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TAURIANOVA (RC), MERCOLEDì 08 MAGGIO 2024

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Giochiamo alla legalità

Il rischio è di passare per un nostalgico.
Un tempo i giochi di società erano più semplici, più immediati, più ruvidi.
Uno dei nostri giochi più diffusi e praticati era “u lignedu”.
C’era un bastone – ricavato tagliando in due un legno di scopa o utilizzando quel che rimaneva di una ramazza che aveva fatto il suo tempo – e c’era un legnetto più piccolo, di circa sette o otto al massimo dieci centimetri con le due estremità appuntite.
Il gioco consisteva nel colpire il legnetto piccolo – posto al limite di una buca sul marciapiede – e farlo alzare battendo sulle estremità appuntite e, poi, proprio mentre si trovava in aria, assestare il colpo che consentiva di lanciarlo più lontano possibile.
Ecco, tutto stava nel lanciare il più violentemente possibile “u lignedu” ovvero la parte piccola delle due componenti materiali del “giocattolo” e vinceva chi – dopo tre, quattro o cinque “tiri”, a seconda dei preliminri accordi di gioco – arrivava a “spararla” il più lontano possibile dal punto iniziale.
Più la sparavi lontana – questa particolare “pallottola” – e più avevi possibilità di risultare vittorioso.
Chi vinceva era gratificato mentre tutti gli altri si sentivano un po’ come il gatto di quel notissimo video che gira sui Social e che miagolando sembra dire “coglioneeee, coglioneeee”. Andatelo a cercare con le digitando le parole “gatto”, “miagola” e “coglione”. È spassosissimo ed illuminante allo stesso tempo.
Ecco questo era il gioco del lignedu e, di contorno, c’era esultanza, giubilo, fama tra i conoscenti (“chidu joca bonu o lignedu” era una sorta di medaglia al valor civile), scherno e anche un giro di soldi quando entravano in gioco le scommesse e – proprio per avere più possibilità di vincere – si giocava in squadra e venivano fatti convenire “fuoriclasse” di altri quartieri.
Mi ricordo che venivano spesso evocati – per fare timore alle squadre avversarie – quelli della Zaccheria o di Priscopìo che si narrava “jocavanu propriu bonu o lignedu” ma che nessuno di noi aveva mai visto giocare e, effettivamente, non si è mai saputo se abbiano qualche volta giocato o se sapessero giocare “o lignedu”.
La particolarità – un po’ antidemocratica – era anche che non tutti potevano partecipare e giocare.
E no!
Non poteva mica giocare un quisque de populo, uno qualunque, no, bisognava avere un pedigree, un passato, bisognava essere indicati, bisognava, quindi, essere scelti, magari anche solo per alzata di mano, e questi preliminari erano difficilissimi, venivano fuori i rancori, le contrapposizioni, le malelingue: “chidu non seppi mai u joca o lignedu” oppure “chissu docu? Non vidi ca ‘nci trema a manu”. Insomma, esattamente come nelle moderne campagne elettorali, ci si affannava ad azzoppare l’avversario e ci si faceva “u sangu acqua” piuttosto che pensare a giocare per divertirsi e migliorare l’abilità o gli strumenti e aumentare il benessere che ti da il gioco sano e armonioso.
Oggi è tutto diverso e non ci sono più i giochi di società di una volta, no, non ci sono.
Mi dicono, invero, che i giochi sono cambiati e sono andati al passo con i tempi e che c’è stata un’evoluzione inimmaginabile per alcuni di noi, noi ragazzi dei primi anni ottanta.
Oggi c’è Internet e fuori di esso, tutt’al più, si gioca a chi spende meglio i soldi degli altri, si gioca anche a perdere, si, a perdere.
Conoscete, ad esempio, quel gioco che consiste nel cambiare all’improvviso la viabilità del paese e vedere come riuscire a rendere impossibile il transito delle autovetture?
Si, ci sono giochi così e non tutti possono giocarci, ovviamente. Possono giocarci solo gli eletti.
È facile però: prendi le vie del paese e cominci a invertire tutto, dove c’è un’arteria principale, ci piazzi un bel senso unico, dove, invece, c’è una viuzza – che magari collega la chiesa Matrice del Carmelo a quella dell’Immacolata – ci metti un bel doppio senso alternato e poi ti metti a vedere cosa succede.
Se, poi, nonostante l’impegno profuso, non sei ancora riuscito a paralizzare il traffico, beh, metti un altro bel doppio senso nell’altra strada minuscola quasi parallela ed il gioco è fatto.
E si, perché bisogfna saperli usare i doppi sensi e loro – quelli che organizzano il gioco – con i doppi sensi ci sanno fare benissimo, sono bravi, son veramente bravi con i doppi sensi.
In verità, a molti sarebbe piaciuto giocare a questo gioco ma, purtroppo, come si diceva, non tutti possono giocarci, bisogna prima essere scelti, bisogna passare una specie di graticola dove si viene scelti e dove tutto è lecito e tutto è consentito.
Peccato però, chissà quanta altra gente sarebbe forte con i doppi sensi e sarebbe capace di paralizzare il traffico. Chissà? Forse non lo sapremo mai.
Mi hanno detto, poi, che, da qualche anno, è “uscito” un altro gioco bellissimo.
Si chiama “Giornata della Legalità”.
Oh, una meraviglia!
Un gioco a cui possono partecipare, però, solo i sindaci e gli assessori, gli assessori alla legalità appunto.
È facile.
Viene indetta una giornata che, ovviamente, viene chiamata “della legalità”.
Vengono coinvolti anche ignari “fuoriclasse” di altri “quartieri” e, sinceramente, non mi so dire in quali rioni vi siano personaggi che sanno giocare a questo gioco.
Anche le attrezzerie solo semplici: basta un tavolo ed un microfono e si comincia e, poi, si va avanti per ore.
Possono vincere solo i sindaci e gli assessori e trionfa chi la “spara” più forte e lontano. Un po come al “lignedu”.
In effetti anche qui chi perde – ovvero tutti quelli che non possono spararla più forte e lontana e che generalmente vengono piazzati dirimpetto ai sindaci ed agli assessori al di la del tavolo e del microfono – sente il sibilo del gatto che miagola dicendo “coglioneeeee”, coglioneeeee”.
E si perché il gioco non sta solo nel vedere chi la spara più forte e lontana, il gioco è anche vedere a chi effettivamente si rivolge il gatto che dice “coglioneeeee”, coglioneeeee”.
Devo dire che – ogni tanto – sarebbe molto interessante capovolgere le regole del gioco e arrivare e determinare che non deve vincere più chi la spara più grossa e lontana ma vince chi ha capito che si tratta di un gioco stupido ed anche oramai fuori moda, giocato magari sulla pelle o, meglio, sulla memoria di qualche povero martire o di qualche eroe che viene strumentalizzato a sua insaputa.
Proprio il due settembre dell’anno in corso, hanno giocato a questo gioco a Taurianova.
Pensa che occasione! Non potevo perdermela.
Appena l’ho saputo ho deciso di rinviare la partenza, dovevo partire ed ho deciso di rimandare.
“Chi se lo perde un gioco così esilarante?” mi sono detto.
Si, così, tutto d’un fiato: “partiamo dopodomani!” ho detto in famiglia.
“E perché?”.
“Come perché! Perchè domani a Taurianova rifanno il gioco della “Giornata della legalità”!”.
E tutti: “Siiiiiiiii!”.
Pensavo di dover impiegare più tempo e fatica ma non ce n’è stato bisogno, erano tutti d’accordo, non ci potevamo perdere questo gioco qua.
Tutti a prepararsi allora.
“Papà!”.
Ecco lo sapevo, il tono era proprio quello di quando il più piccolo dei miei figli si appresta a formularmi una delle sue domande.
“Dimmi”.
“Mentre parlavi ho preso la Treccani e leggo che legalità vuol dire “l’essere conforme alla legge e a quanto è da essa prescritto”!”.
“Si, a papà. Quella è la legalità vera, che è una cosa seria, una cosa molto seria. È quando i sindaci e gli assessori ci mettono davanti la parola “giornata” che diventa gioco, burla, sollazzo. Si sollazzano e li entra in scena il gatto che miagola “coglioneeeee”, coglioneeeee” e lì bisogna stare attenti”.
“Ok, ma papà perché ci sia la legalità basta davvero “essere conforme alla legge e a quanto è da essa prescritto”?”.
“No, a papà, non basta. Durante il fascismo, ad esempio, conformarsi alle leggi razziali era legalità, rispettare quelle leggi era assolutamente legale e dovuto.”.
Insomma, fuori dai denti, il problema sono leggi e chi le fa.
Forse, bisognerebbe entrare in una dimensione laddove chi fa le leggi (a tutti i livelli) dovrebbe avere dentro di se tutto il sentire dell’universo, in una dimensione laddove le leggi non sono strumenti nelle mani di quelli che decidono o di quelli che hanno in mano brandelli di potere e lo usano contro il sentire universale mentre poi, per apparire migliori, organizzano giochi ipocriti e completamente vuoti in faccia a cittadini inermi, sottomessi chissà perché, sfruttati e umiliati. Forse, questi giochi dovrebbero essere organizzati solo e soltanto da quelli che hanno un passato sul “campo”, dovrebbero essere organizzati solo da quelli che contro l’illegalità ci si sono messi non come ultima opportunità elettoralistica ma, molto più profondamente, come scelta allorquando potevano fare altro ed hanno deciso di donare la propria vita e la propria opera contro la montagna di merda che chiamano mafia. E c’è tanta gente che – in questo senso – ha voce in capitolo e spesso viene coinvolta in maniera ingannevole, ed approfittando della loro voglia di combattere, nel gioco stucchevole della Giornata della Legalità. Non è lodevole – tutt’altro – parlare di legalità se poi quotidianamente si cammina su un tappeto di piccole o grandi illegalità e si fa finta, magari, di non vederle. Anzi, ancora peggio, ci sono tantissimi casi in cui le illegalità diffuse vengono “nascoste” dietro la stretta legalità, dietro il rispetto di regole farraginose che esse stesse rappresentano quel summus jus, summa iniuria di cui parlavano i Padri Latini. Ci sono casi in cui, invero, per coprire evidenti situazioni di illegalità e ingiustizia, vengono emanate leggine e delibere che, poi, noi siamo costretti a rispettare perché la legge è legge, eh si, perchè, figlio mio, purtroppo, la legge è legge, aahimè, anche quando è nelle mani di quelli che perseguono i propri interessi e di quelli che usano gli strumenti legislativi a proprio uso e consumo. La legge è legge anche quando, ad esempio, piazzi una delibera che serve ad “aggiustare” una situazione dubbia o fonte di sputtanamento o allorquando, con espedienti e stratagemmi legali, consente di far piazzare nel corpo dei vigili urbani (ed i casi giudiziari in Italia sono numerosissimi) un, mica tanto, anonimo parente di qualche amico degli amici, magari facendolo classificare secondo e lasciando la graduatoria aperta. Ecco, il problema è se la legge è legge (e, purtroppo, lo è!) anche in questi casi qua ed il problema è, soprattutto, cosa possiamo e dobbiamo fare noi, cosa debbono fare tutti quelli che rivestono un incarico pubblico e che, dunque, rappresentano la collettività, tutta la collettività, non solo quella del tizio che è arrivato magicamente secondo. Ahimè, non ho memoria di nessuno che abbia alzato la voce e abbia gridato allo scandalo e si sia opposto. Nessuno. Semplicemente, hanno sempre lasciato fare aspettando che il proprio turno arrivi, eh si, perché ognuno di loro “tiene famiglia”. Ecco perché i sindaci, con la legalità, amano solo giocare e tendono ad accoppiare la parola giornata formando un’accoppiata ed una dicitura oramai abusata ed anche molto poco credibile.
Bisognerebbe, forse, tornare indietro e cambiare le regole del gioco per renderlo appena credibile, ad esempio, sarebbe bastato illo tempore che, al gioco del “lignedu” – invece di stabilire di far vincere chi la spara più forte e lontano possibile – si fosse stabilito che a vincere fosse chi faceva volare più basso e vicino possibile u lignedu.
Ecco, correlativamente, basterebbe insomma che – invece di giocare ad improbabili e oramai manifestamente ipocriti giochi di società – tutti, soprattutto quelli che amministrano in nome del Popolo, volassero più basso e più a contatto con i sentimenti e le aspettative della gente che ti incontra per strada e nei confronti della quale, spesso, questi organizzatori di improbabili giochi di società si trovano costretti ad abbassare lo sguardo.
Ecco, forse basterebbe poco per capovolgere le regole di questi giochi ed, in particolare, di questo gioco che appellano “Giornata della legalità” e basterebbe stabilire che l’obiettivo (in contrapposizione alla oramai stantìa autosantificazione degli organizzatori) può essere anche quello di far sentire i sindaci e gli assessori – che si improvvisano a giocare con il microfono in mano ed in faccia al popolo – come i soli, veri ed esclusivi destinatari della invettiva del gatto: “coglioneeee, coglioneeee, cogliooooooneeeeee”.