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Con i contagi bisogna fare i conti con lo scenario delle infrastrutture sanitarie

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Per quanto la mappatura situazionale sull’incidenza del contagio da coronavirus non risulti essere ancora del tutto drammatica, bisogna ammettere che essa si presenti caratterizzata da un’indubbia e progressiva gravità. Non si può d’altronde ignorare che il contagio sia certamente destinato ad aumentare, per di più a causa della non sottovalutabile e immediata facilità in termini di diffusione. L’aver poi costatato che in Italia vi sia una considerevole discrepanza tra il numero di casi registrati al Nord rispetto a quelli del Sud – essenzialmente per la presenza di contesti regionali i cui sistemi di espansione internazionale sono i più produttivi – non impedisce che, potenziali e significativi effetti, possano estendersi con modalità considerevoli anche nelle aree meridionali. Il video editoriale di Luigi Longo – con il quale lo stesso fondatore di Approdo News ha inteso appellare l’attenzione sugli incalcolabili casi di rientro di cittadini calabresi – pone una questione seria, che proprio oggi trova riscontro in un’ordinanza emanata dal Presidente delle Regione (N. 3 dell’8 marzo 2020). Sembra d’altra parte importante aggiungere che, proprio in una complessa area geografica come la Calabria, l’eventuale rapidità di propagazione del virus potrebbe per taluni aspetti rivelarsi più devastante, anche a motivo della coesistenza e dell’insistenza di determinati elementi di natura culturale e infrastrutturale. E’ a questo proposito importante ricordare che nella nostra realtà la percezione dello spazio urbano condiziona – in modo senz’altro notevole – il processo interattivo tra le persone. Nelle dinamiche delle relazioni sociali – che scandiscono la temporalità della vita quotidiana – i cittadini tendono infatti a stare spesso vicini gli uni agli altri, mantenendo di conseguenza una distanza piuttosto ridotta. La prossimità fisica, detto in altri termini, difficilmente determina una netta separazione sociale – tantomeno pubblica – mentre espone maggiormente alla conservazione di un’abituale distanza intima e personale, che nonostante certe condizioni è considerata più accettabile di quanto non lo sia nelle regioni del nord. L’organizzazione di tali modelli di vita – oltre a muoversi in una fitta dimensione spaziale – risulta intrecciata al ruolo della corporeità, i cui antichi e rinnovati rituali si muovono nella pratica sociale tendendo a restringere ulteriormente la demarcazione fisica. Attenzione in ogni caso a non demonizzare troppo i suddetti comportamenti, dal momento che configurano la costruzione di un sistema di alleanze fondate sulla reciproca ed empatica solidarietà, che nelle più problematiche contingenze – come quella che si sta attraversando – potrebbe rivelarsi di vitale importanza. Al di là di questo non sottostimabile fenomeno – che a tutt’oggi caratterizza più fortemente la dimensione familiare e parentale – bisogna fare i conti con lo scenario delle infrastrutture sanitarie. La loro tragica e diffusa carenza – a fronte di una possibile gestione di emergenza epidemica – potrebbe trasformare il territorio regionale in un accampamento falciato da un alto grado di letalità, in modo particolare se la disposizione di ogni legittimo e opportuno piano d’intervento non sia tempestivamente e pienamente condiviso dal supporto del governo centrale. Un aggiunto fattore si lascia invece cogliere nell’approccio morale e culturale al rischio, assunto di fronte al percepito e collettivo senso di esposizione dell’infezione. Un’eventuale epidemia virale – che non incontrerebbe molte difficoltà nel fare irruzione sulle antiche e nuove povertà della regione – oltre a ingenerare gli inevitabili e più diffusi meccanismi della paura, acuirebbe di molto la già consolidata e mortifera visione dell’esistenza, al punto che norme e valori perderebbero ulteriore efficacia, fino ad avere poca presa sulla coscienza sociale. Si tratta di effetti conflittuali che potrebbero sfuggire al controllo, anche perche favoriti da un dominante livello di sfiducia nei confronti dello Stato e delle istituzioni, che ormai da tempo spinge a guardare con diffidenza l’azione pubblica.