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L’internazionale della Democrazia Cristiana

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Editoriale di Bartolo Ciccardini

L’internazionale della Democrazia Cristiana

Editoriale di Bartolo Ciccardini

 

 

Mentre Roma è occupata dai metalmeccanici di Landini e vive una delle sue giornate blindate, a Palazzo Baldassini, sede dell’Istituto Sturzo, si svolge un seminario di studi sulla presenza internazionale della Democrazia Cristiana nel secolo scorso.

Parlano con voce pacata studiosi e storici francesi, tedeschi, inglesi ed italiani. La prima impressione che nasce nell’ascoltare le relazioni è che vi fossero due tendenze fondamentali abbastanza diverse. Una propria di partiti DC dell’Italia e dei Paesi Bassi, che poneva l’accento sulla sussidiarietà e sulla dottrina sociale della Chiesa. L’altra, più pragmatica e realistica che poneva l’accento sui programmi di Governo. E questa ultima aveva anche l’esigenza di collegarsi con organizzazioni politiche non soltanto democratiche cristiane, ma anche liberali e conservatrici. Questo dissidio tende a risolversi nel bilanciamento di diverse iniziative, che danno vita a diversi organismi: un primo democratico-cristiano; un secondo, il rassemblement in cui viene sviluppato un contatto con i partiti conservatori; ed infine un terzo, con partiti di diversa ispirazione che sono al di fuori dei sei Paesi fondatori dell’unità europea. In tutte queste tre organizzazioni c’è la partecipazione della UDC-CSU tedesca ed, in una sola invece, si nota la presenza della Democrazia Cristiana italiana e di quella dei Paesi Bassi.

È interessante studiare i vari passaggi, vedere le singole articolazioni, e contrapposizioni. C’è un momento in cui gli inglesi organizzano una zona di paesi europei antagonista all’Unione dei sei Paesi, tentativo che fallirà miseramente. Mentre fiorisce l’Unione europea, a cui, dopo la scomparsa di De Gaulle, si unirà, seppure a condizioni particolari, anche il Regno Unito.

Ma questo successo deriva dalla crescita dello spirito europeo e questa crescita è frutto del paziente lavoro dei democratici-cristiani. Alla fine di una paziente costruzione di equilibri si forma uno strumento politico che per la prima volta si chiama europeo e che ha come oggetto la costruzione dell’Unità europea.

È il lungo cammino verso il partito Popolare Europeo.

C’è un’acuta analisi sulla scelta di questo nome. Rispetto ad altre possibilità, come “Democrazia Cristiana”, come “Cristiano-sociale”, come “Popolare-cristiano”, o “Sociale-cristiano”.

Anche questa discussione non è soltanto nominalistica, ma è una ricerca per esprimere la vera identità di questa formazione che ha elementi di novità molto importanti. Innanzitutto si tratta di un’identità europea volta a creare un governo europeo ed un organizzazione politica federale, i cui principi sono la sussidiarietà, la solidarietà, una forma di “fraternitè” cristiana ed un progetto di governabilità pragmatico e moderato.

Questa storia racconta il passaggio dagli atteggiamenti nazionali alla coscienza di una identità europea. All’inizio tutte le formazioni si esprimono con delle tonalità nazionali. Ad esempio, lo M.R.P. che è il più avanzato verso posizioni di sinistra di (giustizia sociale ed intervento statale), si caratterizza per la sua aspirazione a dirigere l’unità europea con un accordo diretto ed egemonico con la Germania.

Disegno che poi sarà portato avanti con maggiore forza da Charles De Gaulle. Lo M.R.P. che impugna la bandiera di una “fraternitè” francese ed europea, si fa difensore del sogno imperiale francese, si schiera con al difesa ad oltranza dell’Algeria francese, e non è del tutto indenne da colpe colonialiste nel Madagascar. Perfino Bidault è infine contagiato da questa versione molto francese del pensare europeo. Ma non Schumann, cattolico di frontiera, renano, di quella Alsazia che sarà l’ultima ad abbandonare l’M.R.P.

Schumann sarà anticolonialista e profondamente europeo come Adenauer e De Gasperi, anche loro uomini di frontiera e cattolici della scuola di Lovanio e Malines. Ma queste “notazioni” nazionali trovano spazio anche presso i partiti che sono più dichiaratamente “europeisti”. Perfino nella Democrazia Cristiana italiana Fanfani, ad un certo punto pensa ed è favorevole ad un ingresso inglese nel progetto europeo, per tentare un’asse Roma-Londra contrapposto all’asse Parigi-Bonn di fronte al quale l’Italia si sente sacrificata.

Ma, nota il relatore, questo è un modo di intendere ancora una sorta di politica di potenza dove ogni protagonista cerca una posizione più forte per far valere le sue ragioni. Non è ancora un modo di costruire una politica europea indipendente dalle valutazioni di potenza nazionale.

Perfino la posizione molto europeista dei Paesi Benelux, risente di precedenti equilibri internazionali. Il Benelux, per posizione geografica, e per storia recente, sente più di ogni altro la necessità della costruzione europea. Ma sente ancora il timore di essere schiacciato fra Francia e Germania, come è successo innumerevoli volte nella sua storia e ricorda di essere una zona che è nata e cresciuta per la protezione sempre offerta dall’Inghilterra. E si fa portavoce di una partecipazione inglese che possa ancora proteggerlo, salvo accorgersi, dopo l’ingresso del Regno Unito nella comunità europea, che questo tradizionale alleato non è più in grado di proteggerlo.

Sui tedeschi l’influenza di un interesse nazionale è minore, non perché non esista nel loro pensiero politico una chiara visione dell’interesse della loro nazione, ma perché sente il bisogno di difendersi dal pericolo “nazionale”. Khol lo dirà apertamente: “I tedeschi devono difendersi da se stessi”. E Khol pensa che la politica tedesca, compreso il sogno della unificazione, allora considerata impossibile, deve svolgersi sotto il controllo attento e severo dell’Europa.

Per questo la Germania cerca sempre un partner e lo trova nella Francia di Bidault, e poi nella Francia di De Gaulle, e sviluppa così un pensiero pragmatico di direzione collegiale di cui ha bisogno per meglio svolgere la sua funzione.

In questa posizione pragmatica i democratici tedeschi sentono il bisogno di un rapporto con i partiti conservatori, anche se questi sono, in molti casi, contrari all’idea europea, di cui i tedeschi sono sinceri sostenitori.

Di qui il contrasto storico fra i democratici cristiani tedeschi ed i democratici cristiani italiani. Si è pensato che questo derivasse dal fatto che la DC italiana fosse più a sinistra della CDU tedesca. Dallo studio emerge un’altra cosa. Che la DC italiana, essendo meno pragmatica e più ideologica, era di conseguenza la più europea. E questo era la vera causa del suo prestigio internazionale nell’ambito, della grande famiglia dei democratici cristiani. Il rapporto fra i due partiti fu quindi molto articolato e con fasi diverse, ma è importante constatare che fu, tuttavia, un rapporto molto fecondo, virtuoso e pieno di amicizia.

È strano che questo rapporto si sia poi rotto negli ultimi anni, e non per colpa dei democratici cristiani italiani, che hanno una sola colpa, quella di essere spariti dalla vita politica.

Ma la Merkel, che sarà poi così severa con Berlusconi, fino alla noia, irritazione e perfino disprezzo nei suoi confronti, sentimenti che poi finivano, senza una sua volontarietà, a colpire persino l’Italia, fu proprio lei, per essere da tedesca orientale e da protestante portata a favorire più il rapporto con i conservatori europei, fu proprio lei a permettere l’accettazione di Berlusconi nel Partito Popolare Europeo, errore tragico che l’Italia non ha finito di pagare, che la Germania pagherà essa stessa, e che i democratici cristiani italiani non hanno mai potuto accettare.

Pur tuttavia dobbiamo riconoscere che non è questo il centro del problema. Il centro del problema è un altro: l’assenza dei democratici cristiani dal panorama politico italiano ha messo l’Italia in mano a barbari, che chiamare euroscettici è poco.

E finchè non ci saranno i democratici cristiani in Italia, l’Italia non sarà il motore dell’Europa e la Germania non sarà in grado di proteggersi dai suoi stessi difetti.