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TAURIANOVA (RC), MARTEDì 30 APRILE 2024

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Dattolo (Udc) interviene sulla soppressione delle Province di Vibo Valentia e Crotone prevista nella Spending review

Dattolo (Udc) interviene sulla soppressione delle Province di Vibo Valentia e Crotone prevista nella Spending review

Ecco il testo integrale

Dattolo (Udc) interviene sulla soppressione delle Province di Vibo Valentia e Crotone prevista nella Spending review

Ecco il testo integrale

 

 

Si trasmette nella sua stesura integrale la relazione introduttiva del consigliere Alfonso Dattolo (Udc) sulla soppressione delle Province di Vibo Valentia e Crotone prevista dal Decreto del Governo sulla Spending Review:

“Il mio intervento di oggi, non vuole essere l’appello di un amministratore che cerca di mettere in atto l’ultimo strenuo tentativo per salvare la sua provincia d’appartenenza.

La mia è una battaglia per la Costituzione, per la difesa della verità e per invocare dal Governo pari trattamento.

La soppressione delle Province, è una modifica della Costituzione erroneamente inserita nella manovra di spending review.

Essa è soltanto il frutto di una campagna mediatica che ha preso di mira gli Enti intermedi, sulla base dell’idea, assolutamente errata che, dalla loro eliminazione deriverebbero miliardi di euro risparmiati all’anno.

E’ opportuno a tal proposito ricordare che, nella relazione tecnica allegata al decreto, non vi è una quantificazione del risparmio, e che quella precedentemente assunta, non trova unanimi pareri tra gli addetti ai lavori.

Il servizio Bilancio del Senato, addirittura, mette in evidenza che si andrà incontro a spese straordinarie, dal momento in cui si concretizzerà il passaggio delle funzioni dalle Province ai Comuni.

L’eliminazione stile battaglia navale di alcune Province va inquadrata per quello che è: solo una mossa per ottenere un po’ di captatio benevolentiae dai cittadini.

Un distrarre l’attenzione da aumenti e rincari, da nuove tasse, da una difficile riforma delle pensioni, e da tutta una serie di sacrifici che per quanto assolutamente necessari, stanno duramente colpendo le famiglie italiane.

Un taglio che appare come un agnello sacrificale offerto alla stampa e all’uomo ‘qualunque’.

Tagli operati senza alcuna preventiva analisi sull’opportunità, sugli effetti concreti, sulle immense difficoltà operative che ne deriveranno.

Nessuno ha fin qui seriamente pensato alle necessarie modifiche all’ordinamento dei tributi e a quello delle entrate locali.

Nessuno ad oggi sa chi si accollerà i saldi del patto di stabilità a carico delle province soppresse.

Il processo in atto viene fatto passare per irreversibile che si riveli utile o meno, la norma che intende riformare.

Sapevamo che sarebbe stata necessaria una riforma costituzionale per un alleggerimento dello Stato e per un riordino burocratico, ma non immaginavamo che questo valeva per alcuni territori e per altri no.

La giustificazione del perché ci sono Province che alla roulette russa si salvano non convince.

Non commenterò i criteri … Ma trovo paradossale che un Governo che vuole riformare, lo faccia utilizzando due pesi e due misure. Da una parte elimina, dall’altra trova necessario un livello di governo intermedio tra comuni e regioni, si chiamino esse Province o Città Metropolitane.

Parte delle funzioni delle Province saranno affidate ai Comuni. Le Regioni, invece, non avranno nulla.

Ma tra Comuni e Regioni ritorna ad essere necessario un livello intermedio per funzioni di area vasta: la manutenzione delle strade, la tutela ambientale, la pianificazione del territorio. Ora queste funzioni saranno affidate a Province più grandi e a governarle potrebbe esserci un presidente, eletto solo tra i consiglieri comunali, il che gli farà avere un profilo tutt’altro che anonimo.

Anche gli esempi europei prevedono enti intermedi. Questa modalità organizzativa della pubblica amministrazione è presente in Europa e lo è, in particolare, nei Paesi ai quali l’Italia dice di volersi ispirare: Germania , Francia, Gran Bretagna e Spagna.

Mi dispiace constatare che, il Governo, insista nell’errore di ritenere che le funzioni provinciali possano essere attribuite ai Comuni.

Basti pensare all’edilizia scolastica affidata ad un Comune qualunque del territorio italiano, virtuoso o disastrato che sia.

Immaginare che la costruzione di una nuova scuola o l’adeguamento in materia sismica su scuole già esistenti, possa essere demandato a un sindaco solo, per chi come me, sindaco lo è stato, è assolutamente impensabile. Le scuole superiori che sono oggi materia di gestione provinciale, hanno come utenti non i residenti del comune presso il quale sorgono, ma tutti i cittadini della provincia.

E’ assurdo pensare che i sindaci debbano ragionare in termini di servizi più vasti del territorio che li elegge.

E’ assurdo immaginare che il piano dell’offerta formativa, i servizi, gli investimenti sulle scuole possano essere governati in modo disintegrato dai comuni.

L’applicazione dei principi di sussidiarietà e adeguatezza, più volte richiamati, viene palesemente resa inefficace perché nessuno di questi servizi pare attribuibile in modo efficiente ai comuni.

Tra i tanti vizi di costituzionalità in tema di riforma delle Province c’è n’è uno meno sentito degli altri: la violazione delle previsioni dell’articolo 118, comma 2, della Costituzione: “I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”.

Il che significa che, finchè le Province non saranno eliminate dalla Costituzione, ma in questo caso ben diverse sarebbero le procedure, le Regioni potranno sempre dire la propria anche in merito alle funzioni provinciali.

Non dimentichiamo che nel 1998, moltissime funzioni sono state assegnate alle Province dalle Regioni e che questo è stato fatto con leggi regionali.

Mi riferisco a funzioni in materia di agricoltura, formazione professionale e turismo. Una legge dello Stato, non può espropriare la potestà normativa delle Regioni né renderle inutili dal momento in cui le rende monche delle funzioni amministrative collaterali .

Solo le Regioni potranno rivedere l’assegnazione delle funzioni attribuite a suo tempo alle Province e scegliere se disgregarle tra i Comuni o riacquistarle anche se per riassegnarle poi alle Province superstiti (proprio in attuazione dell’articolo 118, comma 2, della Costituzione).

Perché se l’articolo 118 continuerà ad essere vigente, le Regioni conserveranno sempre il potere di decidere a quale livello di governo assegnare l’esercizio delle funzioni amministrative.

Quello che dovrebbe essere un atto di riordino e risparmio rischia di creare solo confusione. Soprattutto, perché, nessuno ha fin qui preso in mano l’unico ragionamento davvero necessario: il rapporto costi/ benefici.

Avete mai pensato cosa significa tecnicamente sopprimere le Province??

Avrebbe un costo immenso: modificare radicalmente il sistema della finanza locale ed il patto di stabilità. Ridistribuire e mantenere il patrimonio.

E non si pensa agli oneri derivanti dalla riallocazione degli uffici di competenza o distaccamento provinciale come ASP, catasto, PRA, agenzie delle entrate, ragionerie provinciali, uffici provinciali INPS INAIL ACI, ordini professionali etc.

E poi, vi sarebbe il problema delle centinaia di migliaia di convenzioni, contratti, appalti, servizi, forniture e, naturalmente il trasferimento dei dipendenti, l’ampliamento degli uffici esistenti .

Al momento non mi pare di aver letto nulla di certificato sul risparmio e anche la ricaduta in termini di benefici mi pare tutta da quantificare.

Non sono io a dirlo, lo dice addirittura il Governo nella relazione tecnica al decreto legge 6 luglio 2012 n. 95 che in merito all’art. 17 sulle Province:

Si tratta di una norma procedurale e, pertanto, non è possibile allo stato attuale quantificarne gli effetti finanziari, posto che questi potranno essere rilevati solo successivamente, al completamento dell’iter.

Questo significa che:

1. Non è possibile quantificare gli effetti finanziari della riforma;

2. Sarà possibile verificare i dati solo alla fine dell’iter;

3. Il trasferimento ai Comuni delle funzioni amministrative non comporta oneri;

4. La quantificazione degli eventuali risparmi sarà possibile solo dopo l’individuazione delle singole funzioni.

Ecco il paradosso: si attua con decretazione d’urgenza una cosa per la quale non si conosce il risparmio, non si è fatta la ricognizione esatta delle funzioni da trasferire e per l’attuazione della quale, si garantisce genericamente che non ci saranno costi aggiuntivi.

Non è superfluo ribadire che, non possono formare oggetto di decretazione d’urgenza da parte del Governo le materie previste dall’art. 72, comma 4, della Costituzione, tra le quali sono incluse le norme di carattere costituzionale o elettorale.

Non può nemmeno giustificarsi la straordinarietà e l’urgenza con aspetti di tipo economico-finanziario, per altro incerti.

Ricordo inoltre che, pur non essendo ancora definiti gli indici statistici di soppressione, all’interno del comma 3 dell’articolo 17, viene demandato alla Regione di deliberare un piano di riduzione e di accorpamento delle Province esistenti sul proprio territorio, entro 45giorni dall’entrata in vigore del suddetto DL.

E’ evidente che il Governo ha emanato una norma che obbliga le Regioni a determinarsi in violazione dell’articolo 133 della Costituzione, arrogandosi un’iniziativa che immediatamente dopo viene scaricata alle Regioni.

Infatti il mutamento delle circoscrizioni provinciali, è sì emanato con legge della Repubblica, sentito il parere della Regione, ma è di ESCLUSIVA INIZIATIVA COMUNALE.

Principio costituzionale ben noto al legislatore nazionale, palesemente espresso nel successivo articolo 18 del medesimo Decreto Legge.

Ciò mette in luce come, la negazione del DIRITTO D’INIZIATIVA nel MUTAMENTO delle circoscrizioni provinciali, deriva da un TENDENZIOSO artifizio legislativo, che obbliga le REGIONI a violare il dettato costituzionale.

Le sottigliezze giuridiche però non devono farci impantanare in discussioni che poco hanno a che fare con la politica e il buon senso, rischiamo di farci trovare impreparati a rispondere alle esigenze dei territori che amministriamo.

Crotone e Vibo, ma anche Cosenza con funzioni esautorate o Reggio con funzioni incerte e Catanzaro con carichi abnormi, non possono essere lasciate in balia dei tagli che decapitano l’impianto stesso dello Stato italiano.

La Regione Calabria deve impegnarsi attraverso il suo Presidente e la sua Giunta ad impugnare dinanzi la Corte Costituzionale con giudizio in via principale, il più volte menzionato art. 17 nella parte in cui prevede l’accorpamento e/o la soppressione e/o la razionalizzazione delle Province e delle loro funzioni;

Il Governo della Regione Calabria, in vista dell’udienza pubblica fissata per il prossimo 6 novembre dinanzi alla Corte Costituzionale, deve valutare l’opportunità di presentare un intervento di tipo adesivo-dipendente nei giudizi promossi dinanzi a quest’ultima dalle Regioni Lombardia, Campania, Piemonte, Lazio, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Sardegna.

Non erano necessari super tecnici commissari, per attuare riforme ibride e non condivise. Abbiamo bisogno di un confronto vero e di collaborazione tra Regioni ed enti locali. Attuare in modo condiviso l’assetto amministrativo della Repubblica, è questa la vera sfida, quella che ci porterà a scelte razionali e praticabili”.

redazione@approdonews.it