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TAURIANOVA (RC), LUNEDì 29 APRILE 2024

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La lanterna di Diogene

La lanterna di Diogene

“Quando la sicurezza del potere (mafioso) si fonda sull’insicurezza dei cittadini e….delle istituzioni”

di GIUSEPPE LAROSA

La lanterna di Diogene

“Quando la sicurezza del potere (mafioso) si fonda sull’insicurezza dei cittadini e….delle istituzioni”

 

di Giuseppe Larosa

 

 

In questi mesi ho osservato silente molte vicissitudini che hanno avuto come comune denominatore, la criminalità organizzata. Dall’insediamento di commissioni di accesso in vari comuni calabresi, al conseguente scioglimento per infiltrazioni mafiose fino a diversi omicidi (alcuni ai danni di giovani vite), ed attentati vari, che hanno creato instabilità tra la gente onesta e perbene nonché in tutta la propria comunità di appartenenza.
Ed attraverso questi cattivi messaggi sociali, ho cercato di porre in essere facendo un confronto con quello che uno dei più bravi filosofi contemporanei, Umberto Galimberti, scrisse una volta su Repubblica che, «In Italia la lotta alla mafia non sarà mai vinta, perché la mafia non è altro che la versione truculenta del costume diffuso, dove la parentela, la conoscenza, lo scambio di favori, in una parola, la rete “familistica” ha il sopravvento sul riconoscimento dei valori personali e sui diritti di cittadinanza». E questa “rete familistica” colpisce la trasparenza, la legalità, il vivere civile ed il concetto stesso di democrazia libera. Perché ci rende tutti disuguali davanti alla società in cui viviamo. Certo, tutto questo va oltre della seppur importante parola “omertà”. È un concetto molto più ampio che investe la natura stessa delle cose rendendola malata nel suo percorso di vita esistenziale.
In tutto questo si è notato, e non è un mistero né credo di scoprire l’acqua calda, se dico che è mancata l’indignazione. Ecco, siamo in un paese dove c’è carenza effettiva di indignazione. Ossia, quella componente fondamentale che ci fa sentire più forti e più coraggiosi perché prendiamo coscienza degli episodi cruenti della vita. Così come delle ingiustizie che delle persecuzioni e delle tirannie sociali.
Ma tutto questo cosa crea? Lascio spazio a quella indignazione che io definisco “associativa” per business, ossia tutte quelle associazioni che nascono con il “bollino” dell’antimafia, così definita “sociale” che in molti casi mi sono espresso con notevole preoccupazione, in quanto mi faceva più paura della mafia stessa. sarò impopolare in questo e forse andrò anche controcorrente, ma è la verità. Ed a volte, tale è acclarata con i fatti. Prendiamo tutte quelle associazioni (che si indignano a comando) e vanno a fare la parata “piazzaiola” per denunciare un omicidio o una morte, vestendosi di parvenza antimafia solo per uno specifico scopo. Quello di raggiungere un obiettivo, che nella maggior parte dei casi è, o uno scranno in Parlamento oppure un beneficio economico tramite l’erogazione di contributi statali (e poche volte privati), e quindi costruirsi una “professione” intorno al fenomeno Mafia. Costruendo il loro consenso criminalizzando perennemente un territorio che stenta a risollevarsi pur con poche forze a disposizione, ma lo fa.
Questo, a mio avviso, è un’offesa nei confronti di chi la mafia la combatte tutti i giorni e lo fa stando nel territorio ove regna il mafioso di turno. E lo fanno a volte in regime di “isolamento”, ossia quel fenomeno che ha colpito alcuni giudici come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino ed altri che non ci sono più o che hanno dovuto lasciare i propri incarichi. E che per questo sono stati ammazzati.
Un esempio che vorrei porre in evidenza è stato l’isolamento dell’on. Angela Napoli. Isolata appena gli era stata tolta la scorta e che nessuno se non pochi intimi hanno manifestato di questa, chiamiamola “ingiustizia” che rischiava di travolgere la sicurezza di una persona che ha fatto della lotta antimafia, la sua storia parlamentare. Molte volte ho criticato le scelte dell’on. Napoli per i suoi trascorsi politici, per le sue assenze e l’ho fatto sempre con lo spirito del contraddittorio e della critica senza mai arrivare all’insulto come molto spesso si fa in questi casi. Però, in questo preciso contesto viste le parole che a gennaio di quest’anno del boss Pantaleone Mancuso, «Stiamo lavorando per toglierla di mezzo», e poi togliere la scorta, diciamo che qualche cosa che non va c’è. e questo “qualcosa” è stato disarmante per tanti motivi, uno su tutti, il fatto che nessun partito politico o istituzione comunale taurianovese, abbia preso le difese di questa situazione manifestando una seppur (ed anche singolare) solidarietà. Niente, buio pesto all’orizzonte. Ecco, questo non va bene. E non aiuta il progresso culturale di una società che dovrebbe avere l’ambizione di evolversi. La lotta alla mafia dovrà essere sempre una battaglia culturale contro un costume che addosso ad una società si incancrenisce come una piaga. E non far interferire rancori personali o altro quando c’è di mezzo la sicurezza e la vita di una persona. Questa non è cultura antimafiosa, ma si aiuta la mafia a proliferare nel silenzio ed ahimé nell’indifferenza istituzionale, sindacale e sociale.
Osservare ancora rende più solida la frase di Gesualdo Bufalino che una volta consigliò che la mafia poteva essere sconfitta solo con un “esercito di maestre elementari”. Il resto non serve a nulla….è inefficiente.
lalanternadidiogene@approdonews.it