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TAURIANOVA (RC), MERCOLEDì 01 MAGGIO 2024

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Come ti gabbo il popolino Antonio Giangrande riflette sulla riforma farlocca sulla responsabilità civile dei magistrati

Come ti gabbo il popolino Antonio Giangrande riflette sulla riforma farlocca sulla responsabilità civile dei magistrati
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Un passo avanti nel nulla. Però, più del nulla assoluto di Silvio
Berlusconi, che ci ha messo 20 anni per non metterci mano. Renzi ed il
partito dei giudici, invece, ci mettono mano e gridano alla riforma per
trasformare il niente. Non è stata nemmeno l’incompetenza giuridica del
Ministro della Giustizia, che per altro non è nemmeno laureato, a partorire
una nefandezza del genere, ma solo la voglia di far apparire importante una
cosa inconsistente. La riforma di facciata attinente una legge esistente che
a dire del viceministro alla Giustizia Enrico Costa “ha portato a
risarcimento un numero di cause bassissimo, stimato tra 4 e 7, non di più”.
E tale numero rimane agli annali. I magistrati sghignazzano divertiti dietro
un’apparente disappunto. Tutto ciò si denota dalle blande contestazioni, che
nascondono una malcelata soddisfazione dell’ennesima vittoria delle toghe.

La responsabilità soggettiva dell’errore giudiziario è troppo estesa, per
renderne effettivo il risarcimento del danno causato, addebitandolo ai
singoli. Sono troppi i gradi intermedi e troppi i livelli di verifica e di
sindacato per prevenire il danno e se ciò non avviene è perché il sistema si
conforma a se stesso. Quindi allo stato dei fatti è impossibile indicare il
responsabile, se non coinvolgerli tutti. Accusare tutti significa condannare
nessuno.

La responsabilità dell’evento dannoso è spalmata ed estesa tra troppi
magistrati per poter rendere effettiva la pretesa di giustizia. E lasciare
in mano loro l’efficacia della giusta applicazione delle norme di un equo e
fattivo risarcimento del danno per responsabilità civile delle toghe sembra
una utopia.

Il disegno di legge n. 1626/2014 sulla riforma della disciplina della
Responsabilità civile dei Magistrati, presentato il 24 settembre 2014 dal
Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, di concerto con il Ministro
dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, è strutturato in cinque
articoli e interviene sulla legge 13 aprile 1988, n. 117, con la tecnica
della novella.

Un escamotage per far procedere un testo che investe una materia su cui
pendeva una procedura d’infrazione in sede Europea per mancata applicazione
del diritto comunitario e per la quale l’Italia rischiava di pagare una
multa stimata in 37 milioni di euro. Il Governo ha dato parere negativo a
tutti gli emendamenti. Il testo, il 24 febbraio 2015, è passato alla Camera
in via definitiva, dopo il sì del Senato, con 265 sì, 51 no e 63 astenuti.
Astenuti Lega, Fi, Sel, Fdi e Alternativa Libera. M5S ha votato contro. Il
M5S ha votato contro il nulla e quello che è grave è che non se ne rendono
conto. La legge – dice il deputato M5S Alfonso Bonafede – è “una
intimidazione ai magistrati”. “Rifiuto l’argomento dell’intimidazione”, ha
risposto in Aula il ministro. “A chi parla del travisamento dei fatti e
delle prove come di un’estensione impropria, dico che questa è
un’indicazione europea, e non produce un automatismo sul magistrato, che può
essere chiamato in causa solo in caso di negligenza inescusabile”. Di fatto
nella relazione che accompagna il testo sono stati inseriti “dei correttivi,
degli elementi di chiarificazione – ha spiegato la presidente della
Commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti – che sulla base di
un’interpretazione costituzionalmente orientata, esplicitano che il danno
c’è solo nel caso in cui il travisamento sia macroscopico e evidente “.

In questa prospettiva, l’intervento normativo interviene sul sistema sino ad
oggi disciplinato dalla legge 13 aprile 1988, n. 117, che regola il
risarcimento dei danni cagionati dall’esercizio delle funzioni giudiziarie e
la responsabilità civile dei magistrati. Disciplina adottata all’esito del
referendum abrogativo degli articoli 55 e 56 del codice di procedura civile
indetto con il decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 1987.

L’articolo 1 reca modifiche alla disciplina sui presupposti della
responsabilità modificando l’articolo 2 della legge Vassalli.

Il comma 1 del richiamato articolo 2 della legge n. 117 del 1988 è
riformulato richiamando espressamente la responsabilità dello Stato anche
per le condotte dei magistrati onorari (fermo quanto si dirà sui giudici
popolari) ed eliminando la superabile limitazione del danno risarcibile ai
danni non patrimoniali prevista per la sola ipotesi di provvedimento cha
abbia determinato la privazione della libertà personale (lettera a)).

La lettera b) dell’articolo 1 riscrive il comma 2 dell’articolo 2 della
legge Vassalli, prevedendo che l’attività di interpretazione delle norme di
diritto e di valutazione del fatto e delle prove non determina
responsabilità se non nel caso di dolo del magistrato e laddove
l’interpretazione si risolve in una violazione manifesta della legge o la
valutazione dei fatti e delle prove in un travisamento degli stessi.

La lettera c) riscrive il comma 3 dell’articolo 2 della legge n. 117 del
1988 individuando, quale ipotesi di colpa grave predeterminata per legge, la
violazione manifesta della legge e del diritto dell’Unione europea ovvero il
travisamento del fatto o delle prove.

Va rilevato che, andando oltre alle esigenze di compatibilità col diritto
dell’Unione, viene esteso l’ambito di operatività della responsabilità dei
magistrati all’ipotesi di violazione manifesta anche del diritto interno da
parte di organi giurisdizionali anche non di ultimo grado. Un’eventuale
distinta considerazione, sotto questo profilo, del diritto dell’Unione
europea e del diritto interno avrebbe potuto essere considerata del tutto
improponibile sotto il profilo della razionalità e della ragionevolezza
(articolo 3 della Costituzione) e sotto l’ulteriore profilo, per quanto
riguarda l’attività dei giudici, dell’osservanza della Costituzione e delle
leggi (ovviamente anche interne) come sancita dall’articolo 54 della
Costituzione.

Dalla lettera d) dell’articolo illustrato è aggiunto il comma 3-bis
all’impianto originario dell’articolo 2 della legge n. 117 del 1988. Vengono
individuati, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Lussemburgo,
una serie di criteri volti a determinare i casi in cui sussiste la
violazione manifesta della legge e del diritto dell’Unione europea.

Per la violazione manifesta della legge e del diritto dell’Unione i criteri
predetti sono il grado di chiarezza e precisione delle norme violate,
l’inescusabilità e la gravità dell’inosservanza. In particolare per la
violazione manifesta del diritto dell’Unione europea deve inoltre tenersi
conto della posizione adottata eventualmente da un’istituzione dell’Unione
europea, nonché della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio
pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea.

L’articolo 2 del provvedimento illustrato prevede l’abrogazione del
procedimento di ammissibilità della domanda (il cosiddetto filtro all’azione
di responsabilità) in chiave di semplificazione e maggiore effettività della
tutela riparatoria accordata al danneggiato.

L’articolo 3 reca modifiche all’azione di rivalsa come disciplinata dagli
articoli 7 e 8 della legge n. 117 del 1988, in particolare nel senso:

di mantenere il presupposto soggettivo di questa azione civile in termini di
negligenza inescusabile;

di elevare a tre anni il termine entro cui lo Stato esercita l’azione nei
confronti del magistrato;

di rendere espressamente obbligatoria l’azione di rivalsa stessa;

di razionalizzare il regime della rivalsa nei confronti dei magistrati
onorari, ancorandola ai presupposti comuni di dolo e negligenza
inescusabile, in tutti i casi diversi da quelli dei giudici popolari che
resteranno responsabili solo per dolo (sul punto si veda la sentenza della
Corte costituzionale n. 18 dell’11 gennaio 1989).

Modificando l’articolo 8, comma 3, della legge n. 117 del 1988, la misura
della rivalsa viene elevata da un terzo alla metà di una annualità dello
stipendio del magistrato responsabile. Analogamente viene elevata ad un
terzo la rata mensile dello stipendio del magistrato la quota espropriabile
con esecuzione forzata.

Sostituendo l’articolo 9 si stabilisce (mutuando una previsione
dell’abrogato articolo 5 sul cosiddetto filtro di ammissibilità) che il
tribunale adito per il giudizio di rivalsa ordina in ogni caso la
trasmissione di copia degli atti ai titolari dell’azione disciplinare; per
gli estranei che partecipano all’esercizio di funzioni giudiziarie la copia
degli atti sarà trasmessa agli organi ai quali compete l’eventuale
sospensione o revoca della loro nomina.

Resta ferma l’immutata autonomia del giudizio disciplinare (attivabile anche
prima e a prescindere da quello civile) rispetto al processo civile anche in
sede di rivalsa.

Le modifiche apportate all’azione di rivalsa intercettano anche un generale
consenso parlamentare, evidenziato da iniziative attualmente in discussione
nelle due Camere.

L’articolo 4 reca disposizione finanziaria con norma di copertura degli
oneri derivanti dall’applicazione della legge. È prevista l’effettuazione
del monitoraggio degli oneri ai sensi della legge n. 196 del 2009.

Il testo si chiude con la norma sull’efficacia della normativa (articolo 5),
che è previsto che si applichi ai fatti illeciti posti in essere dal
magistrato successivamente all’entrata in vigore della nuova normativa.

Più che un intervento legislativo a tutela dei cittadini è la tacitazione
dell’opprimente e vessatoria ingerenza dell’Unione Europea negli interesso
italiani.

Va rilevato che la sentenza Traghetti del Mediterraneo e la successiva
Commissione/Repubblica italiana sono sulla stessa linea della legge n. 117
del 1988 sia sul punto che è lo Stato a dover rispondere degli errori dei
giudici, sia sul punto che la responsabilità dello Stato per gli errori dei
giudici si concretizza solo a seguito di una violazione «imputabile a un
organo giudiziario di ultimo grado».

Piuttosto — secondo le due sentenze della Corte di Lussemburgo — ciò che
urta contro il diritto dell’Unione europea, dei precetti contenuti nel
vecchio articolo 2 della legge n. 117 del 1988, è che il danno risarcibile
provocato da un giudice non possa derivare anche da interpretazioni di norme
di diritto o da valutazioni di fatti e prove (comma 2); e che, in casi
diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di
fatti e di prove, possano essere imposti, per la concretizzazione della
responsabilità dei giudici, «requisiti più rigorosi di quelli derivanti
dalla condizione di una manifesta violazione del diritto vigente» (comma 1).

Con l’intervento regolatorio che si è approvato, che conserva il sistema
misto di responsabilità civile dei magistrati della legge Vassalli,
strutturato cioè sulla responsabilità diretta dello Stato (in funzione
compensativo-satisfattoria) e su quella, in sede di rivalsa, del magistrato
(in funzione preventivo-punitiva), si intendono soddisfare le esigenze di
compatibilità con l’ordinamento dell’Unione europea:

modulando lo spettro della responsabilità dello Stato sulla violazione del
diritto ovvero sul travisamento del fatto e delle prove, purché manifesti,
quali ipotesi paradigmatiche di colpa grave che qualifica l’illecito
riferibile a tutte le magistrature, anche quella onoraria;

adeguando di conseguenza la cosiddetta clausola di salvaguardia per
l’attività di interpretazione delle norme di diritto e di valutazione del
fatto e delle prove nel senso di non prevederne l’operatività in caso di
dolo del magistrato e laddove l’interpretazione si risolva in una violazione
manifesta della legge e la valutazione dei fatti e delle prove in un
travisamento degli uni e delle altre.

Ancora, l’intervento normativo incontra l’esigenza di rendere più immediata
ed effettiva la responsabilità del magistrato, in specie per il recupero di
quanto pagato dallo Stato, attraverso:

l’eliminazione del filtro oggi posto all’azione di risarcimento costituito
da un procedimento di ammissibilità della domanda giudiziale;

la modifica della disciplina dell’azione di rivalsa che lo Stato
responsabile è chiamato a promuovere nei confronti del magistrato autore
della condotta illecita, per negligenza inescusabile, in tre direzioni:

chiarire la natura obbligatoria dell’azione che lo Stato promuove nei
confronti del magistrato per il recupero di quanto pagato al danneggiato;

aumento del tempo utile per proporre la domanda di rivalsa da parte dello
Stato;

congruo incremento della misura della rivalsa stessa, fino alla metà
dell’annualità dello stipendio del magistrato;

la precisazione in senso rafforzativo dei rapporti tra responsabilità civile
e disciplinare.

Ma ai neofiti del diritto prospettiamo l’applicazione esemplare e pratica
della norma e quindi la sua inefficacia.

La responsabilità civile del magistrato consegue ad un danno riconducibile a
colpa grave o dolo: si desume, quindi, che l’evento dannoso sia conclamato
se non al grado definitivo. Ad un attenta analisi ci si accorge, però, che
ci sono troppi gradi intermedi e troppi livelli di verifica e di sindacato
per prevenire il danno e se ciò non avviene è perché il sistema si conforma
a se stesso. Quindi allo stato dei fatti è impossibile indicare il
responsabile, se non coinvolgerli tutti. Accusare tutti significa condannare
nessuno.

L’indennizzo per questioni oggettive già c’è:

per le lungaggini del processo c’è la legge Pinto, anche se con le novelle
intervenute è stata resa inefficace;

per la illecita detenzione c’è la soddisfazione monetaria da parte della
Stato.

Ma se si va a pretendere il risarcimento soggettivo al singolo magistrato
per il maggior danno dovuto ad errore giudiziario ecco che alzano le scuri a
difesa della categoria togata.

Prendiamo per esempio un evento dannoso nel processo penale per un imputato
risultato innocente per assoluzione o per revisione, ma che nelle trame del
processo ha perso tutto: chi è il responsabile?

E’ il Pubblico Ministero che si è prodigato a sostenere un’accusa
inconsistente fondata su teoremi farlocchi?

E’ il GIP che ha convalidato il suo operato?

E’ il GUP che ha confermato la sua accusa?

E’ il giudice monocratico o i giudici di Corte di Assise che hanno approvato
la tesi accusatoria?

E’ il giudice d’appello o i giudici di Corte di Assise di Appello che hanno
avvalorato la condanna?

Sono gli ermellini di Cassazione che hanno accreditato l’operato
sottostante?

La responsabilità dell’evento dannoso è spalmata ed estesa tra troppi
magistrati per poter rendere effettiva la pretesa di giustizia. E lasciare
in mano loro l’efficacia della giusta applicazione delle norme di un equo e
fattivo risarcimento del danno per responsabilità civile delle toghe sembra
una utopia.

Cosa diversa sarebbe stata se si fosse prevista una autorità sanzionatoria
slegata alla categoria delle toghe, come per esempio il difensore civico
giudiziario, o almeno che fosse mista: magistratura, avvocatura, politica:
Non sarebbe cambiato nulla, comunque, ma almeno una parvenza di imparzialità
ci sarebbe stata.

Naturalmente legge vera di tutela del cittadino sarebbe stata adottata, se
essa avesse preveduto la responsabilità civile dei magistrati per colpa
semplice o dolo, partendo dall’effettivo dato oggettivo come è quello
dell’evento dannoso, e da lì partire con la quantificazione monetaria dello
stesso, da soddisfare con la polizza assicurativa che i magistrati già hanno
e che dovrebbero pagare di tasca propria.

Dr Antonio Giangrande