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TAURIANOVA (RC), SABATO 04 MAGGIO 2024

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Condanna definitiva per l’ex procuratore Laudonio La Cassazione ha confermato la condanna a 1 anno e 7 mesi emessa dalla corte d'Appello di Salerno lo scorso anno per peculato

Condanna definitiva per l’ex procuratore Laudonio La Cassazione ha confermato la condanna a 1 anno e 7 mesi emessa dalla corte d'Appello di Salerno lo scorso anno per peculato
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ROMA – È diventata definitiva la condanna a un anno e sette mesi per peculato comminata all’ex procuratore di Vibo Valentia Alfredo Laudonio con l’attenuante della particolare tenuità del fatto e la sospensione condizionale. La decisione è giunta da parte della Cassazione che nell’udienza del 13 marzo – come si legge nelle motivazioni depositate oggi – ha confermato la decisione della corte d’Appello di Salerno dell’11 febbraio 2015.

La vicenda ha per oggetto quattro missioni a Roma al servizio centrale della polizia scientifica, a seguito delle quali «Laudonio liquidava a se stesso» rimborsi per le spese di viaggio e soggiorno, compresi pernottamenti a Roma «non strettamente necessari». La corte d’Appello pur ritenendo «insindacabile» la scelta del magistrato di recarsi a Roma, ha valutato come sussistente la «distrazione per quelle spese».

Il magistrato ha opposto tra l’altro l’insussitenza del reato di peculato, sul quale invece – a giudizio della Cassazione (sentenza n. 15854) – la corte d’Appello «ha fornito puntuali ed argomentate risposte».

Infatti, sottolineano gli ermellini, l’appropriazione di denaro «può avvenire anche attraverso il compimento di un atto di carattere dispositivo di sua competenza o connesso a prassi e consuetudini invalse nell’ufficio». In primo grado, ricordano i giudici, è stato dimostrato che “con proprio decreto il Laudonio», sulla base dell’autorizzazione «rilasciata a se stesso» e «allegati i documenti giustificativi delle spese sostenute, si autoliquidava gli importi dovuti per le missioni», mentre il funzionario delegato (che ha poi segnalato il fatto, dando avvio alle indagini), che in base alla legge avrebbe dovuto emettere l’ordine di pagamento, «si limitava ad apporre un timbro”: si era così instaurata «una prassi illegittima».