A Locri il procuratore Giuseppe Lombardo ha lanciato un appello accorato agli studenti, invitandoli a “fare rumore”
Apr 07, 2025 - redazione
Riceviamo e pubblichiamo
A Locri il procuratore Giuseppe Lombardo ha lanciato un appello accorato agli studenti, invitandoli a “fare rumore”. Raccontate, denunciate, non restate in silenzio. Un’esortazione sacrosanta, ma che lascia un sapore amaro se osservata alla luce di una realtà in cui proprio chi dovrebbe ascoltare e agire sembra spesso scegliere la sordità selettiva. Sì, fate rumore, ragazzi. Ma sappiate che troppo spesso, anche gridando, si resta inascoltati. Non perché manchi la voce, ma perché manca l’orecchio disposto ad ascoltare. Il procuratore ha ricordato come la ‘ndrangheta si sia evoluta fino a diventare uno dei sistemi criminali più potenti e pervasivi al mondo. Ha menzionato operazioni importanti, inchieste epocali come Eureka, che hanno messo a nudo il volto multinazionale del crimine. Ma qui sta il nodo della questione: fermarsi ai riflettori delle maxi-retate significa dimenticare, o ignorare, i segnali quotidiani, quei reati spia che annunciano l’infiltrazione del potere mafioso nel tessuto sociale, politico, economico. Chi scrive ritiene che la magistratura italiana, pur con l’abnegazione di molti suoi esponenti, continui a mostrarsi miope di fronte a questi segnali deboli ma inequivocabili. Corruzione sistemica, collusioni nella pubblica amministrazione, appalti truccati, intimidazioni travestite da burocrazia: sono questi gli indicatori che andrebbero intercettati prima che il crimine si consolidi in sistema. Ma spesso non lo si fa. O lo si fa tardi. O peggio, lo si ignora, con la scusa che non è abbastanza rilevante. Così, mentre si celebrano le grandi operazioni, nelle periferie urbane e nei consigli comunali la legalità si dissolve nel silenzio, nell’omertà istituzionale, nella paura mascherata da prudenza. È necessario dirlo con chiarezza. Se oggi la ‘ndrangheta agisce come una holding globale del crimine è anche perché troppo a lungo è stata sottovalutata nelle sue forme più mimetiche, quelle che non sparano ma comprano. Quelle che non minacciano ma si insinuano. E se chiediamo ai giovani di denunciare, di “fare rumore”, abbiamo il dovere di garantire che le loro voci non si perdano nel vuoto istituzionale. La Calabria non ha bisogno solo di parole forti. Ha bisogno di occhi aperti e mani pulite. Non basta invitare gli studenti a rompere il silenzio. Bisogna che chi ha il potere di agire lo faccia, con la stessa determinazione con cui chiede agli altri di esporsi.
Perché il vero scandalo non è chi tace. È chi ascolta e poi guarda altrove.
Francesco Distilo