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TAURIANOVA (RC), VENERDì 29 MARZO 2024

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L’origine dei siti sepolcrali taurianovesi Viaggio del giurista e storico locale Giovanni Cardona nella storia delle antiche cittadine di Radicena e Jatrinoli conurbate nel 1928 nella odierna Taurianova

L’origine dei siti sepolcrali taurianovesi Viaggio del giurista e storico locale Giovanni Cardona nella storia delle antiche cittadine di Radicena e Jatrinoli conurbate nel 1928 nella odierna Taurianova

Il sepolcro come “locus religiosus”
La tomba è il tramite tra il mondo terrestre dei sensi e quello occulto degli inferi.
La sua religiosità, nel Diritto Romano, è quindi la conseguenza della dedicazione ai Mani, ma va anche ricollegata al carattere impuro che ad essa deriva dal contagio arrecato dalla morte.
Il cadavere, infatti, emana una forza contaminante che rende necessaria l’esclusione del sepolcro dal commercium umano.
La religiosità è quindi qualificazione propria della tomba che ospita resti umani: il cadavere abbandonato in sé non è ritenuto meritevole d’analoga tutela e ciò spiega i divieti di sepoltura per i giustiziati come aspetto del prolungamento della pena.
Il carattere religioso della tomba era limitato a quella parte di suolo che accoglieva il cadavere ed al monumento su di essa costruito; la sepoltura, infatti, è portio fundi, e pertanto una giusta inumazione esigeva la deposizione del corpo nella terra.
Il diritto funerario dell’età intermedia, pure nella frammentazione regionale degli usi e dei riti, è ricostruibile per sommarie linee in termini di continuità con le consuetudini giuridiche romane almeno fino al X secolo d.C.
La svolta, in termini di rottura significativa della continuità della tradizione giuridica romana, è determinata dalla costituzione di Leone il Saggio, tra il IX e il X secolo d.C., che consentì la sepoltura dei cadaveri sive extra muros sive intra civitatem.
La costituzione di Leone il Saggio, in una con il fenomeno della confessionalizzazione del sepolcro, sancisce la definitiva affermazione dell’uso di seppellire presso gli abitati, all’interno dei medesimi, presso la confessione del Santo, apud ecclesiam, consolidando una consuetudine che resisterà per un millennio in tutta la cristianità latina.
Infatti, solo dal XVI secolo s’inizia un processo di distacco delle sepolture dalle città, e solo con il decreto del ventitré Pratile dell’anno XII (12 giugno 1804) viene per la Francia dettata quella nuova regolamentazione dei cimiteri e dei funerali, posti al di fuori dei centri urbani, che costituiranno il modello per la legislazione dell’Occidente europeo.
Il decreto sarà recepito in Italia con il provvedimento consolare di Napoleone del 15 giugno 1804, cui fece seguito una pletora di leggi nazionali, tra le quali si segnala il decreto del Senato piemontese del 1832, che sarà trasfuso nella normativa comunale e provinciale del nuovo Regno d’Italia.
Il processo storico, come si evince, ha dunque una sua chiara evoluzione: dalle tombe extraurbane romane si passa alle sepolture collettive intra urbem, addensate attorno alle reliquie del Santo prima, poi dell’abbazia venerata ed alle chiese.

I cimiteri di Jatrinoli e Radicena
Da questo esemplificativo excursus storico-giuridico, conseguentemente ne deriva come anche presso le nostre antiche contrade comunali di Radicena e Jatrinoli, conurbate con Regia Decretazione Governativa vistata dal Guardasigilli Rocco in data 16 febbraio 1928 n.377, le sepolture hanno in misura preponderante subito l’influsso dei processi storico-evolutivi avvenuti nelle normative a livello europeo.
Il primo cimitero strictu sensu di Iatrinoli, secondo quanto riporta l’Arcip. Francesco De Luca, fu inaugurato il 17 settembre 1848 nell’agro catastalmente denominato Cardona, dove oggigiorno, a causa di nefande e dissacranti scelte politiche è ubicato il mercato generale.
Solo il 2 aprile 1876, il consesso comunale, per motivi di natura igienica deliberò la costruzione di un nuovo cimitero a norma di legge, fuori del centro abitato, e precisamente nel fondo “Pignara” appartenente alla Famiglia Rodinò da Polistena; lo stesso venne inaugurato il 02 novembre 1883 in occasione della commemorazione dei defunti.
Ma già diciotto anni prima del primo sito sepolcrale Jatrinolese, e precisamente il 30 gennaio 1830, il decurionato ed intiero popolo di Jatrinoli richiese alle autorità competenti, con una perizia rogitata dinanzi al Notar Francesco Cannatà e sottoscritta dall’allora Sindaco Giuseppe Ventre, la costruzione di un Camposanto a forma di Chiesetta nel Comune di Jatrinoli, per un importo di 1173 ducati, 71 grana e 4¾ piccioli, lievitato a 1190 ducati, 71 grana e 4¾ piccioli per l’imprevedenza (rectius imprevedibilità).
L’originale dell’atto notarile, infatti, testualmente riporta, nella parte iniziale: Questo Decurionato ed intiero Popolo lo richiede per tumulazione colli sepolcri in numero di otto, incluso il cimiterio, coperto a forma di chiesetta, dalla lunghezza di palmi sessantasei, sua larghezza di palmi trentadue, compresa l’occupazione delle fabriche e di altezza palmi trenta sopraterra, con coretto a fondo a mezzo tondo dove vien situato l’altarino; e nell’entrate a destra a sinistra due camerine a pian terreno di loro altezza di palmi dieci, che servono l’una pel custode del Camposanto, e l’altra pel uso di segristia, la loro ampiezza è di palmi dieci per otto, vengono coperte con solaretto di tavole, perché chiuse dentro detta chiesetta, e vengono con due porte per cadauna, l’una sporge nella Chiesetta e l’altra da fuori per l’entrata e proseguendo nella descrizione, sancisce una beffarda distinzione castale, asserendo che nell’entrata di detta Chiesetta rimane una porzione per spiazzo per potersi fare sepolcri particolari, e l’altra viene tutta concava di sepolcri per l’intiera popolazione divisi con più fabriche in più parti, e seguendone una tuzioristica enunciazione del progetto e del relativo costo con l’aggiunta di due dettagliate piantine prospettanti la realizzazione dell’opera.
Il Camposanto Jatrinolese ante litteram, primo ed ufficiale sito sepolcrale, non si tradusse in realtà, infatti, per regola procedurale amministrativa pervenne al controllo ed al visto delle Intendenze del Re delle due Sicilie Ferdinando II allora preposte, le quali rilevarono oltre ad un vizio sostanziale di carattere costruttivo, una lapalissiana violazione delle norme Reali allora vigenti, ed infatti, nelle osservazioni scritte in calce alla medesima perizia si legge: La presente perizia non è à regolamenti in vigore, si rileggano perciò il Real Decreto dè 12 Dicembre 1828 e le circolari del Sig. Intendente specialmente quella dè 10 del mese andante ove si rileva: che non è neanche permesso di costruire delle nuove Chiese ad uso di camposanti, e nell’interno di esse stabilire i sepolcri; si rifaccia perciò in conformità di questi.- Reggio Calabria 25 Febbaio 1830 L’intendente S.Calabrò Ingegnere.
Evoluzione storica analoga, ebbe il viciniore Comune di Radicena ove in località “Sterpone”, fra la fitta macchia di spine, di cardi, d’ortiche, erano presenti le fosse carnarie: neri, fetidi pozzi in cui gli stessi affossatori penetravano con ribrezzo; altra fossa carnaria esisteva nel campanile dell’antico Duomo di Radicena appellato prima Santa Maria Ambasiade(dal greco: Regina degli Angeli), poi Santa Maria delle Grazie e distrutto dal terremoto del 1736.
Ricostruito l’anno successivo, con l’annessione della torre dei Gemelli il Duomo subì la seconda onta tellurica del tremendo tremuoto del 1783 che distrusse solamente la torre con l’annessa fossa carnaria.- Venne riedificata a mo’ di campanile e durò sino al successivo e devastante terremoto del 1908; in etnologia archeologica le summenzionate fosse carnarie, costituivano un tipo di tomba nella quale le salme, appartenenti soprattutto ai ceti meno abbienti, venivano sepolti collettivamente e per lo più senza cassa.
Solo nel 1889, secondo quanto riportato dal Sofia, sotto l’amministrazione del Sindaco Francesco Maria Bellè e grazie alle provvide leggi del Regno, si ebbe l’edificazione dell’attuale Cimitero, con l’imponente frontone opera disegnativa dell’artista Michele Valente alla cui realizzazione si adoprarono con artistica efficacia due geniali capimastri radicenesi i fratelli Arcangelo e Domenico Toscano.
Ad onor della verità storica, v’è da precisare come tale fonte è affetta da evidente discrasia cronotassica, infatti, il Francesco Maria Bellè, resse sì lo scranno di sindaco, ma in epoca antecedente e precisamente nel 1842, mentre nel 1889 pro sindaco di Radicena è Carlo Terranova.

Curioso articolo di cronaca cimiteriale
Il 2 novembre del 1898 non fu certamente per l’Avvocato e Consigliere Comunale di minoranza Domenico Sofia Moretti un giorno che passò inosservato alla sua proverbiale acutezza e sensibilità intellettuale, infatti, nel numero 30 del 09 novembre 1898 del Giornale del Popolo “Fra Galdino” vi è riportata una ferace reprimenda nei confronti dell’amministrazione comunale rea di non intervenire per la baraonda indecente ed anticristiana, degna soltanto di una fiera, o di un mercato, perpetrata all’interno del Cimitero di Radicena albergo di verità tristi, ove le umane scempiaggini, come l’umana nequizia non arrivano.
In modo particolare l’invettiva viene concretizzata nei confronti dei bassorilievi statue e pitture degne della satira rovente di un Salvator Rosa; e di iscrizioni speriodate, spropositate, sgrammaticate, sciammannate…consolandosi lo stesso autore che tutte queste siurcerie, o gran parte di esse, siano di calce, o stucco quindi sottoposti all’opera beneficamente distruttrice del vento, del gelo e della pioggia e proseguendo sulla padronanza e la indecenza di ognuno di esibire brutte coronacce di stagno, o ritrattacci caricaturali incorniciati, incastonati in certe scodelle di latta ed aggiungendovi, altresì, una invasione di una gazzarra di monelli, i quali tenuti lontani per tutto l’anno dalla vigilanza del solerte custode (n.d.r. Giuseppe Augimeri), si vendicano poi in un sol giorno, rincorrendosi pè viali del Cimitero calpestando, devastando, vandalizzando le verdi spalliere di bossi, e le belle aiuole, cui strappano i pochi fiori autunnali… e concludendo l’autore, accomiatandosi dal direttore di Fra Galdino Avv. Libero Maioli, si rivolge al Foscolo declamando come con la speme anco la Grammatica, la Lingua ed il Galateo fuggono, né nostri malaugurati tempi, i Sepolcri!
Vostro D. Sofia.