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TAURIANOVA (RC), LUNEDì 29 APRILE 2024

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Alejandro Solalinde: il prete che i narcos vogliono morto Il prossimo 24 ottobre alle 18 presso il Duomo di Santa Marina di Polistena la testimonianza coraggiosa del sacerdote messicano che ha sfidato narcos e malapolitica

Alejandro Solalinde: il prete che i narcos vogliono morto Il prossimo 24 ottobre alle 18 presso il Duomo di Santa Marina di Polistena la testimonianza coraggiosa del sacerdote messicano che ha sfidato narcos e malapolitica
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di Giuseppe Campisi

Polistena – Un prete scomodo don Alejandro Solalinde, candidato al premio Nobel per la pace 2017, tanto per il governo messicano quanto per i cartelli di narcotrafficanti che ha osato sfidare come racconta egli stesso nel libro “I narcos mi vogliono morto” edito da EMI e scritto a quattro mani con la collaborazione della giornalista Lucia Capuzzi, il supporto di Amnesty International e la prefazione di don Luigi Ciotti. Un prete battagliero – che sarà a Polistena il prossimo 24 ottobre alle ore 18 presso il duomo di Santa Marina in un incontro promosso dal Centro Padre Puglisi, la stessa comunità parrocchiale e l’associazione Il Samaritano – per dare testimonianza in presa diretta di un sistema corrotto e malato che si incentra sul business del narcotraffico e dei migranti. Un sistema disumano a cui il “don Ciotti messicano” – come è stato definito – ha deciso di opporsi mettendosi in trincea a combattere una guerra difficilissima sin dal 2005.

«O salvavo me stesso o aiutavo i migranti, ho scelto di aiutarli» si legge nel libro di questo ostinato 72enne condannato a vivere, oramai da anni, sotto scorta con tanto di taglia da 1 milione di euro sulla testa a cui certamente il racconto di verità scomode non fa difetto. L’apertura di un centro d’accoglienza (“Hermanos en el camino” – “Fratelli sulla strada”) a Ixpetec, piccolo paesino del sud del Messico nello Stato di Oaxaca, per dare fiducia ed assistenza a migliaia di disperati ma anche per restituire dignità ad una umanità di migranti schiavizzata e ridotta oggetto di mercimonio con l’unica colpa di desiderare una vita migliore guardando all’opulenza americana, oltre confine. Un gesto apparentemente innocuo e meritevole di sostegno che nella terra dei narcos può costare caro specie se quelle stesse persone costituiscono per le agguerrite bande di criminali e per politici senza scrupoli il traffico col quale lucrare sulla pelle di migliaia di disperati.

Il Messico, terra debordante di contraddizioni con la presenza costante della ferocia dei cartelli dei nacos Los Zetas e del Golfo a controllare traffici e territorio con la mattanza di più di 23 mila persone ogni anno, dove la corruzione è la regola piuttosto che l’eccezione, dove l’impunita criminale rasenta una inconcepibile normalità che fa sì che circa 20 mila migranti all’anno vengano inghiottiti dal nulla o sequestrati, magari utilizzati per il traffico d’organi del mercato nero quotato 50 milioni di dollari, l’opera di salvaguardia di questo prete di periferia non poteva passare inosservata senza risultare la classica spina nel fianco per i famelici appetiti criminali ma anche per quelli della sporca malapolitica. Un uomo, Solalinde, che nonostante tutto non ha mai smesso di denunciare con forza ed in giro per il mondo quella realtà distorta, aprendo uno squarcio nelle coscienze, dove ha deciso di infilare prepotentemente la sua la sua voce dal sapore di un riscatto amaro. Perché in fatto di confini, muri, migranti ed espulsioni la cronaca globalizzata racconta storie ancora tremendamente attuali. Ad ogni latitudine, a quanto pare.