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Direttore, io, Antonio Giangrande le spiego la giustizia in Italia

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“20 anni di studi sociologici su disfunzioni e vizi del sistema che nessuno osa sanare. Libertà e democrazia paralizzati da privilegi e poteri intoccabili di una casta fossilizzata”

Direttore, io, Antonio Giangrande le spiego la giustizia in Italia

“20 anni di studi sociologici su disfunzioni e vizi del sistema che nessuno osa sanare. Libertà e democrazia paralizzati da privilegi e poteri intoccabili di una casta fossilizzata”

 

 

Sui media prezzolati e/o ideologicizzati si parla sempre dei privilegi,
degli sprechi e dei costi della casta dei rappresentanti politici dei
cittadini nelle istituzioni, siano essi Parlamentari o amministratori e
consiglieri degli enti locali. Molti di loro vorrebbero i barboni in
Parlamento. Nessuno che pretenda che i nostri Parlamentari siano all’altezza
del mandato ricevuto, per competenza, dedizione e moralità, al di là della
fedina penale o delle prebende a loro destinate. Dimenticandoci che ci sono
altri boiardi di Stato: i militari, i dirigenti pubblici e, soprattutto, i
magistrati. Mai nessuno che si chieda: che fine fanno i nostri soldi,
estorti con balzelli di ogni tipo. Se è vero, come è vero, che ci chiudono
gli ospedali, ci chiudono i tribunali, non ci sono vie di comunicazione
(strade e ferrovie), la pensione non è garantita e il lavoro manca. E poi
sulla la giustizia, argomento dove tutti tacciono, ma c’è tanto da dire.
“Delegittimano la Magistratura” senti accusare gli idolatri sinistroidi in
presenza di velate critiche contro le malefatte dei giudici, che in
democrazia dovrebbero essere ammesse. Pur non avendo bisogno di difesa
d’ufficio c’è sempre qualche manettaro che difende la Magistratura dalle
critiche che essa fomenta. Non è un Potere, ma la sinistra lo fa passare per
tale, ma la Magistratura, come ordine costituzionale detiene un potere
smisurato. Potere ingiustificato, tenuto conto che la sovranità è del popolo
che la esercita nei modi stabiliti dalle norme. Potere delegato da un
concorso pubblico come può essere quello italiano, che non garantisce
meritocrazia. Criticare l’operato dei magistrati nei processi, quando la
critica è fondata, significa incutere dubbi sul loro operato. E quando si
sentenzia, da parte dei colleghi dei PM, adottando le tesi infondate
dell’accusa, si sentenzia nonostante il ragionevole dubbio. Quindi si
sentenzia in modo illegittimo che comunque è difficile vederlo affermare da
una corte, quella di Cassazione, che rappresenta l’apice del potere
giudiziario. Le storture del sistema dovrebbero essere sanate dallo stesso
sistema. Ma quando “Il Berlusconi” di turno si sente perseguitato dal
maniaco giudiziario, non vi sono rimedi. Non è prevista la ricusazione del
Pubblico Ministero che palesa il suo pregiudizio. Vi si permette la
ricusazione del giudice per inimicizia solo se questi ha denunciato
l’imputato e non viceversa. E’ consentita la ricusazione dei giudici solo
per giudizi espliciti preventivi, come se non vi potessero essere
intendimenti impliciti di colleganza con il PM. La rimessione per legittimo
sospetto, poi, è un istituto mai applicato. Lasciando perdere Berlusconi, è
esemplare il caso ILVA a Taranto. Tutta la magistratura locale fa quadrato:
dal presidente della Corte d’Appello di Lecce, Buffa, al suo Procuratore
Generale, Vignola, fino a tutto il Tribunale di Taranto. E questo ancora
nella fase embrionale delle indagini Preliminari. Quei magistrati contro
tutti, compreso il governo centrale, regionale e locale, sostenuti solo
dagli ambientalisti di maniera.

Per Stefano Livadiotti, autore di un libro sui magistrati, arrivano
all’apice della carriera in automatico e guadagnano 7 volte più di un
dipendente”, scrive Sergio Luciano su “Il Giornale”.

Pubblichiamo ampi stralci dell’intervista di Affaritaliani.it a Stefano
Livadiotti realizzata da Sergio Luciano. Livadiotti, giornalista del
settimanale l’Espresso e autore di Magistrati L’ultracasta, sta aggiornando
il suo libro sulla base dei dati del rapporto 2012 del Cepej (Commissione
europea per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa). Livadiotti
è anche l’autore di un libro sugli sprechi dei sindacati, dal titolo L’altra
casta.

La giustizia italiana non funziona, al netto delle polemiche politiche sui
processi Berlusconi. Il rapporto 2012 del Cepej (Commissione europea per
l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa) inchioda il nostro
sistema alla sua clamorosa inefficienza: 492 giorni per un processo civile
in primo grado, contro i 289 della Spagna, i 279 della Francia e i 184 della
Germania. Milioni di procedimenti pendenti. E magistrati che fanno carriera
senza alcuna selezione meritocratica. E senza alcun effettivo rischio di
punizione nel caso in cui commettano errori o illeciti. «Nessun sistema può
essere efficiente se non riconosce alcun criterio di merito», spiega Stefano
Livadiotti, giornalista del settimanale l’Espresso e autore di
Magistrati-L’ultracasta. «È evidente che Silvio Berlusconi ha un enorme
conflitto d’interessi in materia, che ne delegittima le opinioni, ma ciò non
toglie che la proposta di riforma avanzata all’epoca da Alfano, con la
separazione delle carriere, la ridefinizione della disciplina e la
responsabilità dei magistrati, fosse assolutamente giusta».

Dunque niente meritocrazia, niente efficienza in tribunale?

«L’attuale normativa prevede che dopo 27 anni dall’aver preso servizio,
tutti i magistrati raggiungano la massima qualifica di carriera possibile.
Tanto che nel 2009 il 24,5% dei circa 9.000 magistrati ordinari in servizio
era appunto all’apice dell’inquadramento. E dello stipendio. E come se un
quarto dei giornalisti italiani fosse direttore del Corriere della Sera o di
Repubblica».

E come si spiega?

«Non si spiega. Io stesso quando ho studiato i meccanismi sulle prime non ci
credevo. Eppure e così. Fanno carriera automaticamente, solo sulla base
dell’anzianità di servizio. E di esami che di fatto sono una barzelletta. I
verbali del Consiglio superiore della magistratura dimostrano che dal 1°
luglio 2008 al 31 luglio 2012 sono state fatte, dopo l’ultima riforma delle
procedure, che avrebbe dovuto renderle più severe, 2.409 valutazioni, e ce
ne sono state soltanto 3 negative, una delle quali riferita a un giudice già
in pensione!».

Tutto questo indipendentemente dagli incarichi?

«Dagli incarichi e dalle sedi. E questa carriera automatica si riflette,
ovviamente, sulla spesa per le retribuzioni. I magistrati italiani
guadagnano più di tutti i loro colleghi dell’Europa continentale, e al
vertice della professione percepiscono uno stipendio parti a 7,3 volte lo
stipendio medio dei lavoratori dipendenti italiani».

Quasi sempre i magistrati addebitano ritardi e inefficienze al basso budget
statale per la giustizia.

«Macché, il rapporto Cepej dimostra che la macchina giudiziaria costa agli
italiani, per tribunali, avvocati d’ufficio e pubblici ministeri, 73 euro
per abitante all’anno (dato 2010, ndr) contro una media europea di 57,4.
Quindi molto di più».

Ma almeno rischiano sanzioni disciplinari?

«Assolutamente no, di fatto. Il magistrato è soggetto solo alla disciplina
domestica, ma sarebbe meglio dire addomesticata, del Csm. E cane non mangia
cane. Alcuni dati nuovi ed esclusivi lo dimostrano».

Quali dati?

«Qualunque esposto venga rivolto contro un magistrato, passa al filtro
preventivo della Procura generale presso la Corte di Cassazione, che
stabilisce se c’è il presupposto per avviare un procedimento. Ebbene, tra il
2009 e il 2011 – un dato che fa impressione – sugli 8.909 magistrati
ordinari in servizio, sono pervenute a questa Procura 5.921 notizie di
illecito: il PG ha archiviato 5.498 denunce, cioè il 92,9%; quindi solo 7,1%
è arrivato davanti alla sezione disciplinare del Csm».

Ma poi ci saranno state delle sanzioni, o no?

«Negli ultimi 5 anni, tra il 2007 e il 2011, questa sezione ha definito 680
procedimenti, in seguito ai quali i magistrati destituiti sono stati…
nessuno. In dieci anni, tra il 2001 e il 2011, i magistrati ordinari
destituiti dal Csm sono stati 4, pari allo 0,28 di quelli finiti davanti
alla sezione disciplinare e allo 0,044 di quelli in servizio».

Ma c’è anche una legge sulla responsabilità civile, che permette a chi
subisca un errore giudiziario di essere risarcito!

«In teoria sì, è la legge 117 dell’88, scritta dal ministro Vassalli per
risponde al referendum che aveva abrogato le norme che limitavano la
responsabilità dei magistrati».

E com’è andata, questa legge?

«Nell’arco 23 anni, sono state proposte in Italia 400 cause di richiesta di
risarcimento danni per responsabilità dei giudici. Di queste, 253 pari al
63% sono state dichiarate inammissibili con provvedimento definitivo. Ben
49, cioè 12% sono in attesa di pronuncia sull’ammissibilità, 70, pari al
17%, sono in fase di impugnazione di decisione di inammissibilità, 34,
ovvero l’8,5%, sono state dichiarate ammissibili. Di queste ultime, 16 sono
ancora pendenti e 18 sono state decise: lo Stato ha perso solo 4 volte. In
un quarto di secolo è alla fine è stato insomma accolto appena l’1 per cento
delle pochissime domande di risarcimento».

Cioè non si sa quanto lavorano e guadagnano?

«Risulta che da un magistrato ci si possono attendere 1.560 ore di lavoro
all’anno, che diviso per 365 vuol dire che lavora 4,2 ore al giorno. Sugli
stipendi bisogna vedere caso per caso, perché ci sono molte variabili. Quel
che è certo, un consigliere Csm, sommando stipendi base, gettoni, rimborsi e
indennizzi, e lavorando 3 settimane su 4 dal lunedì al giovedì, quindi 12
giorni al mese, guadagna 2.700 euro per ogni giorno di lavoro effettivo».

TRALASCIANDO L’ABILITAZIONE UNTA DAI VIZI ITALICI, A FRONTE DI TUTTO QUESTO
CI RITROVIAMO CON 5 MILIONI DI ITALIANI VITTIME DI ERRORI GIUDIZIARI.

MAGISTRATI CHE SONO MANTENUTI DAI CITTADINI E CHE SPUTANO NEL PIATTO IN CUI
MANGIANO.

Chi frequenta assiduamente le aule dei tribunali, da spettatore o da attore,
sa benissimo che sono luogo di spergiuro e di diffamazioni continue da parte
dei magistrati e degli avvocati. Certo è che sono atteggiamenti impuniti
perché i protagonisti non possono punire se stessi. Quante volte le
requisitorie dei Pubblici Ministeri e le arringhe degli avvocati di parte
civile hanno fatto carne da macello della dignità delle persone imputate,
presunte innocenti in quella fase processuale e, per lo più, divenuti tali
nel proseguo. I manettari ed i forcaioli saranno convinti che questa sia un
regola aurea per affermare la legalità. Poco comprensibile e giustificabile
è invece la sorte destinata alle vittime, spesso trattate peggio dei
delinquenti sotto processo.

Tutti hanno sentito le parole di Ilda Boccassini: “Ruby è furba di quella
furbizia orientale propria della sua origine”. «E’ una giovane di furbizia
orientale che come molti dei giovani delle ultime generazioni ha come
obbiettivo entrare nel mondo spettacolo e fare soldi, il guadagno facile, il
sogno italiano di una parte della gioventù che non ha come obiettivo il
lavoro, la fatica, lo studio ma accedere a meccanismi che consentano di
andare nel mondo dello spettacolo, nel cinema. Questo obiettivo – ha
proseguito la Boccassini – ha accomunato la minore “con le ragazze che sono
qui sfilate e che frequentavano la residenza di Berlusconi:
extracomunitarie, prostitute, ragazze di buona famiglia anche con lauree,
persone che hanno un ruolo nelle istituzioni e che pure avevano un ruolo
nelle serate di Arcore come la europarlamentare Ronzulli e la
europarlamentare Rossi. In queste serate – afferma il pm – si colloca anche
il sogno di Kharima. Tutte, a qualsiasi prezzo, dovevano avvicinare il
presidente del Consiglio con la speranza o la certezza di ottenere favori,
denaro, introduzione nel mondo dello spettacolo».

Fino prova contraria Ruby, Karima El Mahroug, è parte offesa nel processo.

La ciliegina sulla torta, alla requisitoria, è quella delle 14.10 circa del
31 maggio 2013, quando Antonio Sangermano era sul punto d’incorrere su una
clamorosa gaffe che avrebbe fatto impallidire quella della Boccassini su
Ruby: “Non si può considerare la Tumini un cavallo di ….”, ha detto di
Melania Tumini, la principale teste dell’accusa, correggendosi un attimo
prima di pronunciare la fatidica parola.

Ancora come esempio riferito ad un caso mediatico è quello riconducibile
alla morte di Stefano Cucchi.

“Vi annuncio che da oggi pomeriggio (8 aprile 2013) provvederò a inserire
sulla mia pagina ufficiale di Facebook quanto ci hanno riservato i pm ed
avvocati e le loro poco edificanti opinioni sul nostro conto. Buon ascolto”,
ha scritto sulla pagina del social network Ilaria Cucchi, sorella di
Stefano. E il primo audio è dedicato proprio a quei pm con i quali la
famiglia Cucchi si è trovata dall’inizio in disaccordo. «Lungi dall’essere
una persona sana e sportiva, Stefano Cucchi era un tossicodipendente da 20
anni,…….oltre che essere maleducato, scorbutico, arrogante, cafone».
Stavolta a parlare non è il senatore del Pdl Carlo Giovanardi – anticipa
Ilaria al Fatto –, ma il pubblico ministero Francesca Loy, durante la
requisitoria finale. Secondo lei mio fratello aveva cominciato a drogarsi a
11 anni…”, commenta ancora sarcastica la sorella del ragazzo morto.
Requisitoria che, a suo dire, sembra in contraddizione con quella dell’altro
pm, Vincenzo Barba, il quale “ammette – a differenza della collega – che
Stefano potrebbe essere stato pestato. Eppure neanche lui lascia fuori dalla
porta l’ombra della droga e, anzi, pare voglia lasciare intendere che i miei
genitori ne avrebbero nascosto la presenza ai carabinieri durante la
perquisizione, la notte dell’arresto”.

Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno giustiziati.

“Il carcere uno stupro. Ora voglio la verità”, dice Massimo Cellino,
presidente del Cagliari calcio, ad Ivan Zazzaroni. «Voglio conoscere la vera
ragione di tutto questo, i miei legali l’hanno definito “uno stupro”.
Cassazione e Tar hanno stabilito che non ci sono stati abusi, dandomi
ragione piena. – Ricorda: riordina. – La forestale s’è presentata a casa mia
alle sette del mattino. Ho le piante secche?, ho chiesto. E loro: deve
venire con noi. Forza, tirate fuori le telecamere, dove sono le telecamere?
Siete di Scherzi a parte. L’inizio di un incubo dal quale non esco. Sto
male, non sono più lo stesso. A Buoncammino mi hanno messo in una cella
minuscola, giusto lo spazio per un letto, il vetro della finestra era rotto,
la notte faceva freddo. Un detenuto mi ha regalato una giacca, un altro i
pantaloni della tuta, alla fine ero coperto a strati con in testa una
papalina. Mi hanno salvato il carattere e gli altri detenuti. Un ragazzo che
sconta otto anni e mezzo perché non ha voluto fare il nome dello spacciatore
che gli aveva consegnato la roba. Otto anni e mezzo, capisci? “Se parlo non
posso più tornare a casa, ho paura per i miei genitori”, ripeteva. E poi un
indiano che mi assisteva in tutto, credo l’abbiano trasferito come altri a
Macomer. Mi sento in colpa per loro, solo per loro. Ringrazio le guardie
carcerarie, si sono dimostrate sensibili… Mi ha tradito la Sardegna delle
istituzioni. Ma adesso voglio il perché, la verità. Non si può finire in
carcere per arroganza». Una situazione di straordinario strazio per un uomo
fin troppo diretto ma di un’intelligenza e una prontezza rare quale è il
presidente del Cagliari. «Non odio nessuno (lo ripete più volte). Ma ho
provato vergogna. Non ho fatto un cazzo di niente. Dopo la revoca dei
domiciliari per un paio di giorni non ho avuto la forza di tornare a casa.
Sono rimasto ad Assemini con gli avvocati, Altieri e Cocco – Cocco per me è
un fratello. E le intercettazioni? Pubblicatele, nulla, non c’è nulla. Mi
hanno accusato di aver trattato con gente che non ho mai incontrato, né
sentito; addirittura mi è stato chiesto cosa fossero le emme-emme di cui
parlavo durante una telefonata: solo un sardo può sapere cosa significhi
emme-emme, una pesante volgarità (sa minchia su molente, il pene
dell’asino). Da giorni mi raccontano di assessori che si dimettono, di
magistrati che chiedono il trasferimento. Mi domando cosa sia diventata
Cagliari, e dove sia finita l’informazione che non ha paura di scrivere o
dire come stanno realmente le cose. Cosa penso oggi dei magistrati? Io sono
dalla parte dei pm, lo sono sempre stato!»

VEDETE, E’ TUTTO INUTILE. NON C’E’ NIENTE DA FARE. SE QUANTO PROVATO SULLA
PROPRIA PELLE E SE QUANTO DETTO HA UN RISCONTRO E TUTTO CIO’ NON BASTA A
RIBELLARSI O ALMENO A RICREDERSI SULL’OPERATO DELLA MAGISTRATURA, ALLORA MAI
NULLA CAMBIERA’ IN QUESTA ITALIA CON QUESTI ITALIANI.

Dr Antonio Giangrande

Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia