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TAURIANOVA (RC), MARTEDì 19 MARZO 2024

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Le ragioni degli altri Riflessioni del giurista Giovanni Cardona sulla disumanità del giudicare

Le ragioni degli altri Riflessioni del giurista Giovanni Cardona sulla disumanità del giudicare
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“Le ragioni degli altri: frammenti dall’esperienza di un giudice” è una felice operetta del 1988, dell’ex magistrato oggi scrittore Severino Santiapichi, sul vangelo che dovrebbe caratterizzare l’agire del vero giudice.
L’imperioso richiamo all’imparzialità e all’equità verso il giudicabile, compendiato in quel titolo, induce timori circa l’uso in concreto di tanti giudicanti.
Ma esiste realmente la giustizia dei giudici, dei buoni giudici da contrapporre specularmente alla figura del cattivo giudice.
Cattivo, secondo le varie incarnazioni da trattato delle passioni, che inducono a raffigurare la cattiveria del giudice nella sua spietatezza, nel suo accanimento, nella faziosità, nella perfidia, nella fraudolenza, nel lassismo.
La difficile vocazione volta a giudicare gli altri può nascere come impulso naturale o da spinte psicologiche che si consolidano con lo sviluppo sociale dell’individuo.
In ogni caso giudicare gli altri è disumano, perché si esercita la potestà che, in esclusiva, è riservata al Creatore.
Ma è una funzione necessaria alquanto inebriante, che non si svela appieno attraverso l’ingombrante memoria storica degli ordinamenti di giustizia, e che determina in quelli che l’hanno provata, un senso di profana onnipotenza dalla quale non se ne distacca agevolmente.
L’antinomia è sempre la stessa: confidare ciecamente nelle virtù taumaturgiche dei seguaci di Temi, giudici popolari o aristocratici, eletti o nominati dall’alto o rimanere agnostici verso i dispensatori di giustizia, in base all’adagio quis custodiet ipsos custodes?
Nella pseudo repubblica italica, qualcosa di simile sta accadendo, con manifeste voglie di continua crescita “panprocessualistica” o ancor peggio di “giurisdizionalismo”, intendendo esprimere con ciò la pessima abitudine degli operatori giuridici di far assurgere le massime giurisprudenziali, soprattutto quelle di legittimità, a veri e propri “precedenti vincolanti” a seconda, ovviamente, delle convenienze.
Ma sul versante tragico, col passaggio dal riso, dal comico e dalla caricatura alla smorfia e al grido di dolore, si fanno largo imperiosi richiami alle violenze storiche, ai trionfi dell’intolleranza, compendiate in rievocazioni volterriane del processo atroce a Jean Calas, al manzoniano processo agli untori, alle colonne infami d’ogni stagione o ai tanti Girolimoni e Tortora, fino agli inquisiti-suicidi di Mani Pulite, silloge speculare di storiche “necessità” delle “mani sporche” della giustizia, secondo nuove lezioni di cultura sartriana.
Soggiorniamo in terra d’Italia, quindi sovente sul ciglio di nuove inquisizioni e accrescimenti al capitolo interminabile della storia universale dell’infamia.
Da tempo stiamo sospesi nel limbo, in attesa di magnificati e pantagruelici cambiamenti.
Se veri, tra essi, -ma il dubbio soverchia la certezza- il primo posto spetta alla riforma integrale degli odierni apparati di giustizia.
“Un giudice che ha venduto la propria imparzialità ai partiti è un giudice che, prima di processare gli altri, dovrebbe essere processato lui e cacciato in galera.” (Indro Montanelli, a Dovere di cronaca, Rete 4, 1988)

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