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La lanterna di Diogene

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Le invasioni “caprine” al cimitero di Radicena

a cura di GIUSEPPE LAROSA

La lanterna di Diogene

Le invasioni “caprine” al cimitero di Radicena

 

a cura di Giuseppe Larosa

 

diogene 

Mai avrei pensato di (ri)aprire questa rubrica per parlare di “capre”, ma non nel senso antropologico del termine, perché ce ne sarebbe da scrivere (e da leggere). Ma per una condizione doverosa di solidarietà verso questi animali genuini (dal latte buono e di facile digeribilità), oltreché mansueti. A differenza di chi li utilizza per registrare una loro “colpevolezza” o meglio, debolezza, quella dell’esigenza di cibarsi dell’erba fresca. Anche a costo di intrufolarsi in un luogo sacro come un cimitero. E sarà mai davvero, “Un episodio per cui vergognarsi”? E poi chi si dovrebbe vergognare, le capre o chi ha scattato quella foto? O meglio, a mio avviso, chi sta enfatizzando questa notizia come se fosse un’onta di dimensioni inimmaginabili, addirittura scomodando il termine “invasione”. Avevo sentito parlare di invasione, prima degli alieni, ancor prima dei barbari; ma quelle delle capre era un qualcosa che mancava, e che per colorare una giornata grigia sarebbe stata ideale, come ad esempio quello di dare un tocco di “verde”. Il colore dell’erba perché il rosso che è più vivo, è quello della vergogna, ma non perché delle capre trovano accidentalmente un varco per andare semplicemente a cibarsi. Ma per chi sfrutta una loro debolezza per attaccare anche i (citati) “custodi”.
Ora, si può anche comprendere che “Le mandrie e le greggi pascolino in campagna, perché ai morti rimangano giardini ed aiuole coltivate a fiori e piante ornamentali”, ma non passa a nessuno per la testa che magari ai cari defunti, possa far piacere osservare delle innocenti capre? Io penso di sì e come me lo pensava anche Umberto Saba che ne scrisse una poesia sulle Capre e tra i suoi versi si legge, «Quell’uguale belato era fraterno al mio dolore. Ed io risposi, prima per celia, poi perché il dolore è eterno, ha una voce e non varia. Questa voce sentiva gemere in una capra solitaria».
A questo punto le strade sarebbero tante e diverse, ma come ogni buon percorso che si rispetti occorre andare per gradi e per condizione logica. Chiedere scusa alle capre innanzitutto, poi ai custodi che ignari sono stati accusati ingiustamente di un qualcosa che non hanno commesso. Oltre a mettere in dubbio i loro doveri all’interno di un luogo sacro che tutto ha, tranne che “arbusti ed erbe selvatiche (…) di altezza di circa due metri”. In secondo luogo, valorizzare l’allevamento caprino, magari proponendo al sindaco Romeo e per delega cimiteriale all’assessore Coluccio un bando di assunzione di personale “pastorale”. Giusto per dare una guida a questi poveri animali mansueti e simpatici perché come sempre ci diceva il Saba, «In una capra dal viso semita sentiva querelarsi ogni altro male, ogni altra vita».
Ci abbiamo scherzato su, qualcuno stamani si è anche (giustamente) arrabbiato, qualcuno (forse) cercherà di tutelare l’immagine lesa, altri parleranno, altri ancora scriveranno righe su righe nei giornali locali. Riportare notizie è un qualcosa di giusto, doveroso e costituzionale, ma è anche dovere di chi le riporta di dare un tocco diciamo di “moralità” e diciamolo pure, anche un tocco di goliardico sorriso, perché in un contesto serio e drammatico come il tempo che stiamo vivendo, appesantirlo con “stranezze” inutili “non è cosa buona giusta”.
Ed a prescindere da questa rubrica parte la sincera solidarietà alle capre e faccio appello a chi è preposto, a garantire la loro tutela.

lalanternadidiogene@approdonews.it