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Dove sei Caterina?

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Editoriale di Bartolo Ciccardini

Dove sei Caterina?

Editoriale di Bartolo Ciccardini

 

 

Molto spesso nei nostri dibattiti ci sentiamo rivolgere l’obiezione che non si possa
avere un dialogo politico con chi non accetta la pregiudiziale dei valori non negoziabili
(unità della famiglia, matrimonio generativo, rispetto della vita dal concepimento
alla morte).
Nell’Occidente moderno, con la fine del periodo costantiniano, periodo in cui la
morale cristiana aveva un’influenza diretta sulla politica (periodo che era già
finito cinque secoli fa per la Chiesa orientale), i cristiani si trovano nella situazione
dei cristiani primitivi, che vivevano in una società che aveva valori fondanti diversi
ed avversi.

La stessa specie umana con il rapido e sconvolgente progresso dell’ultimo secolo,
ha cambiato alcuni fondamenti di vita che hanno una portata antropologica (l’egotismo
per presunti diritti personali che sopraffanno i diritti altrui, in particolare se
più deboli; separazione dell’amore generativo dall’intrattenimento sessuale socializzatore
divenuto totalizzante).

In questo nuovo contesto il cristianesimo è straniero, come lo era nel mondo antico
quando tutta la vita sociale, economica, interpersonale e sessuale era dominata dalla
presenza della schiavitù.

C’erano allora due modi per sottrarsi alla egemonia totalizzante. Il primo: allontanarsi
da quel tipo di società. Il monaco, che significa il “solitario”,e l’anacoreta, che
significa anche “straniero” fuggivano nel deserto. Soprattutto nei paesi dove il
deserto era poco fuori della città. Ma anche in questi casi, quando venne meno l’autorità
imperiale a dirimere i conflitti nelle città, venivano richiamati “gli uomini di
Dio”, che in via straordinaria amministravano la giustizia della città nei periodi
di crisi. San Simeone, lo Stilita (e molti altri meno noti di lui) si separarono
dalla vita sociale, vivendo sopra una colonna, che li separava dalla comunità, ma
che permetteva loro di dare consigli ed insegnamenti. Per poter compiere opera di
mediazione fra le frazioni e di giustizia nei conflitti, gli stiliti, detti anche
“uomini santi”si consideravano e si autodefinivano “stranieri”.

(Questo costume è durato a lungo nel nostro meridione ortodosso, dove i monaci basiliani
uscivano dall’eremo, chiamato anche laura o laurito o lauria, per risolvere problemi
della comunità, ma solo per brevi periodi.)

Esisteva solo la soluzione del diventare stranieri?

San Paolo sembra suggerircene un’altra. San Paolo aveva scritto chiaramente che,
con Gesù Cristo, non ci sono più greci e barbari, uomini e donne, schiavi e liberi.
Affermazione rivoluzionaria inaccettabile per la società di allora e non negoziabile
per lui. A lui si presenta un fatto concreto: il proprietario di uno schiavo fuggito,
rifugiato presso Paolo, lo richiede , forte del suo diritto. San Paolo rimanda lo
schiavo dal padrone accompagnandolo con una lettera: “È fuggito come schiavo, amerei
trattenerlo con me, ma lo rimando a te, non come schiavo, ma come fratello”. San
Paolo non si rifugia nel deserto, sembra accettare la condizione storica, ma la supera
con l’ammonimento fraterno, con la testimonianza e con la tenerezza (direbbe Papa
Francesco).Forse c’insegna qualche cosa.

Ma c’è anche un altro esempio che mi sta a cuore. È il racconto di Manzoni sulla
famosa disputa del duello.

La Chiesa ha convissuto, dal periodo della conversione dei barbari ai giorni d’oggi,
con un costume sociale che richiedeva l’omicidio come dovere di onore per lavare
un’offesa:il duello. Fra’ Cristoforo va a trovare Don Rodrigo per cercare di convincerlo
a non tormentare la povera Lucia. È in atto quello che nelle lettere di San Paolo
viene chiamata ammonizione fraterna. Don Rodrigo accetta il confronto e con astuzia
trascina Don Cristoforo su un terreno scabroso a proposito delle regole del duello.

Gli domanda se era lecito bastonare il portatore di una richiesta di duello. Don
Rodrigo è astuto perché sa che Padre Cristoforo si è fatto frate per riparare ad
un suo duello giovanile e lo vuole complice nel duello per averlo complice nella
consegna di Lucia sotto la sua protezione.

La risposta di Fra Cristoforo è chiara e semplice: “Per me non dovrebbero esserci
né bastonati, né bastonatori”. Ed alla seconda richiesta, quella di affidare alla
sua protezione la povera Lucia, si indigna ed avvisa Don Rodrigo dell’ira che sta
per scendere su di lui. Ma subito diventa attivo e corre a nascondere Lucia.

Anche qui il cristiano è costretto a subire una regola che non accetta, ma corre
ai ripari con una azione caritativa ed una testimonianza. Aspettando. Aspettando
cosa? La peste, che tutto trasforma.

Ed il giorno della peste Fra’Cristoforo, che sta per morire anche lui nel Lazzaretto,
si preoccuperà soprattutto che Renzo perdoni il suo persecutore, che Lucia rinunci
al suo voto di ” fuga dal mondo”, perché il mondo rinasca dopo la peste, sotto l’acquazzone
che è la prova della tenerezza di Dio che travolge il male.

Anche in questo episodio c’è un insegnamento fondato sulla testimonianza che non
condanna, ma insegna ed agisce con misericordia. In fondo in ambedue le testimonianze
si riflette quella che Don Mario Campisi chiama la “catechesi della samaritana”.

Gesù che sa che quella donna ha divorziato sette volte, e sa che a lei, secondo
la legge non avrebbe neppure dovuto rivolgere la parola. Però annuncia proprio a
lei, per prima, il segreto della sua missione. Ed alla donna che doveva, secondo
la legge, essere lapidata annuncia: “Nessuno ti ha condannato ed Io non ti condanno!”.
Il grumo della contraddizione fra valori non negoziabili e carità misericordiosa
si risolve nella dolcezza della conversione e nella gioia del perdono.

Mi sembra di poter dire che alzare un muro, una sorta di “eremo” moderna sulla non
negoziabilità non appartenga alla catechesi cristiana; mi sembra che sia miglior
cosa tenere aperta una porta nella quale siano iscritti a chiare lettere i valori
della vita, che restano inalienabili, ma dalla quale si possa scorgere la pazienza,
la tenerezza, e la gioia della misericordia.

A questa contraddizione, (che non sarò certo io a risolvere), si aggiunge un altro
particolare non indifferente: l’accettazione, da parte dei cattolici della democrazia
La democrazia è anche tolleranza per le idee ed i comportamenti altrui. In una democrazia
la legge persegue i reati e sono reati quelli stabiliti dalla maggioranza. Se la
maggioranza decide per il divorzio, lo stato non può perseguire i divorziati. Che
fine fanno a questo punto i valori non negoziabili?

Ma non dobbiamo scandalizzarci. Si potrebbe rispondere che fanno la fine della scomunica
dei comunisti, che di fatto funzionò come ammonimento fraterno, ma non ebbe mai applicazioni
canoniche reali e si concluse nella tenerezza paterna nei confronti dei figliuoli
prodighi, anche di quelli non ritornati.

Non penso che questo mio pensiero sia cosi saggio da essere preso come oro colato,
spero solo che possa ispirare una meditazione sull’arduo problema. Di una cosa sono
certissimo. Non possiamo condannarci ad una stabile alleanza con la destra conservatrice,
altrettanto non negoziabile, con l’alibi dei valori non negoziabili.

Dobbiamo constatare il fallimento della politica che ha portato i cattolici a rinunciare
ad una loro presenza attiva e a delegare la difesa dei valori non negoziabili ad
una destra non raccomandabile.

Ne sono derivate due conseguenze infelici: la prima conseguenza è stata la perdita
dello spirito civico nel popolo cristiano che si è rifugiato nell’astensionismo e
nell’apatia. La seconda è stata la perdita del valore popolare che c’era nell’adesione
dei cattolici alla democrazia. Quello che si scorge nell’orizzonte politico è il
grande vuoto provocato dall’assenza del cattolicesimo politico, così importante nella
storia d’Italia.

Ma un altro vuoto si è provocato che non riguarda soltanto l’Italia. La compromissione
della Curia romana con un regime impresentabile e largamente screditato nell’opinione
mondiale ha fatto perdere al cattolicesimo italiano la tradizionale e ricchissima
presenza degli italiani alla guida della Chiesa. Gli italiani erano straordinariamente
preparati e vocati a questo compito particolare di reggere il papato. Il loro privilegio
era ritenuto provvidenziale e meritato. Ma non è un caso che abbiamo avuto tre papi
stranieri. Del resto l’Italia era guelfa perché seguiva il Papa, ma nel tempo stesso
era guelfa perché solo la universalità e la straordinarietà degli italiani li rendeva
adatti e necessari a reggere il Papato.

L’Italia non è più l’Italia guelfa se non c’è il papa che sia italiano. Il sogno
“avignonese” di un’Italia senza Papa e di un Papa senza Italia sembra avverarsi.
Dove sei tu, Caterina Benincasa, patrona d’Italia?

Bartolo Ciccardini