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TAURIANOVA (RC), GIOVEDì 25 APRILE 2024

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La Repubblica dei Giusti Considerazioni del giurista blogger Giovanni Cardona su una nuova repubblica fondata sull’ideale di Hobbes e Voltaire

La Repubblica dei Giusti Considerazioni del giurista blogger Giovanni Cardona su una nuova repubblica fondata sull’ideale di Hobbes e Voltaire
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Contrariamente a quel che pensava il collega egualmente celebre di Tommaso Hobbes, Ugo Grozio, nella sua opera fondamentale “De iure belli et pacis”, costui afferma che agli uomini sarebbe naturale uno stato di semplicità e vicendevole amore.
Ma questo lo voleva anche Gesù Cristo senza però riuscire a realizzarlo.
Intanto Grozio rivendica l’assoluta sovranità dello Stato, mentre il popolo che gliel’ha affidata per esserne tutelato non può più rivendicarla per sé come se fosse ancora sua.
Ma a tagliare contro interviene Tommaso Hobbes nella sua straordinaria opera “Leviatano“, in cui lo Stato si identifica, presentandolo come un immenso uomo artificiale che ha per anima il “reggitore“, per membra i funzionari, per memoria i consiglieri, per sanità la concordia, per malattia la rivolta.
Come sapete, il “Leviatano” è il mostro di cui si parla nella Bibbia, nel libro di Giobbe, ed è rappresentato sorgente dal mare con in una mano la spada e nell’altra il pastorale, perché Hobbes attribuisce allo Stato sovranità assoluta sulla Chiesa anche in materia di fede.
In sostanza, dice Hobbes, gli uomini non sono portati da natura a vita sociale, come le api, le formiche, ecc., stato di natura è per essi la guerra di tutti contro tutti, perché ciascuno, ascoltando solo il proprio egoismo, procaccia il suo vantaggio, in lotta con tutti gli altri, parimenti intenti a procacciare il loro vantaggio.
Ma, poiché questo stato di cose non giova a nessuno, ecco che soccorre il trasferimento dei diritti dei singoli allo Stato, definitivo come “persona civile“: cosicché morale, religione, etica, scienza, virtù, pace, ricchezza, benessere, rettitudine, diritto, socievolezza, civiltà, sapere provengono solo dallo Stato ed a lui ritornano.
Per cui, continua ancora Hobbes, “in sé nulla è bene, nulla è male, perché bene è ciò che lo Stato sanziona, male è ciò che lo Stato proibisce… ed è religione quella che lo Stato riconosce, superstizione quella che non riconosce“.
Trentatré anni dopo la morte di Hobbes, ossia nel 1712 nasceva un altro grande filosofo, Giangiacomo Rousseau, che fino al 1778, anno della sua morte, ha improntato di sé tutta un’epoca storica, ritornando sugli argomenti del suo predecessore.
Il naturalismo, che sta a base di tutto l‘empirismo e di tutto l’illuminismo, assume in Rousseau una forma nuova, come glorificazione dell’innocente natura originaria e poetica aspirazione a tornare alla natura.
Questa poesia e filosofia del pensatore ginevrino che, nel ritorno alla natura, predica, in realtà, l’elevarsi dell’uomo dalla disperazione della sua vita sensibile alla purezza d’una vita sanamente morale, è il miglior dono fatto dal Settecento francese alla coscienza europea.
Per Rousseau poiché la “volontà generale” è impersonata dalla stessa sovranità dello Stato che si arroga il potere e il diritto di tutelare i cittadini in tutte le sue forme ed espressioni che hanno delegato, appunto, lo Stato a sostituirsi in tutti i suoi interessi, e ciò esplicato in un vero e proprio “contratto sociale” come fosse un contratto tra privati si dà il caso che lo Stato, spesso, non riesce a star dietro al contratto, cioè non è in grado più di rispettarlo.
In tal modo, il cittadino non è più obbligato a rispettare lo Stato, perché automaticamente si sostituisce a lui e fa quel che lo Stato non fa, non ha fatto e non vuol fare: perché lo Stato è diventato un inadempiente “fuorilegge”.
In sostanza, lo Stato abdicando ai suoi diritti-doveri diventa un vuoto rinunciatario di poteri e il cittadino diventa il suo stesso garante.
Stante così le cose, la storia odierna rappresentata da una assurda politica che, oltre a mortificarci, costituisce la più proterva offesa alle nostre intelligenze, deve essere smantellata o riscritta con un’altra Storia.
A proposito, se tra di voi ci fosse qualcuno che avesse l’uzzolo di definire ancora la Storia con parole alate altisonanti strepitose, io gli dico che si sbaglia.
Vale per tutto e per tutti il geniale aforisma di Oscar Wilde, secondo cui “quella che noi chiamiamo la Storia non è che un calendario di delitti“!
Come ha detto suggestivamente Gustav Meyrink: “Nulla possiamo fare che non sia magico“.
E’ ora, quindi, che diventiamo tutti eroi. Peraltro, non c’è in guerra eroe più eroe di un vigliacco che si decide a diventare eroe.
Signori fateci un pensierino, cercate di meditarci un po’ su e cerchiamo di svegliarci domani mattina con una suprema idea di riscatto, di ribellione, di rivolta totale.