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TAURIANOVA (RC), VENERDì 03 MAGGIO 2024

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L’Italia degli ipocriti. Fabrizio Miccoli? La vittima di turno dei benpensanti ipocriti

L’Italia degli ipocriti. Fabrizio Miccoli? La vittima di turno dei benpensanti ipocriti

Antonio Giangrande: “Fabrizio, vieni con noi. Vieni a fare da noi il testimonial della legalità!”

L’Italia degli ipocriti. Fabrizio Miccoli? La vittima di turno dei benpensanti ipocriti

Antonio Giangrande: “Fabrizio, vieni con noi. Vieni a fare da noi il testimonial della legalità!”

 

 

L’Italia è un Paese fondato sulla fregatura: ecco tutti i modi in cui gli
italiani raggirano gli altri (e sé stessi). In un libro, “Io ti fotto” di
Carlo Tecce e Marco Morello, la pratica dell’arte della fregatura in Italia.
Dai più alti livelli ai più infimi, dalle truffe moderne realizzate in Rete
a quelle più antiche e consolidate. In Italia, fottere l’altro – una parola
più tenue non renderebbe l’idea – è un vizio che è quasi un vanto, “lo ti
fotto” è una legge: di più, un comandamento.

Sulle dichiarazioni rese da Fabrizio Miccoli su Giovanni Falcone interviene
Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie”,
riconosciuta dal Ministero dell’Interno come sodalizio antimafia, se non che
grande esperto di mafia, sul cui tema ha scritto un saggio fonte di molte
tesi di laurea.

«Fabrizio, vieni con noi. Vieni a fare da noi il Testimonial della legalità!
Il calciatore leccese in forza al Palermo, in una intercettazione in privato
parla con un amico. I due sono stati registrati mentre, in macchina,
cantavano “Quel fango di Falcone”. In un’altra intercettazione, parlando con
una terza persona, ribadiscono: “Vediamoci davanti all’albero di quel fango
di Falcone”. Intercettazioni, per la verità, la cui dazione e pubblicazione
comporta violazione del segreto istruttorio, quindi un reato. Ma va là, chi
persegue i legulei di Stato? Comunque si tratta, peraltro, dello stesso
Miccoli che ha partecipato a diverse partite del cuore, in cui dedicava i
suoi gol proprio al magistrato ucciso dalla mafia e al collega Paolo
Borsellino.

Quindi Miccoli è buono o Miccoli è cattivo?

L’ex capitano rosanero, indagato per estorsione e accesso abusivo a sistema
informatico, peraltro, ha tenuto una conferenza stampa durante la quale ha
manifestato tra le lacrime tutto il suo rammarico e pentimento per le parole
che ha detto, poi ha ribadito di non essere un mafioso e di aver dato la sua
amicizia a tutti.

Ognuno di noi, se spiato h24, commette e dice, gesti e cose sensate,
insensate, stupide, lesive, simpatiche, etc…però, tra il dire ed il fare
c’è sostanziale differenza. Che dire delle telefonate tra la prima carica
repubblicana e l’ultimo “pezzo pregiato” della prima repubblica? O delle
infinite telefonate “stralciate” da processi per stupidi errori formali? E
quante volte ci è scappata una bestemmia contro le icone religiose. Certo,
questo non è meno grave che offendere la memoria di Falcone, che agli altari
della santità non ci è ancora arrivato.

Eppure proprio a Lecce, in cui si prospetta un suo ritorno calcistico nella
squadra di calcio locale, c’è chi sputa sentenze contro Fabrizio Miccoli. A
cominciare dall’ex sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, magistrato
ed ex aennino di Lecce. Nessuna possibilità di equivocare il suo messaggio:
“Per quanto mi riguarda — dice a Francesca Mandese del Corriere della Sera —
Miccoli non dovrebbe più mettere piede su nessun campo di calcio e mi auguro
che il presidente della Figc, Giancarlo Abete, faccia seguire alle parole i
fatti con un provvedimento di sospensione per Miccoli”. Poi, ecco venire
fuori il magistrato. “Miccoli — dice ancora Mantovano — è indagato per
riciclaggio ed estorsione in concorso con un’associazione di stampo mafioso.
E questo è un dato di fatto. La sua frequentazione con ambienti mafiosi è
stata costante e consapevole. Vederlo in campo avrebbe un grave effetto
diseducativo”. Gli fa eco, sia pure con molto più distacco ma con tono
sibillino, la senatrice Adriana Poli Bortone, sindaca di Lecce per nove
anni, anche lei proveniente da An. “Non voglio entrare in certe questioni —
dice — ma credo che debbano essere le autorità cittadine a suggerire come
sarebbe meglio comportarsi”.

Questi signori dovrebbero sapere che Miccoli è solo indagato e loro non
dovrebbero ergersi a giudici o a Ponzio Pilato.

Comunque da sempre si usano diversi pesi e diverse misure. Esami di stato
per avvocati: gli studenti hanno barato? Problemi a Lecce: oltre la metà
degli studenti avrebbero copiato la prova di abilitazione. “Una cosa mai
vista”, dicono i commissari. Esami di stato per la professione di avvocato:
a Lecce ci sono problemi abbastanza seri, se è vero che sono moltissimi i
compiti da annullare, depennare completamente e anzi, sarebbero più i
compiti invalidi che quelli validi. In breve, gli studenti avrebbero copiato
alla grande, e anche in maniera grossolana l’intera prova d’esame di
abilitazione. Le prove di esame di abilitazione spesso sono conosciute in
anticipo. A volte sono pubblicate su internet giorni prima, come è successo
per il concorso degli avvocati e proprio per questo vi fu denuncia penale
proprio del sottosegretario Alfredo Mantovano di Lecce. Di fatto, quello
previsto come reato è quello che succede da quando esiste questo tipo di
esame e vale anche per i notai ed i magistrati. Da 20 anni denuncio che in
Italia agli esami tutti si copia ed adesso scoprono l’acqua calda. E copiano
tutti. Si ricordi il “Vergogna, Vergogna” all’esame per magistrato o il
“Buffoni, Buffoni” all’esame di notaio, o le intemperanze agli esami per
l’avvocatura di Stato o la prova annullata per l’esame di notaio nel 2010 o
di magistrato nel 1992.

Su questi punti chiamerei a testimoniare, a rischio di spergiuro, tutti gli
avvocati, magistrati e notai d’Italia. Ai malfidati, poi, spiegherei per
filo e per segno come si trucca l’esame, verbalmente, in testi ed in video.
Mi chiedo, altresì, perché tanto accanimento su Lecce se sempre si è copiato
ed in tutta Italia? E perché non ci si impegna ha perseguire le commissioni
che i compiti non li correggono e li dichiarano tali? In Italia tutti sanno
che i concorsi pubblici sono truccati e nessuno fa niente, tantomeno i
magistrati. Gli effetti sono che non è la meritocrazia a condurre le sorti
del sistema Italia, ma l’incompetenza e l’imperizia. Non ci credete o vi
pare un’eresia? Basta dire che proprio il Consiglio Superiore della
Magistratura, dopo anni di giudizi amministrativi, è stato costretto ad
annullare un concorso già effettuato per l’accesso alla magistratura. Ed i
candidati ritenuti idonei? Sono lì a giudicare indefessi ed ad archiviare le
denunce contro i concorsi truccati. E badate, tra i beneficiari del sistema,
vi sono nomi illustri. Eppure dopo l’invito a denunciare la Commissione di
esame di avvocato di Catania e l’interrogazione parlamentare da presentare
al Ministro della Giustizia inviata al Parlamento, né i cosiddetti
rappresentanti del popolo, ne i minchioni dei candidati accusati di plagio
hanno fatto qualcosa. La cosa che più dovrebbe far imbarazzare i benpensanti
e gli ipocriti è che, per un motivo o per un altro, una coltre di omertà è
calata sulla vicenda dei 100 presunti copioni. Se i scribacchini e
pennivendoli per parlar male dell’avversario politico o del povero cristo,
lo sbattono come mostro in prima pagina, per codesti signori nessuna
attenzione è stata data, né la notizia è stata divulgata. Censura ed omertà
assoluta: “minchiaaaa……nudda sacciu”.

Comunque tornando a Miccoli. Vedo il tg e leggo l’Ansa a una settimana dalla
tragedia di Brindisi: Melissa Bassi uccisa dalla Mafia!!! E noto con
fastidio alcune cose. La prima è la canonicissima ennesima “marcia”
all’italiana: la liturgia madre, la messa cantata del politicamente corretto
di piazza, negli ultimi tempi. Questo succede perché io non seguo la logica
nazionale delle celebrazioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino,
specialmente fatta da chi ne ha causato la morte. L’ostracismo c’è perché
non mi sottometto a questa antimafia e non mi associo alla liturgia di
questa antimafia che poi è forse solo propaganda e speculazione. Si farebbe
cosa nobile, invece, svelare la verità sulla morte di Falcone, Borsellino,
Dalla Chiesa e gli altri e disincentivare tutti quei comportamenti socio
mafiosi che inquinano la società italiana. Come si farebbe onore alla verità
svelare chi e come paga l’ambaradan di carovane e carovanieri.

E’ celebre il “vada a bordo, cazzo” del comandante De Falco. L’Italia
paragonata al destino ed agli eventi che hanno colpito la nave Concordia.
Parafrasando la celebre frase di De Falco mi rivolgo a tutti gli italiani:
“”TUTTI DENTRO CAZZO!!”. Il tema è “chi giudica chi?”. Chi lo fa, ha
veramente una padronanza morale, culturale professionale per poterlo fare?
Iniziamo con il parlare della preparazione culturale e professionale di
ognuno di noi, che ci permetterebbe, in teoria, di superare ogni prova di
maturità o di idoneità all’impiego frapposta dagli esami scolastici o dagli
esami statali di abilitazione o di un concorso pubblico. In un paese in cui
vigerebbe la meritocrazia tutto ciò ci consentirebbe di occupare un posto di
responsabilità. In Italia non è così. In ogni ufficio di prestigio e di
potere non vale la forza della legge, ma la legge del più forte. Piccoli
ducetti seduti in poltrona che gestiscono il loro piccolo potere incuranti
dei disservizi prodotti. La massa non è li ha pretendere efficienza e
dedizione al dovere, ma ad elemosinare il favore. Corruttori nati. I
politici non scardinano il sistema fondato da privilegi secolari. Essi
tacitano la massa con provvedimenti atti a quietarla. Panem et circenses,
letteralmente: “pane e giochi del circo”, è una locuzione in lingua latina
molto conosciuta e spesso citata. Era usata nella Roma antica.

Tornando alla parafrasi del “TUTTI DENTRO, CAZZO!!” si deve rimarcare una
cosa. Gli italiani sono: “Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di
santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigatori”. Così è
scritto sul Palazzo della Civiltà Italiana dell’EUR a Roma. Manca:
“d’ingenui”. Ingenui al tempo di Mussolini, gli italiani, ingenui ancora
oggi. Ma no, un popolo d’ingenui non va bene. Sul Palazzo della Civiltà
aggiungerei: “Un popolo d’allocchi”, anzi “Un popolo di Coglioni”. Perché
siamo anche un popolo che quando non sa un “cazzo” di quello che dice,
parla. E parla sempre. Parla…..parla. Specialmente sulle cose di Giustizia:
siamo tutti legulei.

Chi frequenta bene le aule dei Tribunali, non essendo né coglione, né in
mala fede, sa molto bene che le sentenze sono già scritte prima che inizi il
dibattimento. Le pronunce sono pedisseque alle richieste dell’accusa, se non
di più. Anche perché se il soggetto è intoccabile l’archiviazione delle
accuse è già avvenuta nelle fasi successive alla denuncia o alla querela:
“non vi sono prove per sostenere l’accusa” o “il responsabile è ignoto”.
Queste le motivazioni in calce alla richiesta accolta dal GIP, nonostante si
conosca il responsabile o vi siano un mare di prove, ovvero le indagini non
siano mai state effettuate. La difesa: un soprammobile ben pagato succube
dei magistrati. Il meglio che possono fare è usare la furbizia per incidere
sulla prescrizione. Le prove a discarico: un perditempo, spesso dannoso. Non
è improbabile che i testimoni della difesa siano tacciati di falso.

In tema di persecuzione giudiziaria, vi si racconta una favola e per tale
prendetela.

C’era una volta in un paese ridente e conosciuto ai più come il borgo dei
sognatori, un vecchietto che andava in bicicletta per la via centrale del
paese. Il vecchietto non era quello che in televisione indicano come colui
che buttava le bambine nei pozzi. In quel frangente di tempo una sua
coetanea, avendo parcheggiato l’auto in un tratto di strada ben visibile,
era in procinto di scendere, avendo aperto la portiera. Ella era sua
abitudine, data la sua tarda età, non avere una sua auto, ma usare l’auto
della nipote o quella simile del fratello. Auto identiche in colore e marca.
Il vecchietto, assorto nei suoi pensieri, investe lo sportello aperto
dell’auto e cade. Per sua fortuna, a causa della bassa velocità tenuta, la
caduta è indolore. Assicurato alla signora che nulla era accaduto, il
vecchietto inforca la bicicletta e va con le sue gambe. Dopo poco tempo
arriva alla signora da parte del vecchietto una richiesta di risarcimento
danni, su mandato dato allo studio legale di sua figlia. L’assicurazione
considera che sia inverosimile la dinamica indicata ed il danno subito e
ritiene di non pagare.

Dopo due anni arriva una citazione da parte di un’altro avvocato donna. Una
richiesta per danni tanto da farsi ricchi. Ma non arriva alla vecchietta, ma
a sua nipote. Essa indica esattamente l’auto, la zona del sinistro e la
conducente, accusando la nipote di essere la responsabile esclusiva del
sinistro.

E peccato, però, che nessun testimone in giudizio ha riconosciuto la targa,
pur posti a pochi metri del fatto; che nessun testimone in giudizio ha
riconosciuto l’auto distinguendola da quella simile; che nessun testimone in
giudizio ha disconosciuto la vecchietta come protagonista; che nessun
testimone in giudizio ha ammesso che vi siano stati conseguenze per la
caduta.

E peccato, però, che l’auto non era in curva, come da essa indicato.

Peccato, però, che la responsabile del sinistro non fosse quella chiamata in
giudizio, ma la vecchietta di cui sopra.

Una prima volta sbaglia il giudice competente ed allora cambia l’importo,
riproponendo la domanda.

Tutti i giudici di pace ed onori (avvocati) fanno vincere la causa del
sinistro fantasma alla collega.

La tapina chiamata in causa afferma la sua innocenza e presenta una denuncia
contro l’avvocato. La poveretta, che poteva essere querelata per lesioni
gravissime, si è cautelata. La sua denuncia è stata archiviata, mentre
contestualmente, alla stessa ora, i testimoni venivano sentiti alla caserma
dei carabinieri.

La poveretta non sapeva che l’avvocato denunciato era la donna del pubblico
ministero, il cui ufficio era competente sulla denuncia contro proprio
l’avvocato.

Gli amorosi cosa hanno pensato per tacitare chi ha osato ribellarsi?
L’avvocato denuncia per calunnia la poveretta, ingiustamente accusata del
sinistro, la procura la persegue e gli amici giudici la condannano.

L’appello sacrosanto non viene presentato dagli avvocati, perché artatamente
ed in collusione con la contro parte sono fatti scadere i termini.
L’avvocato amante del magistrato altresì chiede ed ottiene una barca di
soldi di danni morali.

La poveretta ha due fratelli: uno cattivo, amico e succube di magistrati ed
avvocati, che le segue le sue cause e le perde tutte: uno buono che è
conosciuto come il difensore dei deboli contro i magistrati e gli avvocati.
I magistrati le tentano tutte per condannarlo: processi su processi. Ma non
ci riescono, perché è innocente e le accuse sono inventate. L’unica sua
colpa è ribellarsi alle ingiustizie su di sé o su altri. Guarda caso il
fratello buono aveva denunciato il magistrato amante dell’avvocato donna di
cui si parla. Magistrato che ha archiviato la denuncia contro se stesso.

La procura ed i giudici accusano anche il fratello buono di aver presentato
una denuncia contro l’avvocato e di aver fatto conoscere la malsana storia a
tutta l’Italia. Per anni si cerca la denuncia: non si trova. Per anni si
riconduce l’articolo a lui: non è suo.

Il paradosso è che si vuol condannare per un denuncia, che tra tante, è
l’unica non sua.

Il paradosso è che si vuol condannare per un articolo, che tra tanti (è uno
scrittore), è l’unico non suo e su spazio web, che tra tanti, non è suo.

Se non si può condannare, come infangare la sua credibilità? Dopo tanti e
tanti anni si fa arrivare il conto con la prescrizione e far pagare ancora
una volta la tangente per danni morali all’avvocato donna, amante di
magistrati.

Questa è il finale triste di un favola, perché di favola si tratta, e la
morale cercatevela voi.

Chi frequenta assiduamente le aule dei tribunali, da spettatore o da attore,
sa benissimo che sono luogo di spergiuro e di diffamazioni continue da parte
dei magistrati e degli avvocati. Certo è che sono atteggiamenti impuniti
perché i protagonisti non possono punire se stessi. Quante volte le
requisitorie dei Pubblici Ministeri e le arringhe degli avvocati di parte
civile hanno fatto carne da macello della dignità delle persone imputate,
presunte innocenti in quella fase processuale e, per lo più, divenuti tali
nel proseguo. I manettari ed i forcaioli saranno convinti che questa sia un
regola aurea per affermare la legalità. Poco comprensibile e giustificabile
è invece la sorte destinata alle vittime, spesso trattate peggio dei
delinquenti sotto processo.

Ma si sa in Italia tutti dicono: “tengo famiglia e nudda sacciu, nudda vidi,
nudda sentu”. I magistrati, diceva Calamandrei, sono come i maiali. Se ne
tocchi uno gridano tutti. Non puoi metterti contro la magistratura, è sempre
stato così, è una corporazione.

Ciononostante viviamo in un’Italia fatta così, con italiani fatti così,
bisogna subire e tacere. Questo ti impone il “potere”. Ebbene, si faccia
attenzione alle parole usate per prendersela con le ingiustizie, i soprusi e
le sopraffazioni, le incapacità dei governati e l’oppressione della
burocrazia,i disservizi, i vincoli, le tasse, le code e la scarsezza di
opportunità del Belpaese. Perché sfogarsi con il classico “Italia paese di
merda”, per quanto liberatorio, non può essere tollerato dai boiardi di
Stato. E’ reato, in quanto vilipendio alla nazione. Lo ha certificato la
Corte di cassazione – Sezione I penale – Sentenza 4 luglio 2013 n. 28730.

A questo punto ognuno di noi ammetta e confessi che, almeno per un volta
nella sua vita, ha proferito la fatidica frase “che schifo questa Italia di
merda” oppure “che schifo questi italiani di merda”.

Bene, allora cari italiani: TUTTI DENTRO, CAZZO!!

Dr Antonio Giangrande

Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia