rizzuti

 

1. La politica ormai dalle nostre parti, tende a scomparire, diventando tutte le questioni, questioni economiche prive di alternativa. Il governo Monti può quindi, con eleganza, fare le sue scelte sbagliate, iper-liberiste, recessive e distruttive dei diritti, prima di tutto del lavoro. Scelte da accettare come necessarie, naturali, che nessuno può contestare – meno di tutti i partiti, privi di qualunque legittimazione che non sia il sottogoverno. Perché diritti e democrazia, soprattutto nelle fabbriche, sarebbero un lusso intollerabile, un privilegio dei garantiti, insopportabile discriminazione verso i più giovani. L’uguaglianza della competizione senza garanzie e voce sarebbe la modernità. L’economia liberale, liberata dai vincoli, dovrebbe curare i disastri prodotti dell’economia liberale, liberata da vincoli.

2. Eppure in questi anni abbiamo visto molto altro. Una vitalità della società che ha creato conflitto, ha riempito le piazze del Nord Africa, di Spagna, degli Stati Uniti. In Italia i referendum sono stati le nostre Puerta del Sol. Quando ha trovato dei varchi la società, non solo civile ma politica, li ha riempiti. Anche con il voto e le primarie. L’abbiamo visto a Napoli, Milano, Cagliari, e adesso a Genova, accanto a una figura come don Gallo. Dentro la politica, fuori dai partiti.

E’ a quest’Italia tutt’altro che minoritaria – di Libera, Libertà e Giustizia, Se non ora quando, Fiom e Emergency, movimenti per l’acqua, Val di Susa e comitati di difesa del territorio – che si rivolge questo “manifesto”. A un paese cambiato capace di radicalità e insieme di relazioni ampie e inclusive. A una società che non vuole più delegare e sperare in una autoriforma dei partiti.

È un paese che ha trovato nella dignità del lavoro, nella difesa del suo valore per l’identità collettiva, la radice di una appartenenza alla polis che ha stretto insieme lavoratori e cittadini, donne e uomini, in fabbrica e fuori. Nella categoria dei beni comuni ha identificato gli elementi indispensabili all’esistenza personale e collettiva intorno a cui si costruiscono i diritti essenziali, le relazioni fondamentali per una comunità che non voglia ridursi a somma indistinta di solitudini impaurite e competitive, in cerca di nemici.

3. Per questa società orfana di rappresentanza non c’è più tempo. Non si può più aspettare.

Non intendiamo con questo documento offrire già un quadro programmatico di contenuti e obiettivi. Vogliamo partire dal riconoscimento della crisi in cui viviamo, crisi economica, di cultura e di politica, per porre intanto una questione di metodo e di forme, di civiltà delle relazioni, di ricostruzione di politica e democrazia, indicando una direzione di ricerca: beni comuni, lavoro, critica al neoliberismo. Un’altra via di uscita dalla crisi. Che mette in questione il mito della crescita infinita, la mercificazione della natura e della vita, la possibilità di uno sviluppo senza riconversione ecologica dell’economia, dei consumi, delle relazioni.

La riflessione relativa ai contenuti, ai programmi, alle alleanze, dovrà andare avanti con la costruzione della rete, a partire dal primo incontro nazionale che proponiamo come altra tappa nel processo di costruzione di un soggetto politico nuovo.

4. Si può anche pensare che sia utile la presenza alle prossime elezioni di liste di cittadinanza politica che facciano riferimento a queste riflessioni e costruiscano una rete orizzontale di sperimentazione di un’altra forma della politica. Non con l’obiettivo di ritagliarsi un angolo puro e incontaminato di testimonianza antagonista. Per costruire alleanze, per stare nel centrosinistra se il centrosinistra ci sarà – e sarà qualcosa di decente: non la versione temperata o dolente dello stesso neoliberismo. Non per collocarsi in un ruolo banalmente complementare ai partiti attuali con un’altra sigla che completi l’offerta da esporre sul mercato elettorale. Esattamente il contrario. Essere diverse e diversi, fondarsi su un’altra cultura diffusa per costruire un’altra soggettività politica, con un orizzonte di liberazione, egemonica, maggioritaria. Con un’ambizione dunque altissima: cambiare lo scenario per rinnovare la democrazia e ritrovare i valori della Costituzione con nuove soggettività collettive, corpi intermedi capaci di connettere esperienza personale e tessuto politico, società e istituzioni.

Per costruire un nuovo soggetto politico e aprire la sfera della rappresentanza a ciò che sta fuori. Un mondo grande. Che non ha paura. Di cui non avere paura.

Andrea Bagni

redazione@approdonews.it