È morto il procuratore antimafia Roberto Pennisi. Uno degli ultimi baluardi di una magistratura di cui ti potevi fidare

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È morto Roberto Pennisi, valoroso magistrato antimafia. Ci ha lasciato un impegno che dobbiamo onorare: “La ‘ndrangheta ce la porteremo appresso finché non riusciremo a spezzare l’intreccio perverso fra criminalità, politica ed economia”, sostiene su Facebook il prete antimafia don Pino Demasi. Sono d’accordo. Ho conosciuto il Pm Roberto Pennisi nei primi anni del 2000, in quel periodo ero il direttore commerciale della compagnia portuale All Services. Nel Porto di Gioia Tauro si respirava un clima pesante, dovuto alle inchieste della direzione antimafia di Reggio Calabria. La All Services entra nel mirino della ‘ndrangheta: attentati, minacce contro l’intero vertice della cooperativa, momenti drammatici per tutto il consiglio di amministrazione. Il dott. Pennisi per tutti noi è stato un’ancora importante per non cadere nella depressione. Un punto di riferimento straordinario. Quando ci siamo trovati nella decisione di denunciare la ‘ndrangheta, io ed Aldo Alessio non abbiamo avuto dubbi da che parte stare. Il ricordo è ancora vivo il giorno del nostro incontro a Reggio Calabria per formalizzare la denuncia, che poi scaturì nella operazione “cent’anni di storia “. Ancora ricordo benissimo quei momenti, il dott. Pennisi era un uomo di una cultura immensa, con una grande ironia, anche nello scegliere il ristorante a Roma per andare a cena, infatti in una delle belle serate romane, io e l’avvocato Napoli incontrammo il magistrato Pennisi, piacevolmente sorpreso di vederci e poi, quale da esperto culinario ci indicò il ristorante per andare a cena . Ricordo ancora la nostra ultima conversazione presso la polizia di frontiera al porto, “carissimi Luigi e Bruno, io tra poco vado via, non fidatevi di tutti gli apparati della polizia giudiziaria”, ed aveva ragione. Quello che mi successe, dopo qualche mese, è la prova lampante. Il sottoscritto nel processo “cent’anni di storia”, ero il testimone della DDA. Dopo poco tempo un’altra procura si inventò l’accusa nei miei confronti per arrestarmi. Eccola: ” Longo non poteva arrivare a quei livelli nel porto senza l’appoggio della ‘ndrangheta da come si evince dal procedimento “cent’anni di storia “: Un falso incredibile!  A Reggio Calabria, testimone principe della DDA, invece per la procura di Roma con un copia incolla (errore, in buona fede o in malafede?), provocò il mio arresto nel 2009, ottenendo il risultato a cui l’ex terminalista ambiva, la fine della mia azienda, della logistica, il crollo della linea dei depositi doganali di tipo C. Insomma, annientare tutto ciò che non era transchipment, provocando il collasso economico delle società che avevano costruito con grandi sacrifici negli anni. Poi sappiamo tutti com’è finito quel processo di Roma, tutti assolti perché il fatto non sussiste con motivazioni contestuale, la procura non si appella…tutto finisce in primo grado! Dimenticavo di dirvi che il collegio giudicante sul caso mio specifico manda le carte in procura in quanto chi ha fatto le indagini ha falsificato le intercettazioni. 14 Pm che si sono dimessi. Cinque anni per avere giustizia. Una vergogna per un Paese normale. Di Pennisi ti potevi fidare, agiva nella massima trasparenza e buona fede, da servitore dello Stato, Pennisi mancherà alla democrazia in questa Italia. Mancherà alle persone perbene. Mancherà ai cittadini che vogliono denunciare gli abusi. La magistratura perde un giudice straordinario.  Condivido questa mia riflessione con il mio grande amico avvocato penalista Antonino Napoli. Ciao Roberto