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La lanterna di Diogene

La lanterna di Diogene

| Il 23, Lug 2012

Quando la ‘ndrangheta diventa poesia e la Stampa ne riporta i versi

a cura di GIUSEPPE LAROSA

La lanterna di Diogene

Quando la ‘ndrangheta diventa poesia e la Stampa ne riporta i versi

 

a cura di Giuseppe Larosa

 

 

Il mio amico fraterno Voltaire disse una volta che «Gli uomini adoperano il pensiero solo per giustificare le loro ingiustizie, e impiegano le loro parole solo per travestire i loro pensieri».

Questo pensiero rubato ad un grande illuminista è per introdurre due eventi giornalistici che ho letto con attenzione, curiosità e soprattutto stupore. E se mi dovessi trovare dentro un fumetto, avrei un’espressione racchiusa nella nuvoletta di testo con scritto: “Gulp!”.

Calabria Ora pubblica un’intervista al parroco di Rosarno don Memè Ascone che, in t-shirt bianca, bermuda e smartphone di ultimo grido ben a vista, dichiara che «Francesco Pesce è un mio amico, Domenico Varrà è un gran gentiluomo e Franco Rao è una gran brava persona. Frequentano la mia chiesa», tutti coinvolti nel famoso processo alle cosce della ‘ndrangheta denominato “all inside”. Queste le dichiarazioni, diciamo inusuali tra un limite che potrebbe essere definito dell’inopportunità e diciamolo pure, il ridicolo, questo prete spiega come il titolo giornalistico lo presenta ossia, “La mafia secondo don Memè”. E lo fa con estrema lucidità senza mai trapelare nessun segno di imbarazzo ma asserendo come un giudice (in questo caso non di Dio) che in quel famoso processo ci “persone detenute ingiustamente”. Ed ecco, i titoloni di molti giornali su queste “frasi shock”, che io ritengo oramai facente parte della serie “Non stupiamoci più di nulla”. Eppure in Calabria vige sempre il concetto della controtendenza. Pochi mesi fa il vescovo della diocesi di Agrigento negava (a mio avviso ingiustamente), la messa ad un noto boss mafioso, qui in Calabria i mafiosi rischiano di passare anche per persone perbene (sic).

Ma la chiesa ed i suoi servi non è nuova a queste sortite, se pensate che negli anni ’60 il cardinale di Palermo Ernesto Ruffini alla domanda “Che cos’è la mafia”, rispose, “Forse una marca di detersivi?” e molti rivoli di storia di Cosa nostra descrivono atteggiamenti per nulla ostili tenuti da questi ministri del culto nei confronti di boss mafiosi. Quindi, non sorprendiamoci di nulla né facciamo diventare il problema più grande di quanto lo sia già. Oppure il caso di padre Agostino Coppola, parroco di Carini e nipote di un boss italo-americano. Questo sacerdote fu arrestato a metà degli anni ’70 perché complice di sequestri di persona operati dal boss Luciano Liggio. Dove il pentito Antonino Calderone disse a Giovanni Falcone testuali parole «Agostino Coppola è mafioso, è stato punto, è organico a Cosa nostra e fa parte della famiglia di Partinico”

Il caso più famoso è forse quello di padre Agostino Coppola, parroco di Carini e nipote del boss italo americano “Frank Tre Dita” Coppola. Il sacerdote fu arrestato nel 1976 perché sarebbe stato complice del boss Luciano Liggio, che in quegli anni si dedicava con profitto ai sequestri di persona. In alcuni casi sarebbe stato padre Coppola a recarsi dalle famiglie dei sequestrati per riscuotere il riscatto. «Agostino Coppola è mafioso, è stato punto, è organico a Cosa nostra e fa parte della famiglia di Partinico», oltre al fatto che alcuni pentiti indicarono come il parroco che celebrò il matrimonio tra Totò Riina e Ninetta Bagarella.

Altro caso è stato quello di monsignor Salvatore Cassisa, arcivescovo di Monreale, molte volte accusato di collusione mafiosa e sempre assolto che pressò sull’allora sindaco di Palermo Leoluca Orlando di liquidare dei crediti che il comune aveva con il deus degli appalti, il conte Arturo Cassina nella Palermo di Lima e Ciancimino, e siccome Orlando si rifiutò il monsignore tolse il saluto. E la lista sarebbe ancora molto lunga.

E non dimentichiamoci delle parole del rettore della basilica di Sant’Apollinare a Roma, monsignor Piero Vergari, del 6 marzo 1990, in una lettera attestò come “grande benefattore” il boss della magliana Enrico De Pedini detto “Renatino”: «Si attesta che il signor Enrico De Pedis nato in Roma – Trastevere il 15/05/1954 e deceduto in Roma il 2/2/1990, è stato un grande benefattore dei poveri che frequentano la basilica ed ha aiutato concretamente a tante iniziative di bene che sono state patrocinate in questi ultimi tempi, sia di carattere religioso che sociale. Ha dato particolari contributi per aiutare i giovani, interessandosi in particolare per la loro formazione cristiana e umana». Meno male che hanno rimosso da quasi un mese questa vergogna tutta italiana “sposata” dalla chiesa cattolica.

«In ogni forma di società, anche la più evoluta, esiste la componente fisiologica di criminalità semplice o organizzata», ed ancora, «Una società giusta è un obiettivo ideale al quale si può tendere, ma una società più giusta di quella che conosciamo, sarebbe certamente più forte e maggiormente capace di produrre gli anticorpi per contrastare la criminalità organizzata». Non sono le parole di uno studioso di ‘ndrangheta, non sono le parole di un magistrato e non sono nemmeno le parole di un sociologo che studia il fenomeno mafioso. No. Sono alcuni passaggi dell’intervista fatta ad Alessandro Figliomeni, già sindaco di Siderno, detenuto in regime carcerario in 41bis perché accusato di essere un dirigente della cosca locale di ‘ndrangheta. Questa intervista, che consiglio a tutti di leggerla, pubblicata da La Riviera a firma del giornalista Ilario Ammendolia, è una “chicca” da cineteca. Un sospettato di essere mafioso, detenuto in regime di carcere duro, spiega la nocività della ‘ndrangheta. Desidero premettere con ciò, che non voglio ergermi a giudice per tanti motivi, uno che sono un convinto garantista e due perché sono contrario al carcere duro del “41bis” in Italia perché reputo questa misura una costrizione simile ad una tortura contro i diritti umani. Però a tutto c’è un limite specialmente alla decenza.

E per tornare al discorso iniziale, il giornalista fa anche questa domanda che solo a leggerla ho avuto un misto tra il brivido ed il sorriso, “È compatibile la ‘ndrangheta con il Cristianesimo?”. Ma che razza di domanda è? Ed addirittura il Figliomeni risponde pure dicendo: «Dipende dal rapporto che si ha con la fede. Se questo rapporto si riduce ad un formalismo tradizionale che non impegna la persona nelle scelte di vita quotidiana, allora è possibile una certa compatibilità. Viceversa, se il rapporto con la fede viene vissuto come impegno di vita e di osservanza della dottrina sociale della Chiesa, assolutamente no». Avete letto bene? Allora se si ha una fede formale e tradizionale che non sia impegnativa per le scelte di vita allora c’è compatibilità (sic!), altrimenti no!

Giovanni Falcone scrisse nel suo famoso libro Cose di Cosa Nostra che «La mafia si caratterizza per la sua rapidità nell’adeguare valori arcaici alle esigenze del presente, per la sua abilità nel confondersi con la società civile, per l’uso dell’intimidazione e della violenza, per il numero e la statura criminale dei suoi adepti, per la sua capacità ad essere sempre diversa e sempre uguale a se stessa».

Giovanni Falcone aveva ed ha ancora ragione a vent’anni dalla sua morte.

lalanternadidiogene@approdonews.it