In questa settimana è iniziato alla Camera il dibattito sulla legge elettorale
Mar 06, 2014 - redazione
Una riflessione sulle menzogne che sul tema da venti anni ci propina tutti i giorni una approssimativa classe politica, ridotta a claque del proprio capo politico
di BRUNO MORGANTE
In questa settimana è iniziato alla Camera il dibattito sulla legge elettorale
Una riflessione sulle menzogne che sul tema da venti anni ci propina tutti i giorni una approssimativa classe politica, ridotta a claque del proprio capo politico
di Bruno Morgante
La necessità di una nuova legge elettorale è il frutto della sentenza n° 1 di questo anno della Corte Costituzionale con cui ha decretato come anticostituzionali alcune parti della vecchia legge elettorale, volgarmente conosciuta come “porcellum”, sulla base della definizione che ne diede il suo primo firmatario, sen. Calderoli della Lega e ministro delle riforme del governo Berlusconi, la cui maggioranza approvò la legge nel 2006.
La corte ha riconosciute come anticostituzionali, quindi di fatto le ha cancellate dal corpo della legge, le norme che:
– Assegnano il premio di maggioranza al partito o coalizione che prendeva la maggioranza relativa dei voti, indipendentemente da qualsiasi soglia, per cui teoricamente alla Camera poteva avere il 55% dei parlamentari un partito o coalizione con il 25% dei voti espressi;
– Prevedono le liste bloccate che generano un parlamento di nominati senza che l’elettore possa scegliere il proprio rappresentante attraverso il voto di preferenza o eleggere in collegi uninominali il proprio parlamentare.
Dopo questa sentenza il “porcellum” mutilato diventa una legge proporzionale pura con liste di partito e con la preferenza, per cui inapplicabile perché non in grado di garantire un governo la sera stessa delle elezioni, anche se vigente.
Dall’accettazione di tutte le forze politiche di questo concetto dell’inapplicabilità di una legge proporzionale si comprende che il “porcellum” non è stato un errore o un colpo di mano, ma un ulteriore passaggio, dopo il “mattarellum” e la preferenza unica, verso l’obiettivo, inseguito da tutti da venti anni, di arrivare ad una democrazia oligarchica.
Da venti anni ci viene spiegato continuamente che il problema dell’Italia è la stabilità di governo e la possibilità di sapere la sera stessa dello spoglio elettorale chi ha vinto e quale sarà il futuro governo.
Il primo punto, la stabilità di governo, è condivisibile e penso che ogni cittadino lo sottoscriverebbe, sapendo però che questo obiettivo dipende in buona parte dalla maturità e dal senso di responsabilità delle forze politiche e non solo, come ci viene spiegato, da meccanismi elettorali, così come è condivisibile il secondo punto, il sapere subito dopo le elezioni quale sarà il governo, soltanto che bisogna essere coscienti che è un auspicio, in quanto non si può imporre per legge che la maggioranza assoluta dei cittadini voti allo stesso modo.
Siccome in Italia nessun partito è pensabile che raggiunga la maggioranza assoluta dei consensi, da venti anni sono state demonizzate le coalizioni di governo, sinonimo per la propaganda imperante, di ricatti, di inefficienza e di instabilità governativa, si usano termini quali sistema maggioritario, richiamando esperienze di paesi sicuramente democratici quali l’Inghilterra, la Francia, l’America, per legittimare una minoranza a diventare maggioranza nel parlamento.
Sull’altare della governabilità si è sacrificata ogni forma di partecipazione critica e di espressione del libero pensiero, si è arrivati ad avere leaders soli al comando dei partiti, con la scusa di combattere le degenerazioni correntizie all’interno dei partiti e le imboscate parlamentari, arrivando a dare loro il potere di nominare il parlamento, per non correre il rischio di turbolenze da parte di deputati all’interno dello stesso partito che dovessero pretendere di rappresentare un proprio elettorato e di avere il dovere di esprimere una propria opinione, come recita la costituzione.
Il dramma è che questa impostazione ci viene propagandata come modernità e allineamento alle democrazie europee più avanzate.
In tutta Europa, che è la culla della democrazia parlamentare, non c’è una nazione in cui non ci siano governi di coalizione, che si formano dopo le elezioni, escluso la Francia, dove le coalizioni si formano tra il primo e il secondo turno elettorale.
Ultimamente anche in Inghilterra, patria del bipartitismo, c’è un governo di coalizione tra conservatori e liberaldemocratici, formatosi dopo il voto, resosi necessario in quanto anche il sistema maggioritario puro a turno unico, lì vigente da secoli, non ha espresso una maggioranza da parte di un unico partito.
In Germania la democrazia cristiana, con a capo la signora Merkel, vincitrice delle elezioni con il 43% dei voti , non ha ottenuto la maggioranza dei seggi del parlamento e ha fatto un governo di coalizione con il partito socialista, suo antagonista in campagna elettorale, senza che nessuno nei due partiti abbia gridato al tradimento del proprio elettorato.
Lo stesso dicasi per la Spagna, dove sono normali maggioranze di coalizione con partiti regionali, o nei paesi bassi o scandinavi, dove da sempre governano coalizioni di centrosinistra o di centrodestra.
Tutte queste nazioni soffrono di instabilità e di inefficienza nell’attività di governo?
Non siamo ridicoli.
In tutte queste nazioni ci sono partiti forti, che selezionano classi dirigenti capaci e responsabili, punto di riferimento dei corpi intermedi della società, dai sindacati, agli imprenditori, alle professioni, agli artigiani, agli amministratori locali, che ne garantiscono la coesione e lo scambio continuo su problemi e bisogni.
Le coalizioni nascono su accordi concreti per la soluzione da dare ai problemi della nazione, fermo rimanendo la diversità dei partiti che compongono la coalizione, accordi che poi vengono portati avanti con serietà dai parlamenti.
Ci viene detto che in Europa non esistono le preferenze per legittimare la nomina dei deputati da parte dei segretari dei partiti.
Niente di più falso.
In nessun paese dell’Europa i deputati sono nominati dai segretari dei partiti.
Dove vige il sistema uninominale (Inghilterra, Francia, Germania), come era da noi il “mattarellum”, il cittadino sceglie direttamente il proprio deputato e quasi ovunque ci sono le primarie di partito nel collegio per individuare il candidato.
Dove ci sono liste bloccate, come in Germania, dove esiste un sistema misto con collegi uninominali e liste di partito con sei o sette candidati, le liste vengono formate con primarie di partito previste e regolate dalla legge, per cui sono gli iscritti dei partiti e non il segretario nazionale a dettare l’ordine delle candidature.
Nei paesi bassi e nei paesi scandinavi vige il sistema proporzionale con liste di partito e con le preferenze.
La verità è che tutta l’Europa è governata da una forma di democrazia in cui i partiti ne sono i pilastri portanti, partiti che garantiscono democrazia interna, partecipazione e controllo democratico dell’attività dei propri dirigenti, partiti in cui agli iscritti viene dato il potere di individuazione dei candidati da proporre all’elettorato, mentre l’Italia, avendo distrutto i partiti, si è avviata verso una forma di democrazia oligarchica, con una classe politica che pretende di essere inamovibile, garantita non dal rapporto con il proprio elettorato, ma dalla lealtà verso il proprio capo.
In questo contesto è approdata alla camera la proposta di legge elettorale, redatta sulla base dell’accordo raggiunto tra Renzi, Berlusconi e Alfano.
I punti salienti della proposta di legge sono:
a) Premio di maggioranza, pari massimo al 18%, al partito o alla coalizione che supera il 37% dei voti;
b) Ballottaggio tra i primi due partiti o coalizioni dopo quindici giorni se nessuno raggiunge il 37% dei voti. Il partito o coalizione che arriva prima al ballottaggio ottiene il 55% dei parlamentari.
c) C’è uno sbarramento per permettere ai partiti di partecipare all’assegnazione dei seggi. Lo sbarramento è del 4,5% per i partiti in coalizione; dell’8% per i partiti che si presentano da soli; del 12% per le coalizioni;
d) Le circoscrizioni elettorali, che nel “porcellum” erano regionali, escluso le grandi regioni che erano divise in due circoscrizioni, nella nuova proposta sono all’incirca corrispondenti alle province con liste di sei, massimo otto, candidati. Restano le liste bloccate formate dai segretari dei partiti, non essendo prevista nessuna forma di primarie, che restano una scelta autonoma dei singoli partiti. Di fatto rimane il parlamento di nominati, con l’elettore che può scegliere il partito, la coalizione, ma non esprimere preferenze.
e) Legge elettorale per regolamentare solamente l’elezione dei membri della camera, mentre per l’elezione del senato rimane la legge risultante dalla sentenza della consulta, di fatto un proporzionale puro con preferenza e collegio regionale, senza contabilizzazione di resti a livello nazionale.
E’ un imbroglio continuo.
Da sette anni ci hanno bombardati con la denuncia del parlamento dei nominati e ora, almeno i tre maggiori partiti ( PD, Forza Italia, M5S) sono tutti concordi nel non cambiare, anche se ognuno dice di essere favorevole alle preferenze e dà la responsabilità all’altro di non volerle.
Da venti anni prima ci hanno convinti che la democrazia matura è l’alternanza al governo tra coalizioni alternative, poi, dopo il fallimento delle coalizioni, che la democrazia matura è l’alternanza tra due partiti, oggi, dopo il fallimento del PDL, che la democrazia matura è l’alternanza tra due leaders, che nominano la loro maggioranza.
Siccome anche gruppi di nominati possono dividersi, come dimostra quello che sta succedendo nel movimento 5 Stelle, e non essendoci limite alla demagogia, aspettiamoci che, sempre sull’altare della governabilità, ci verrà proposto di votare solo per i leaders, che, dopo le elezioni, si nomineranno i parlamentari di competenza, con il potere di cambiarli se non leali con il capo che li ha nominati, che rimane il titolare dei voti presi.
Sui giornali e in televisione se ne parla poco nel merito perché, si dice, è una materia tecnica e alla gente non piace, per cui l’informazione si riduce alle beghe che ci sono dietro gli accordi, agli sgambetti prevedibili, alle ipotesi di elezioni più o meno a breve a seconda degli accordi trovati o rinnegati.
Comunque l’iter per l’approvazione della legge è ancora lungo e cambiamenti sono possibili.
Non si stanno vivendo giornate memorabili per la democrazia e per la dignità del parlamento.