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TAURIANOVA (RC), MARTEDì 30 APRILE 2024

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La lanterna di Diogene

La lanterna di Diogene

Flavio Scutellà. Una morte tra “(in)giustizia e giustizia divina”

a cura di GIUSEPPE LAROSA

La lanterna di Diogene

Flavio Scutellà. Una morte tra “(in)giustizia e giustizia divina”

 

a cura di Giuseppe Larosa

 

 

«Quale gioiello della vita, quale adamantino momento varrà mai il dolore che può causare la sua perdita?» scriveva il poeta Paul Valery, mentre Alfonso Scutellà, oggi ha detto, «(…) se hanno fatto il possibile per nostro figlio che lo facciano così anche per i propri figli». Parole intense e piene di rabbia quelle dei genitori di Flavio Scutellà, per la perdita del proprio figlio. Il ragazzo dodicenne morto per una banalissima caduta ai giochi, dopo tre giorni di agonia avvenuta nel 2007.

Anni trascorsi dal quel 2007 interminabili, che hanno segnato profondamente la vita dei genitori di Flavio, il padre Alfonso e sua moglie, e che appena letta la sentenza del giudice Angelina Bandiera non hanno potuto fare a meno di far esplodere la propria rabbia “Dopo quattro anni ingiustizia è fatta – ed ancora – In questi lunghi anni – ha aggiunto – c’è stato un balletto tra Procure, giudici e tribunali. Siamo passati dal tribunale di Palmi a quello di Reggio Calabria, sono cambiati cinque giudici ed ecco che poi alla fine si è arrivati ad un risultato per il quale ci convinciamo sempre di più che la giustizia non esiste. Questa sentenza ci ha profondamente delusi e ci allontana sempre di più dalle istituzioni”. Parole amare pieni di sgomento e di incredulità. I condannati sono solo quelle persone che all’epoca erano in servizio all’ospedale di Polistena ed il resto, tutti assolti (sic). Nessuna responsabilità per una morte che ancora brama giustizia, quella “giustizia divina” che Alfonso Scutellà pretende di avere perché è un credente. Così ha dichiarato nella sua solitudine davanti al palazzo di giustizia ad un giornalista.

Emil Cioran disse che «La sofferenza apre gli occhi, aiuta a vedere le cose che non si sarebbero percepite altrimenti. Quindi non è utile che alla conoscenza, e, all’infuori di essa, serve solo ad avvelenare l’esistenza», ed è la conoscenza che doveva essere presa in essere per dare una speranza di giustizia a dei genitori che si sono visti sottrarre dall’errore umano, dalle imperizie, dalle inerzie e dalle omissioni nonché dalle mancanze un figlio dalle loro mani.

Flavio aveva appena dodici anni, era nel fiore di una gioventù ancora da esplodere, da vivere con passione. Quella gioventù che gli avrebbe consentito di affrontare il mondo con si suoi pericoli, nemmeno il tempo di accorgersene che quel mondo gli si è rivolto contro con un’audace cattiveria che non ha posto limiti alla disgrazia ed al tormento.

Il piccolo Flavio non ha avuto nemmeno il tempo di una delusione d’amore né la possibilità di una sbronza tra amici come di qualche “cazzata” che si fa nella gioventù. Flavio è morto prima ancora di vivere. No, sarebbe comodo dire così, invece è giusto dire Flavio è stato ucciso da un colpevole ancora sconosciuto.

Non sto a sindacare né a criticare sulle sentenze, non è il compito né il tema di questo ricordo, ma una cosa non posso esimermi dal non dirla. Com’è possibile che ci siano state otto ore di ritardo per cercare un posto per poter operare Flavio e non si trovava così come anche mancava l’autoambulanza per il trasporto? E come, in un mondo fatto di globalità di progressi e quanto altro ancora, si possa rifiutare un ricovero? Il resto lo lascio stabilire ai giudici come credo sia giusto e come credo lo facciano nel ricorso in appello dei genitori di Flavio. È doveroso, è umano ma è soprattutto un diritto per l’umanità dare l’esempio di uno vero stato di diritto.

Flavio, originario di Scido, un paese nel cuore dell’Aspromonte molto spesso ricordato da enfatici e scenografici giornalisti come luogo di briganti, mafiosi e sequestratori, adesso è il paese natio di un’ingiustizia per colpa dell’uomo.

E la Regione Calabria perché manca tra gli imputati di questo processo? Quella Regione che per onor del debito sanitario lascia sguarnite centri di salute e paesi senza pronto soccorso di primo intervento. Quella Regione che ancora oggi parla di ospedali unici e di lettere che dovrebbero arrivare da Roma ed intanto, in un’aula di tribunale si è consumato una triste pagina di malasanità e di “ordinaria ingiustizia”. Gli anni passano ma le lacrime rimangono e le ferite sono ancora aperte e sanguinano perché hanno sete di giustizia…..terrena o divina poco importa.

lalanternadidiogene@approdonews.it