La Calabria è stata sempre una regione in perpetuo movimento anche se molti, specie quelli del Nord, ci hanno sempre accusato di essere un popolo di statici, affetti da poltroneria acuta. La Calabria è movimento, e per dare il giusto peso a questa parola, nasce nuovo movimento civico chiamato “Mezzogiorno in Movimento”. Dal loro “manifesto” si legge il perché di questa nuova creatura, ironia della sorte, vede la luce in piena campagna elettorale per le politiche, sarà un messaggio subliminale? La mission è di “porre a base della costruzione di uno spazio, di un soggetto politico nel senso ampio del termine, di un’area che possa raccogliere energie per invertire la rotta calabrese in nome di diritti, giustizia, lavoro”. Uno dei fondatori, è il consigliere metropolitano e sindaco di Roghudi, Pierpaolo Zavettieri (insieme ad altri, tra imprenditori, avvocati e intellettuali come Ammendolia, Catanzariti, Cuzzocrea e lo scrittore Mimmo Gangemi), asserisce (e lo descrivo in sintesi), che “Mezzogiono in Movimento”, nasce per l’eccessivo zelo che si ha quando si applicano quegli estremi provvedimenti che riguardano gli scioglimenti per infiltrazione mafiosa dei comuni ( il famoso art. 143 del TU degli EE.LL. Dlgs 267/2000), nel territorio calabrese. Come ben si sa, le parole di Zavettieri trovano riscontro in termini numerici perché come asserito dal presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno nel novembre scorso, durante la sua audizione in commissione antimafia, «Dal 1991, quando fu introdotta la legge, «al 2014 sono stati sciolti per mafia quasi 300 Comuni, con aumento del 380% nel 2012, e del 220% nel 2013».
La legge definita all’epoca, “Decreto Taurianova” nata appunto nel 1991 per un’emergenza gravissima in quanto nella città della Piana, si viveva (?) un periodo di morti ammazzati in mezzo alla strada, per una faida tra famiglie ndranghetiste. C’era un’aria pesante, colma di terrore e paura. C’erano delle infiltrazioni tangibili nell’Ente comunale, acclarate dai diversi dispositivi antimafia redatti all’epoca dall’Alto Commissario antimafia Sica. Ma erano tempi bui, tetri e terribili. E quella legge, aveva ed ha una condizione, diciamo, quasi assiomatica per il concetto di “prevenzione”. E da questo concetto che inizia la reale e sostanziale azione di scioglimento dell’ente, così come allo stesso modo funziona per la c.d. interdittiva antimafia regolate dal Codice Antimafia (Dlgs 159/2011), quest’ultime come da alcune “Massime” del CdS vengono descritte, “quale misura a carattere preventivo”e prevedendo l’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti di soggetti che hanno rapporti con la pubblica amministrazione. Inoltre, “Si fonda sugli accertamenti compiuti dai differenti organi di polizia valutati dal prefetto competente territorialmente”. Ma c’è da dire che lo stesso presidente Pajno nell’audizione a palazzo Macuto, disse parole da non trascurare, specie quando afferma che “l’informazione antimafia si muove in uno spazio diverso perché c’è un momento di autonomia valutativa da parte del prefetto, il quale deve valutare e soppesare il rischio della permeabilità mafiosa dell’impresa”, attenzione il termine “soppesare” è molto indicativo perché la discrezionalità prefettizia non dovrebbe essere, diciamo “arrogante”, utilizzo un termine di una domanda fatta da un componente della commissione. Lo stesso Pajno precisa che, “Si tratta di un provvedimento di contenuto discrezionale perché si può prescindere dagli esiti delle indagini preliminari o, addirittura, dallo stesso giudizio penale”. La soluzione adatta sarebbe quella di applicare all’impresa colpita da interdittiva antimafia, le stesse modalità degli scioglimenti degli enti, ovvero non inibirla totalmente nei rapporti con la pubblica amministrazione, ma predisporre una sorta di “commissariamento giudiziario” in grado non solo di procedere ai normali adempimenti, ma dato che si tratta di un provvedimento preventivo, controllare e verificare se realmente ci sono le condizioni di permeabilità mafiosa.
Certamente l’argomento è molto delicato e per cercare di non “trasbordare” a facili entusiasmi non vi è alcun dubbio che una modifica normativa andrebbe approntata in maniera “correttiva”. E forse è questo il motivo per il quale nasce oggi un movimento che prende a cuore questi temi, e proprio in un momento particolare qual è la campagna elettorale. Da ciò che si legge, nelle note stampa, si parla pure dei clamori nelle operazioni anti-ndrangheta, quando vengono arrestate come se messi un calderone per essere cotti, ma che alla fine durante la cottura, alcuni restano crudi, e sono le varie scarcerazioni di massa così come ci sono stati gli arresti (sempre di massa). Ma su questo punto, a mio avviso, occorre andare cauti e capire le ragioni investigative nonché le varie indagini di polizia, i sistemi utilizzati e ovviamente utilizzando la solita retorica, chi è innocente è giusto che stia fuori, al contrario i colpevoli devono stare dietro le sbarre. Non vorrei inabissarmi in tale concetto, quantomeno per evitare di fare la fine del giornalista del Corsera Buccini quando scrisse, “In questa Italia che non tiene più insieme i suoi pezzi, i sindaci dei Comuni calabresi sciolti per mafia (o in odore di scioglimento) non si rivoltano contro la ‘ndrangheta ma contro lo Stato”, a seguito della richiesta di 51 sindaci calabresi che chiedevano un incontro al ministro Minniti per la “leggerezza” degli scioglimenti per mafia.
I numeri sugli scioglimenti per mafia dal 1991 sono preoccupanti e inquietanti, ad oggi sono stati sciolti 290 comuni e il primato lo detiene, in ordine di elenco, la Campania (101), la Calabria (98) e la Sicilia (71). Capirete che un problema c’è e non va sottovalutato. La mafia esiste e su questo non c’è alcun dubbio. In Italia abbiamo un sistema corruttivo tra i peggiori al mondo e se questi si accompagna con la modalità mafiosa stiamo davvero ai piedi di un vulcano in piena eruzione. Montaigne disse che “La coscienza ci fa scoprire a denunciare, o accusare noi di noi stessi, e in mancanza di testimoni, si pronuncia contro noi stessi”, quindi denunciare un qualcosa che non va è giusto e sacrosanto. Poi sta agli organi dello Stato cercare di porre rimedio. Una modifica è necessaria all’apparato normativa, oramai vetusto e anacronistico anche se, citando nuovamente Pajno, consiglia di no in quanto potrebbe esserci una “inflazione legislativa”, ma una cosa è certa, occorre impedire, sempre per prevenzione, che chi è sottoposto a regime giudiziario, indiziato di mafia o altro non dovrebbe fare né campagna elettorale né candidarsi. Ma se scioglie un sindaco per mafia con accuse pesanti nelle relazioni di scioglimento, poi magari si ricandida e rivince nuovamente le elezioni, dopo 24 mesi di commissariamenti si aggiungono altri 24 mesi dopo un intervallo, c’è qualcosa che non va o no? Se poi ascolti l’attuale procuratore nazionale Federico Cafiero De Raho il quale dice “che per alcuni Comuni un periodo di due anni di commissariamento non è sufficiente”, un problema te lo poni. Però se si applica una sorta di “tutela” come lo stesso De Raho suggerisce, ovvero se, “dopo un periodo di scioglimento, il territorio continua ad essere occupato dalla ‘ndrangheta con la conseguenza che il rischio di una nuova infiltrazione è altissimo. Sarà necessario assumere delle modalità di controllo dell’azione amministrativa per garantire quegli stessi organi elettivi nelle successive elezioni in modo da proteggerli da una ‘ndrangheta che fagocita l’organo elettivo e lo costringe a piegarsi alle sue richieste”. Fermo restando che la democrazia non può e non deve essere (sempre) commissariata!
L’iniziativa di “Mezzogiorno in Movimento”, potrebbe essere interessante anche se, non solo avviene in un momento di campagna elettorale, ma all’indomani delle (pesanti) parole del Procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, il quale rivolgendosi agli Enti e alla lievitazione delle interdittive antimafia afferma che “la ricreazione è finita”. Ovvero, lo stesso Gratteri elogiando il Tar Calabria per la sua efficienza si fa autore di un discorso che crea molte discrepanze con l’iniziative di questo “Mezzogiorno in Movimento, e perchè? Lui dichiara questo, “Ho sentito che sono aumentate le interdittive antimafia con relativi ricorsi al Tar e le interdittive antimafia aumenteranno ancora, così come aumenterà il numero degli scioglimenti di Comuni per infiltrazioni mafiose. Questo e’ dovuto anche alla nuova ondata impressa nel nostro Distretto giudiziario, nel quale sono arrivati tra i migliori investigatori d’Italia (…)”, in poche parole, Gratteri giustifica l’aumento delle interdittive antimafia e gli scioglimenti dei comuni come un fattore predominante di crescita e di sviluppo reale della legalità perché la mafia è sistematicamente presente nella pubblica amministrazione come un cancro in metastasi.
Una cosa però è certa, una rivoluzione leggera della normativa vigente è necessaria, così come un cambio di rotta delle valutazioni più oculate e “soppesate” nelle interdittive prefettizie non sarebbe male in quanto ridarebbe fiato ad un’economia sempre più soffocata non solo dalla criminalità organizzata, ma dalla crisi economica evidente. Una via di mezzo si trova sempre, l’importante che non si cada in vuoto pericoloso e rischioso, qual è l’eccesso di garantismo così come dei vuoti normativi che rischierebbero a far sì che i mafiosi, in quanto la Calabria ne è piena, si mischiano con le persone oneste e ciò non dovrebbe accadere!