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TAURIANOVA (RC), DOMENICA 05 MAGGIO 2024

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Apriamo un dibattito sulla legge elettorale – seconda parte

Apriamo un dibattito sulla legge elettorale – seconda parte

Editoriale di Bruno Morgante

Apriamo un dibattito sulla legge elettorale – seconda parte

Editoriale di Bruno Morgante

 

 

Dal dibattito che si è sviluppato tra i partiti tutti sono concordi nell’affermare che bisogna lavorare per riformare la seconda parte della costituzione e per approvare una nuova legge elettorale perché non si può tornare a votare con l’attuale legge.

Appena si entra nel merito dei temi da affrontare, come è normale, sorgono le divergenze e ognuno propone le sue ricette, per cui sorge la paura che tutto finisca in grandi disponibilità ai cambiamenti più radicali per, alla fine, non cambiare niente.

Per questo abbiamo ritenuto necessario avviare un confronto da questo giornale per gridare che questa è materia che interessa tutti noi e non materia tecnica per addetti ai lavori.

Dopo gli eventi tumultuosi del periodo di mani pulite, che sconvolsero la politica e il paese, invece di eleggere un’assemblea costituente, coinvolgendo in questo modo il popolo nel dibattito e nelle scelte, per ridisegnare il nuovo assetto istituzionale, i partiti scelsero ( allora dissero per non perdere tempo perché un’assemblea costituente avrebbe impiegato due anni mentre il parlamento in carica la riforma l’avrebbe fatta in sei mesi) di tentare di trovare una soluzione nel parlamento.

Sono passati venti anni e ancora siamo nella fase di transizione. A colpi di referendum si cambiò solamente la legge elettorale, utilizzando demagogicamente come una clava la volontà popolare, legge peggiorata dalla riforma Calderoli (il porcellum) approvata dal parlamento a maggioranza con l’accondiscendenza dell’opposizione.

Sappiamo che è limitativo parlare solo di legge elettorale nazionale perché si dovrebbe affrontare la riforma:

– della seconda parte della costituzione concernente il completamento del decentramento dei poteri alle regioni e ai comuni, il superamento del bicameralismo perfetto, il dimezzamento dei parlamentari, la forma di governo;

– dei regolamenti parlamentari;

– dei partiti che non possono continuare ad essere associazioni private, visto il ruolo rilevante pubblico che hanno nella determinazione della classe dirigente del paese;

– delle leggi elettorali per l’elezione di comuni e regioni, rendendole omogenee con quella nazionale.

Non vengono menzionate le province in quanto sulla base del decreto sulle semplificazioni non si dovrebbero più tenere elezioni provinciali.

Manca un anno e poco più alla fine della legislatura e se si vuole essere credibile che qualcosa sarà fatta e che non si vuole menar il can per l’aia per non fare niente, è bene affrontare ciò che può essere fatto con legge ordinaria, essendo difficile pensare a ritocchi della costituzione, anche se necessari, visti i tempi tecnici per riforme costituzionali per cui quelli rimasti sarebbero appena sufficienti per approvarle se già oggi ci fosse accordo su un testo, cosa che non c’è.

Un accordo su un testo c’è: dimezzamento dei parlamentari. Se c’è la volontà si proceda senza indugio e senza il giochino che si è d’accordo se però prima o insieme viene votata qualche altra cosa su cui non c’è accordo.

Le leggi elettorali e la legge sul funzionamento dei partiti possono essere affrontati con legge ordinaria per cui su queste è produttivo sviluppare il confronto e misurare la reale volontà di cambiamento delle forze politiche, rimandando alla prossima legislatura e, speriamo ad un’assemblea costituente, la riforma della seconda parte della costituzione.

Sull’onda di mani pulite, che spazzò via tutti i partiti che avevano garantito le maggioranze nella prima repubblica, montò, in nome di una presunta società civile, una feroce propaganda contro i partiti e contro gli impegnati in politica, individuati tout court come gli artefici di tutti i mali del paese.

Si disse che la preferenza unica dava maggiore potere al voto del cittadino, contro lo strapotere dei segretari di partito, contro gli apparentamenti tra centri di potere con lo scambio delle preferenze che impedivano il rinnovamento dentro i partiti, contro il controllo mafioso del voto in buona parte del Sud con il sistema dell’imposizione delle quaterne.

Si disse che bisognava diminuire il numero dei partiti per garantire stabilità di governo. Se guardiamo ai risultati notiamo che:

– Il potere che hanno oggi i segretari dei partiti non ha riscontro non solo nella storia breve della democrazia italiana, ma nemmeno in tutto l’occidente;

– Con la preferenza unica il voto diventa più pesante e ci vogliono molto meno preferenze per essere eletti, per cui centri di potere organizzati, compreso la mafia, mentre prima condizionavano le elezioni, oggi hanno la possibilità di eleggere direttamente loro rappresentanti. Nei comuni vince il candidato con grosse famiglie alle spalle o che svolge attività di servizio per rispondere a bisogni dei cittadini, indipendentemente dall’essere o meno impegnato in politica. I partiti diventano una sigla al servizio dell’eletto, tanto è vero che sono quasi scomparsi i partiti con militanti sul territorio. Un’oligarchia si è impadronita degli enti locali. L’eletto, che naturalmente è portato a operare per garantirsi la rielezione, tende a mantenere il proprio elettorato e utilizza a tal fine la spesa pubblica, tanto è vero che questa è cresciuta costantemente negli anni, specialmente nelle voci che presuppongono molta discrezionalità da parte del politico eletto come la nomina di consulenti o l’utilizzo di lavoro interinale. Nessuno avvia grandi progetti la cui ricaduta non è immediata. C’è uno scambio tra eletti, di maggioranza e di opposizione, per garantirsi la rielezione, tanto è vero che nei comuni e nelle regioni non si hanno notizie di grandi battaglie di minoranza. C’è complessivamente un decadimento culturale nelle rappresentanze elettive a livello locale, specialmente nel Sud, perché professionisti o impegnati politicamente non arrivano in nessun posto se non fanno parte di una grossa famiglia o non sono appoggiati da gruppi organizzati;

– Nella prima repubblica i partiti erano sette e si disse che erano molti e che bisognava che diminuissero. Escluso rare eccezioni che si contano sulle dita di una mano nella prima repubblica non si avevano cambi di partito. Con le nuove leggi nel parlamento si formano decine di partiti con passaggi di parlamentari da un partito a un altro. I cambi di casacca coinvolgono non più unità, ma centinaia di parlamentari per legislatura. Nessuna legislatura è finita con la maggioranza iniziale, in ognuna ci sono state diverse crisi di governo e ben tre su cinque sono finite prima della scadenza naturale.

E’ stato tutto un imbroglio? Non lo penso. E’ molto più verosimile che paghiamo il prezzo del fatto che forze con cultura di governo, collegate ai grandi filoni del pensiero democratico europeo, che potevano dare risposte alla domanda di cambiamento, sono state delegittimate sul piano morale e spazzate via dalla magistratura e si son trovate a dover dare risposte forze politiche che negli anni precedenti si erano opposte al cambiamento e che nella loro storia erano state sempre all’opposizione in quanto ideologicamente antagoniste al sistema. 

redazione@approdonews.it