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Gesù, uomo di confine

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Editoriale di Bartolo Ciccardini

Gesù, uomo di confine

Editoriale di Bartolo Ciccardini

 

 

Matteo (che scrisse il suo Vangelo per gli ebrei che credevano in Gesù) ci narra
che egli, dopo l’imprigionamento di Giovanni Battista, “si ritirò in Galilea”. Non
dice che fuggì, che si nascose, ma quel “si ritirò” somiglia ad un allontanamento
frettoloso. Gesù era un discepolo di Giovanni Battista, battezzato da lui, e suo
seguace. Noi sappiamo che Giovanni era, nel costume e nella dottrina, influenzato
dagli Esseni, che oggi conosciamo meglio, dopo la scoperta dei manoscritti di Kumra.
Gesù non seguirà le regole rigide di Giovanni (ed i discepoli di Giovanni lo accuseranno
di essere amico dei farisei e di andare a pranzo con i pubblicani), ma tuttavia mantenne
due tradizioni che erano proprie dagli Esseni: il “gruppo dei dodici” per dirigere
la comunità (saranno poi chiamati Apostoli) ed il celibato, che non era praticato
dagli ebrei. Gesù si ritirò in Galilea, nel territorio delle tribù di “Zebulon e
Neftali”. La Galilea ha una storia interessante: terra di confine, aperta al mare,
è anche aperta alle migrazioni ed è abitata da genti diverse. Matteo la chiama “Galilea
delle genti” per indicare questa mescolanza. Le due tribù insediate in questo territorio,
Zebulon e Neftali, furono deportate prima delle altre. Tornarono dopo l’esilio, in
pochi e poveri, piccola minoranza in casa propria. Cosa ci facevano i discendenti
di David della tribù di Giuda, Giuseppe e Maria, a Nazareth? Non possiamo saperlo,
ma con molta probabilità l’esilio aveva rimescolato l’anagrafe delle tribù. “Galileo”
era anche il nome usato per indicare gli ebrei di quella regione, che non erano molto
stimati a Gerusalemme. Anche Gesù veniva chiamato il “galileo” ed il nucleo principale
dei suoi discepoli era formato da galilei di Cafarnao cittadina sul mare di Galilea
( o lago di Tiberiade o di Gennèsaret). E quelli che ancora non si chiamavano “cristiani”
venivano a ragione identificati come “galilei”. Probabilmente il riconoscimento di
Pietro nella notte del processo di Gesù, quando la servente lo identificò dicendo:
“Tu sei un galileo!”, voleva dire ambedue le cose: “Tu sei un abitante dalla Galilea
e tu sei un seguace di Gesù”. Probabilmente lo aveva riconosciuto dal suo accento.
Quando Simone, che non si chiamava ancora Pietro, disse a Natanaele, “Vieni con noi,
perché abbiamo conosciuto il Messia”, Natanaele scherza: “Può venire qualcosa di
buono dalla Galilea?”. Lo stesso Natanaele aveva un soprannome per metà greco (Bartolomeo)
ed era di Canaan, città meticcia, dove Gesù fece il suo primo prodigio. Ciononostante
Gesù diceva di lui: “Non ho mai conosciuto un israelita senza menzogna come questo”.
Cominciamo a capire una geografia umana e spirituale di questo tempo storico: gli
israeliti, come Gesù chiama con termine corretto i credenti come Bartolomeo, avevano
almeno tre nomi diversi: c’erano i galilei, di cui abbiamo parlato, c’erano poi i
samaritani, consideratici eretici, c’erano i “greci” (venivano chiamati così gli
ebrei della diaspora che parlavano greco). C’erano infine i giudei. La vita pubblica
di Gesù si svolge in gran parte in Galilea. È su queste colline che Gesù parlò delle
beatitudini e fece il discorso che scuote ancora oggi il mondo; e sul monte che sta
fra i due mari, il Mare di Cesarea, di Tiro e Sidone ed il piccolo mare di Gennasareth,
sul monte Carmelo, che sovrasta l’odierna Tel Aviv, ebbe l’esperienza mistica della
trasfigurazione. È qui, nella tenera Cafarnao, dove c’era la bella sinagoga in cui
insegnava, che abitò nella casa della suocera di Pietro. È qui che reclutò quattro
pescatori: Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni ed un intellettuale vagabondo, Bartolomeo.
Qui si rifugiò quando il maestro Giovanni venne arrestato. Qui divise i pani ed i
pesci con tutta la sua gente. Su questo piccolo mare di addormentò nella barca dopo
una giornata faticosa, mentre si alzava la tempesta. Qui si rifugia, lontano dalla
pericolosa Gerusalemme, quando Giovanni fu portato in prigione: in questo contesto
la notizia che Gesù, all’arresto di Giovanni, fugge in Galilea ha anche una spiegazione
politica. Lascia una zona diventata pericolosa e torna fra i suoi. A Nazareth lo
respingono, forse anche per il suo battesimo Giovanneo e Gesù si stabilisce a Cafarnao.
Gesù amava la Galilea? Non lo sappiamo, ma c’è un racconto umanissimo e tenerissimo
che mi fa pensare ad un sentimento particolare. È il racconto di Giovanni l’evangelista
che parla delle cose che ha visto e non delle cose che ha sentito raccontare dai
testimoni. E questo è evidente nel suo Vangelo quando narra con nostalgia il ritorno
in Galilea di Gesù risorto. Forse noi non l’abbiamo notato abbastanza, ma egli, dopo
essere apparso nel cenacolo, dove i discepoli si erano rinchiusi per paura, dice
una cosa incomprensibile: “Vi precedo in Galilea”. (Per la verità, Giovanni racconta
altro: che lo disse a Maria di Magdala, la mattina stessa di quel primo giorno dopo
il sabato, mentre invece Luca narra i primi incontri di Gesù con i suoi nel cenacolo,
ad Emmaus, e poi di nuovo assieme a Tommaso per dare infine a loro un appuntamento
in Galilea.) Giovanni ricorda nel suo racconto l’ultimo incontro e lo ricorda con
tanti piccoli particolari in una narrazione struggente ed incantata. E così ci fa
capire il perché del ritorno in Galilea. Ci sono ad attenderlo il gruppo dei galilei:
Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni, Bartolomeo ed altri due che Giovanni non nomina,
forse Filippo e Giuda. L’attesa è spasmodica. Pietro, il più semplice e il più diretto
è distrutto nell’attesa e rompe quella insopportabile ansia fra dolore e speranza:
“Io vado a pescare”. E gli altri, come liberati dall’incubo: “Veniamo anche noi”.
In fondo, sono tutti pescatori. È una notte cupa, un mare nero in cui pescano con
lena e con foga, per lenire l’attesa, ma non prendono nulla. All’alba sono di ritorno,
stremati e scontenti. Un uomo li chiama dalla riva e grida: “Avete del pesce?”. Pietro
risponde, secco e sgarbato: “No!”. E l’altro insiste: “Pescate più vicino, alla vostra
destra”. E loro, per l’ennesima volta, lo fanno, quasi per sfida: incredibilmente
la rete si riempie di pesci. Giovanni a questo punto del racconto si firma e dice
di sé: “Il giovane che aveva posato la testa sul suo petto”, quando egli gli confidò
che Giuda lo avrebbe consegnato agli sbirri del tempio, lo riconobbe e sussurrò a
Pietro: “E’ lui, è il Signore!”. Pietro impazzisce. È nudo per poter agilmente tirare
le reti. E, confuso, si cinge la tunica, per buttarsi in acqua, per correre là dove
sta il suo cuore. Gli altri sono emozionati, anch’essi, ma sono pescatori, tirano
prima le reti a bordo e raccolgono i pesci. Sono 153, scrive Giovanni, a cui la memoria
suggerisce mille piccoli particolari. Arrivano a terra e la scena che si presenta
a loro ha una tenerezza insostenibile: il risorto ha acceso un piccolo “fuoco di
carboni” (precisa Giovanni) ed ha messo sul fuoco pochi pani e pochi pesci e, come
una mamma premurosa, chiede: “Datemi un po’ di quei vostri pesci!”. Il crocifisso
sta preparando ad essi una colazione. Mangiano in silenzio ancora dubbiosi se questa
figura sia vera, se essa non sia un sogno oppure una visione, frutto del loro dolore
e della loro attesa. In silenzio, in riva al lago della loro infanzia, il lago del
loro lavoro, il lago dei suoi miracoli, dei suoi grandi discorsi che sconvolgeranno
il mondo, sulla riva, con pani e pesci preparati da lui, su di un piccolo fuoco di
carboni. Ma perché in Galilea? Perché, da uomo quale era, amava la sua Galilea. E
fu allora, proprio nella loro Galilea, che in quella mattina, a Pietro, che si era
buttato a nuoto per raggiungerlo senza curarsi dei pesci pescati, dopo avergli ricordato
per tre volte i tre tradimenti, consegnò le chiavi del regno. Non a Gerusalemme,
ma nella “Galilea delle genti”.
Bartolo Ciccardini