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TAURIANOVA (RC), GIOVEDì 02 MAGGIO 2024

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E’ truffa aggravata mettersi in malattia e svolgere altro lavoro

E’ truffa aggravata mettersi in malattia e svolgere altro lavoro

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione

E’ truffa aggravata mettersi in malattia e svolgere altro lavoro

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione

 

La Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della questione delle assenze dal
lavoro per malattia durante le quali il dipendente è stato colto a svolgere altro
che curarsi il malanno.Con la sentenza depositata oggi dalla seconda sezione penale,
gli ermellini hanno sancito la condanna per truffa aggravata per il dipendente che
durante la malattia svolge altri lavori per conto di terzi. Con la sentenza 33743/14,
Piazza Cavour annulla con rinvio il provvedimento emesso dal Gup del Tribunale di
Rovigo che proscioglieva un lavoratore dall’imputazione per truffa aggravata. Per
il giudice dell’udienza preliminare il fatto non sussisteva, perché non era stato
provato in che misura l’attività lavorativa alternativa svolta dall’imputato
avesse ostacolato il processo di guarigione dalle lesioni conseguenti a un infortunio.
Il difensore del datore, costituitosi parte civile, ricorreva per Cassazione, chiedendo
che la sentenza fosse annullata. A giudizio degli “ermellini” il ricorso dell’azienda
è fondato e la sentenza va, perciò, annullata con rinvio al tribunale di Rovigo.La
Cassazione ricorda che la previsione dell’articolo 425, comma terzo, c.p.p., secondo
la quale «il gup deve emettere sentenza di non luogo a procedere anche quando gli
elementi acquisiti risultino insufficienti o contraddittori, è qualificata dall’ultima
parte del suddetto comma terzo che impone tale decisione soltanto dove i predetti
elementi siano comunque inidonei a sostenere l’accusa in giudizio». Ne deriva
che «solo una prognosi d’inutilità del dibattimento relativa all’evoluzione,
in senso favorevole all’accusa, del materiale probatorio raccolto, può condurre
a una sentenza di non luogo a procedere».Il giudice dell’udienza preliminare,
pertanto, può pronunciare sentenza di non luogo a procedere «non quando pervenga
a una valutazione d’innocenza dell’imputato, ma solo nei casi in cui non esista
una prevedibile possibilità che il dibattimento possa invece pervenire a una diversa
soluzione e più in particolare quando l’insufficienza e la contraddittorietà
degli elementi probatori acquisiti rivestano caratteristiche tali da non poter essere
ragionevolmente superabili nel giudizio». Ne consegue, concludono i giudici di legittimità,
che il giudice, anche in tal caso, «deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere
solo quando sia ragionevolmente prevedibile che gli stessi elementi siano destinati
a rimanere tali all’esito del giudizio, non potendo esprimere, quindi, un giudizio
sulla colpevolezza dell’imputato». Per Giovanni D’Agata, presidente e fondatore
dello “Sportello dei Diritti [1]”, non è una semplice infedeltà lavorativa,
ma un vero e proprio reato di truffa aggravata e falso ideologico quello che pone
il dipendente pubblico che si mette in malattia e poi svolge un’altra attività
parallela. Ricordiamo che, insieme all’obbligo di fedeltà, il lavoratore è soggetto
anche all’obbligo di riservatezza o di segretezza. Esso vieta al lavoratore di
divulgare o di utilizzare, a vantaggio proprio o altrui, informazioni attinenti l’impresa,
in modo da poterle arrecare danno. A differenza del divieto di concorrenza, che cessa
al momento dell’estinzione del rapporto di lavoro, l’obbligo di riservatezza
permane intatto anche dopo la cessazione del rapporto, per tutto il tempo in cui
resta l’interesse dell’imprenditore a tale segretezza, ossia fino a quando l’azienda
svolgerà la sua attività, nello specifico settore imprenditoriale in cui opera
attualmente.