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TAURIANOVA (RC), SABATO 04 MAGGIO 2024

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Gioia, emergenza ambientale nel capoluogo della Piana Preoccupazione per il flusso di percolato che finisce sotto una sorgente

Gioia, emergenza ambientale nel capoluogo della Piana Preoccupazione per il flusso di percolato che finisce sotto una sorgente
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di Domenico Latino

GIOIA TAURO – È sempre più emergenza ambientale nel capoluogo della Piana: nei giorni in cui monta la protesta dei Comitati cittadini per il presunto traffico illecito di reflui pericolosi provenienti del centro oli ENI di Viggiano che, secondo la Procura di Potenza, sarebbero stati smaltiti anche nel depuratore consortile IAM di contrada Lamia (26mila tonnellate in due anni), non si può non accendere i riflettori a 360° sulle tante criticità silenziose che affliggono il territorio e girarli in particolare anche verso quella che, da circa dieci anni, rappresenta una vera e tangibile bomba ecologica, purtroppo già esplosa sotto il naso insensibile dei più.

Stiamo parlando di un flusso impressionante e continuo di percolato (liquido inquinante che trae origine dalla decomposizione dei rifiuti) che, probabilmente da una delle due discariche dismesse di contrada Marrella (una comunale, parzialmente in sicurezza; l’altra privata, posta sotto sequestro), finisce sotto una sorgente, le cui acque attraversando i terreni raggiungono il fiume Budello e, quindi, il mare e in parte sboccano in un pozzo fino a qualche tempo fa utilizzato per annaffiare le piante (soprattutto agrumeti) dei fondi limitrofi che si estendono per ettari.

Come testimoniano le foto a corredo dell’articolo, lo scempio che ancora oggi si consuma davanti agli occhi di chi si avventura tra le sterpaglie a ridosso di alcune proprietà private è sconvolgente: almeno due i litri al secondo che sgorgano da una condotta in plastica decrepita e che vanno a formare un ruscello fetido e schiumoso.

La puzza acre e insopportabile dell’immondizia brucia alla gola e sovrasta tristemente di gran lunga il piacevole profumo dei fiori d’arancio. A breve distanza, si sente scorrere sinistro il torrente; il verde intorno è beffardamente lussureggiante mentre alle spalle si staglia una collinetta nei cui pressi sorgono le due ex discariche sopracitate.

In particolare, quella utilizzata dalla TEC Veolia, società che fino al 2012 ha gestito l’inceneritore di Gioia Tauro, messa ai sigilli ma non ancora bonificata.

E la montagna di rifiuti (non è chiaro se conferiti come “tal quale” o di altro genere) ormai interrati ben si adatta (amaramente) alla morfologia del luogo. Ma ciò che più rattrista e fa riflettere è che non si tratta certo di una scoperta, anzi.

Diversi infatti gli input lanciati alle Istituzioni ma, nonostante il problema sia sui tavoli degli organi preposti, le lungaggini tecniche e burocratiche e, forse, le ingenti risorse necessarie impediscono di intervenire tempestivamente.

Nel 2014, un incaricato del Tribunale civile di Palmi trasmise una relazione con i risultati delle indagini di laboratorio eseguite su alcuni campioni di terreno e di liquido prelevato dai pozzi che ne attestavano l’inquinamento. Fu quindi emessa un’ordinanza sindacale con cui si disponeva a tempo indeterminato il divieto di utilizzare quelle acque per l’irrigazione; di allevare o far pascolare animali e di consumare alimenti prodotti nell’area interessata.

Le ultime analisi sulla falda sono state effettuate circa due mesi addietro dall’Arpacal e, anche in questo caso, è stata evidenziata la presenza di sostanze contaminanti. Il sito, che preoccupa anche dal punto di vista della stabilità visto che il costone sembra cedere, sarà oggetto di ulteriori indagini da parte della Regione per verificare se sia potenzialmente pericoloso.

Anche se non ci vuole la lente d’ingrandimento per constatare la gravità della situazione. Che gli effetti siano stati o siano dirompenti è sicuramente da provare, così come le cause scatenanti del vertiginoso aumento di patologie oncologiche avvertito nel centro pianigiano andrebbero ricercate attraverso degli studi scientifici approfonditi. Altrettanto evidente è che, comunque, quell’inquietante schiuma non somiglia proprio ad acqua di rose.