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TAURIANOVA (RC), VENERDì 29 MARZO 2024

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La “Cultura” ai tempi del social, dentro il social e fuori dal social? Poeti, navigatori, latin lover, intellettuali, uomini d'arte e di sapere, figli dell'omologazione pasoliniana e di Facebook

La “Cultura” ai tempi del social, dentro il social e fuori dal social? Poeti, navigatori, latin lover, intellettuali, uomini d'arte e di sapere, figli dell'omologazione pasoliniana e di Facebook

Di Giuseppe Larosa

Il social in questo terzo millennio sta diventando lo specchio reale di una società la quale prima era prettamente nascosta, celata e che di colpo si rivela a suon di pensieri (quasi abominevoli diremmo). Quelli come noi, figli degli anni ’80, che trascorrevamo la nostra adolescenza in mezzo alla strada, oggi ci ritroviamo ad adeguarci ad un contesto fatto di plastica e diciamolo pure, di merda.
Umberto Eco, un anno prima della sua dipartita, durante una cerimonia pronunciò delle parole che fecero molto scalpore, ma dense di verità ed Eco se lo poté permettere. Disse, “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. Premesso che anche chi scrive fa parte di quelle “legioni” in quanto frequentatore di social e non ha la minima presunzione di contraddire un maestro come Umberto Eco. Si è notato in tutti questi anni una ricerca scientifica ontologica del social anche con numerose tesi di laurea. Indagini giornalistiche e altri trattati sociologici per poi riportare quello che ai pochi è comprensibili se non agli addetti ai lavori.
Ma quello che maggiormente presta attenzione a noi “povera gente”, magari con la mente non proprio in moto perpetuo tra i meandri sconfinati della cultura, è la megalomania, direi quasi se non completamente patologica, di chi frequenta il social e ne fa un uso diciamo, narciso-autocelebrativo.
Una sorta di visionari da “rione di periferia”, affetti da “provincialismo acuto” e che si ritrovano di colpo nella propria vita, protagonisti in una sorta di “Truman show”.
I protagonisti sono come in un reality, c’è la casalinga che fa sfoggia di letture impegnative, tra il cucinare ed un mettere a posto la lavastoviglie, citando finanche tesi di Hegel, senza tralasciare la “critica” kantiana. Poi la professionista in tenuta air flower che si cimenta in improponibili elucubrazioni da vene poetiche di inimmaginabili ispirazioni dove la tecnica interpretativa del “capolavoro” letterario fa arrossire finanche Escher e le sue opere, riducendo la loro spiegazione ad uno scarabocchio da bambini di scuola primaria.
La bellezza dei social è anche la consapevolezza dello spaccato in essere come forma reale esistenziale dell’apparire, una sorta di costrizione umana che in attesa dell’avvento dei social che li faceva stare ovattati in attesa dell’omologazione da social.
Così come Flaiano, “Appartengo alla minoranza silenziosa. Sono di quei pochi che non hanno più nulla da dire e aspettano. Che cosa? Che tutto si chiarisca? L’età mi ha portato la certezza che niente si può chiarire: in questo paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità, noi ne abbiamo infinite versioni. Le cause? Lascio agli storici, ai sociologi, agli psicanalisti, alle tavole rotonde il compito di indicarci le cause, io ne subisco gli effetti. E con me pochi altri: perché quasi tutti hanno una soluzione da proporci: la loro verità, cioè qualcosa che non contrasti i loro interessi. Alla tavola rotonda bisognerà anche invitare uno storico dell’arte per fargli dire quale influenza può avere avuto il barocco sulla nostra psicologia. In Italia infatti la linea più breve tra due punti è l’arabesco. Viviamo in una rete d’arabeschi”.