Può trasgredire la legge chi minaccia l’altro coniuge di rinunciare alla casa familiare
Genitori separati: reato di estorsione per gli sms offensivi
Può trasgredire la legge chi minaccia l’altro coniuge di rinunciare alla casa familiare
È un atteggiamento comune e che si verifica di frequente tra genitori separati
o divorziati, ma il comportamento di chi invia messaggi minacciosi sul cellulare
del coniuge chiedendo di rinunciare alla casa è considerato reato. È sostanzialmente
questo, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti [1]”,
il principio stabilito dalla Corte di cassazione che, con la sentenza 38559/14, depositata
oggi dalla sezione feriale penale. Nel caso in questione la sezione penale della
Suprema Corte boccia il ricorso di un imputato, condannato dalla Corte d’appello
di Milano a scontare la pena di giustizia per il reato di tentata estorsione e ingiuria
ai danni della coniuge, perché con una serie di messaggi inviati al cellulare della
donna chiedeva di rinunciare alla casa coniugale. Depositato in Cassazione, il ricorso
è respinto dagli “ermellini”. A nulla rileva il fatto della presunta inutilizzabilità
dei messaggi, a giudizio dell’imputato, operata dalla persona offesa e non dalla
compagnia telefonica. I giudici di merito hanno, come rileva la Corte suprema, hanno
fondato «l’affermazione di responsabilità dell’imputato sulla base delle dichiarazioni
della persona offesa, valutandone positivamente l’attendibilità, pur in mancanza
di una trascrizione completa di tutti i messaggi in entrata e in uscita dall’utenza
della donna, che, ove espletata, avrebbe fornito oggettivo riscontro alle dichiarazioni
della donna in ordine agli sms che le erano stati inviati dal marito». Ma v’è
di più: «il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza
alla persona e quello di estorsione si distinguono non per la materialità del fatto,
che può essere identica, ma per l’elemento intenzionale che, qualunque sia stata
l’intensità e la gravità della violenza o della minaccia, integra la fattispecie
estorsiva soltanto quando abbia di mira l’attuazione di una pretesa non tutelabile
davanti all’autorità giudiziaria: nel primo, l’agente persegue il conseguimento
di un profitto nella convinzione ragionevole, anche se infondata, di esercitare un
suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare
oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l’agente persegue il conseguimento
di un profitto nella consapevolezza della sua ingiustizia».Nella fattispecie, la
Corte territoriale esclude che l’imputato abbia agito nella convinzione in buona
fede di avere diritto a quanto richiesto, ma ha utilizzato «la rivendicazione formale
allo scopo distruggere moralmente e psicologicamente la vittima, deducendo l’elemento
intenzionale dal tenore di uno specifico messaggio e dalla circostanza che egli rimase
contumace nel giudizio di divorzio, in tal modo manifestando che il suo unico scopo
era terrorizzare la moglie». Non resta che pagare, anche le spese del procedimento.