Credo che la proposta di legge con cui si vuole istituire la nuova azienda ospedaliera universitaria di Cosenza
sia un azzardo politico, per giunta incostituzionale. È per questo motivo che il mio voto in Consiglio regionale
sarà contrario. Nel sistema sanitario regionale calabrese che si fonda sulla rete hub-spoke, l’azienda ospedaliera
di Cosenza rappresenta l’hub più grande della Calabria, con circa 670 mila utenti. Ad oggi i dati sconfortanti,
oltre alle infinite liste d’attesa, alla rete dell’emergenza-urgenza che fa ancora acqua da tutte le parti ed ai
livelli essenziali di assistenza e prestazioni che raggiungono a fatica e in maniera disomogenea la sufficienza,
sono quelli relativi all’emigrazione sanitaria passiva, secondo cui tanti, troppi cosentini sono costretti a
rinunciare alle cure o a recarsi fuori dalla Calabria, anche per le patologie più banali. Ció detto, lasciando da
parte per il momento ogni considerazione sulla illegittimità o meglio sull’incostituzionalità del progetto di
legge, che a mio avviso é indubbia data l’indispensabilità di un dpcm per la costituzione di una nuova azienda
ospedaliera universitaria, credo che un’operazione di tale portata presupporrebbe un’attività preparatoria che
non si può improvvisare né approssimare. Solitamente l’istituzione di un’azienda ospedaliera universitaria
nasce dall’integrazione di due solide realtà sanitarie esistenti, una ospedaliera ed una universitaria. Ci sono
diversi esempi in tutta Italia. La forzatura, nel caso che ci riguarda, sarebbe quella di unire l’ospedale civile di
Cosenza, nodo focale della rete ospedaliero-sanitaria provinciale con tutti i deficit e i disservizi che persistono,
e la neonata facoltà di medicina dell’Unical, tra l’altro innovativa e non tradizionale, alla quale manca persino
una scuola di medicina. Ad oggi, quindi, non ci sono i requisiti essenziali alla realizzazione di questo sogno.
Come dire che due zoppi, anche se li metti assieme, non potranno mai correre. A chi subisce la fascinazione
del “policlinico universitario” vale la pena ricordare che l’altisonante locuzione non è garanzia di una migliore
organizzazione e assistenza sanitaria di cui avrebbe tanto bisogno la Calabria. L’Università della Calabria,
infatti, è riuscita ad assumere a tempo determinato pochissimi professori di rilievo internazionale ed ha
cooptato come docenti alcuni degli attuali primari dell’ospedale che, per dedicarsi all’insegnamento,
inevitabilmente sottraggono del tempo alla loro occupazione primaria. Dunque sono le risorse ospedaliere a
rappresentare un valore aggiunto per l’Università e non il contrario. Sforzi ammirevoli per la facoltà di
medicina, che però non bastano a sostenere una nuova azienda ospedaliera universitaria. D’altra parte non può
passare inosservata l’indagine in cui sono coinvolti alcuni professori universitari che, pur non avendo i requisiti
per diventare primari, sono stati assunti in ospedale senza passare per un concorso pubblico, in virtù di un
accordo firmato da Regione, Unical e Ao. Al di là dell’indagine giudiziaria, tali dissennate politiche di
reclutamento in ambito sanitario, oltre ad eludere le procedure concorsuali, si riflettono inevitabilmente sul
livello qualitativo della classe dirigente medica e di conseguenza delle prestazioni ospedaliere a cui tutti
potremmo doverci sottoporre.
Concludendo, in una regione commissariata da quasi vent’anni, che purtroppo ancora stenta a mantenere gli
standard minimi di adeguatezza e di accesso alle cure, quella che ai miei occhi appare come un’improvvida
scorciatoia utile a pochi potrebbe distruggere definitivamente anche quel poco di buono che il personale
medico-sanitario, con grande sacrificio, continua a mantenere in piedi da anni.