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TAURIANOVA (RC), VENERDì 03 MAGGIO 2024

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Il non-partito radicale di massa ed il non-partito che non c’è

Il non-partito radicale di massa ed il non-partito che non c’è

Editoriale di Bartolo Ciccardini

Il non-partito radicale di massa ed il non-partito che non c’è

Editoriale di Bartolo Ciccardini

 

 

La lunga compressione dovuta ad un ceto dirigente incapace o renitente a fare cambiamenti, richiesti a gran voce da tutti, a cominciare dalla legge elettorale, ha provocato una esplosione. Sono emerse due forze nuove: il partito radicale di massa di Beppe Grillo ed il partito liberaldemocratico di Monti con una non ben definita venatura cattolica.

Il partito radicale di massa.

Il movimento 5 stelle ha preso voti alla partito di centro-destra, riducendolo quasi alla metà; ha preso un terzo dei voti del maggior partito di sinistra, impedendogli di raccogliere i frutti di questi cinque anni di opposizione. Già questo significa che non abbiamo più un partito in grado di prendere da solo una maggioranza, ma tre partiti dello stesso livello, circa il trenta per cento dell’elettorato, che danno vita ad un sistema completamente nuovo. Si è detto che, in fondo, nella seconda repubblica si era finalmente realizzata l’alternanza fra due partiti. Bene! Quel tipo di alternanza non c’è più. Uno dei nodi fondamentali del nuovo equilibrio sarà quello di far funzionare una maggioranza con tre attori (Bersani, Berlusconi e Grillo) ed in più un comprimario (Monti). Per ottenere spazio, alle due nuove formazioni sono stai sacrificati diversi protagonisti.

Innanzi tutto Pannella che non era mai riuscito a superare una dimensione elitaria e che ora non trova spazio nel momento che una forza radicale scende in campo, usando anche dei metodi molto vicini ai suoi. Poi sparisce tutto quello che restava della Democrazia Cristiana. Inoltre sparisce il partito di Almirante e di Fini. Spariscono i giustizialisti di Di Pietro e non riescono a ricomparire gli ultimi aedi della rivisitazione del comunismo. Praticamente scompaiono tutte le forze politiche della

prima repubblica e si salva, nel Partito Democratico, solo una riedizione molto rimaneggiata della sinistra in chiave socialdemocratica.

Cosa farà Grillo?

Ha solo due scelte. Se accetterà il metodo politico fondato sul Parlamento, trasformerà in forza politica il suo tesoretto elettorale, lo investirà e lo farà fruttare e, se si dimostrasse capace di mediazione e di pragmatismo, potrebbe fare molto bene al Paese ed al suo movimento. La parlamentarizzazione delle spinte sociali rende forte la democrazia. Ma non lo farà. La sua forza è radicale perchè è contro tutti. Non ha la flessibilità tattica di Pannella, che si alleava con tutti ed, al contrario di Pannella, ha le dimensioni appropriate per battere tutti. Se sceglierà di mantenere la mentalità extraparlamentare, dura e pura, che vuole tutto e subito, metterà in crisi il sistema, aggiungendo la crisi istituzionale alla crisi economica. Ma il suo movimento non è un gruppuscolo e lo scontro sarebbe molto peggiore di quello degli anni 70. Potrebbe crearsi una situazione rivoluzionaria ed è pronto il detonatore per farla esplodere, che si chiama movimento NO TAV.

La morte dei partiti

Nel 1992, ai tempi dei referendum, scrissi un opuscoletto intitolato: “Il Principe è morto”. Il partito ideologico moderno del primo Novecento era stato paragonato da Gramsci al Principe di Machiavelli, che usava tutte le sue forze e le sue astuzie per costituirsi in “Stato”. Le ideologie ed i loro partiti organizzati come schieramenti militari hanno dominato il secolo terribile. Ma la fine delle ideologie ha provocato la morte dei partiti. Già in questo ventennio di transizione è stato protagonista delle vicende politiche un organismo che non era più un partito: non aveva militanti, non aveva cellule e sezioni, non aveva congressi, ma aveva un capo ed un grande potere mediatico. E tutte le altre formazioni nate in questo periodo gli somigliavano. Anche a sinistra si è tentata una formula nuova: l’Ulivo di Prodi e di Veltroni è stato un tentativo federativo aperto, più che un partito. Ma l’istinto di conservazione ha indotto il Partito Democratico a restare legato alla “formula-partito”, nonostante le primarie ed uno spirito liberale di coalizione. Questo gli ha impedito di catturare le spinte di cambiamento e di rinnovamento, tanto da fargli perdere un terzo dei suoi voti, catturati da Grillo.

Il vuoto nella fotografia

Dopo le epurazioni Stalin cancellava dalle fotografie storiche i personaggi che aveva condannato a morte. Si vedevano queste fotografie con dei vuoti grigi. Nella fotografia di questi giorni c’è un vuoto grigio singolare: non c’è traccia dei cattolici. Forse Monti avrebbe dovuto essere una riedizione della presenza saggia e mediatrice, ma in lui hanno riconosciuto l’esattore dell’IMU, e non l’interprete di un mondo cattolico senza voce. Eppure fra i meriti ed i demeriti dell’antica Democrazia Cristiana c’era stata per ben due volte, la capacità di impedire la spaccatura del Paese e la guerra civile, con la sua accortezza mediatrice. La prima volta negli anni ’50, ai tempi del Patto Atlantico; la seconda volta negli ani ’70 ai tempi delle Brigate Rosse. Qualcosa che assomigliasse alla DC avrebbe potuto esistere, ed avrebbe potuto svolgere una sua funzione, considerando anche che la DC non era propriamente un partito, come il Partito Fascista o il Partito Comunista, ma era una federazione di organizzazioni sociali tenute legate dalla necessità dell’unità cattolica. Questo vuoto è rimediabile?

Come uscire da questa situazione?

Non si può certo pensare di rifare in pochi mesi la DC. E questo non basterebbe alla “Rerum Novarum Sitio” di questa nostra stagione. Un tentativo di fare a Todi la “cosa nuova” c’è stato ed è misteriosamente affondato. Questo tentativo sollecitato dal Papa, promosso e presieduto nella sua prima edizione dallo stesso Presidente della CEI, è impazzito come una maionese in mano poco esperte. I capi delle organizzazioni sociali si sono fatti indietro, il contributo di vecchie schegge di antichi partiti ne ha rovinato l’immagine, l’adesione passeggera e provvisoria di personaggi laici non ha assunto alcun significato strategico, la mancanza di un leader prestigioso e rappresentativo del mondo cattolico hanno fatto affondare il progetto. Ma soprattutto la maionese è impazzita perché una parte del mondo cattolico invece di montarla la smontava, pensando di poter ereditare dall’interno il tesoro politico di Berlusconi. Dice Massimo Franco in un articolo (“Un modello di papato in affanno”, 27/02/2013, Corriere della Sera): “L’ultimo atto di accusa, l’alleanza che negli ultimi 15 anni la Chiesa italiana ed il Vaticano hanno di fatto siglato con il centro-destra berlusconiano, lascia un segno a dir poco controverso sui rapporti fra stato e chiesa e sul cattolicesimo politico che riemerge residuale e confuso”.

Tre postille marginali

1.. Si può in pochi mesi far riemergere la presenza reale di una società cattolica, attivissima nel volontariato, ma nascosta nel congelatore, per essere così solo l’oggetto di una trattativa diplomatica fra Stato e Chiesa? Si può benissimo. Papa Ratzinger l’ha invocato, lo ha chiesto, ha pregato per questo, senza essere stato ascoltato. Il nuovo Papa saprà dove sta l’Italia sulla carta geografica? E se non lui chi altri?

2. Salvate il soldato Bersani. È inutile e stupido dare a Bersani la colpa e lapidarlo in questa maniera. È probabile che l’aver respinto Matteo Renzi, abbia impedito la cattura dell’onda lunga. Ma nonostante questo, Bersani è riuscito con un ultimo balzo di reni, come un portiere che salvi una partita, ad impossessarsi legalmente dello sconcio premio elettorale. Questo premio elettorale potrebbe essere un tesoro prezioso da investire in Parlamento, per fare almeno una legge elettorale

nuova ed altro ancora. E fra queste cose preziose è la scelta di un saggio Presidente della Repubblica. Non ammazzate Bersani proprio ora!

3. A proposito di Presidente della Repubblica. Abbiamo la necessità di avere un Presidente della Repubblica molto saggio e molto esperto. In questo lungo periodo di transizione, il Presidente della Repubblica ha assunto poteri che sono scritti nella Costituzione, ma che la partitocrazia non permetteva di esercitare. La Repubblica era già parzialmente presidenziale (sostenevano negli anni ’70 tali De Stefanis, Zamberletti, “et in Arcadia ego”). Scalfaro, Ciampi e Napolitano hanno esercitato

quei poteri presidenziali in supplenza del Parlamento in crisi. Nei prossimi mesi la possibilità di un “governo del Presidente” sarà l’ultima risorsa. Sarà l’oasi salvatrice di un drappello perduto nel deserto. Non sprechiamola. Un Anno Dossettiano senza Papa, senza Presidente della Repubblica, senza partiti e senza cattolici visibili, non è forse un’occasione unica per ricominciare?