Pagamenti delle imprese da parte della Pubblica amministrazione, dichiarazione di voto di Bilardi
Giu 04, 2013 - redazione
“Il decreto apre uno spiraglio con delle dotazioni ben precise che daranno respiro alle imprese e metteranno in circolo denaro necessario a creare nuova ricchezza e nuova occupazione”
Pagamenti delle imprese da parte della Pubblica amministrazione, dichiarazione di voto di Bilardi
“Il decreto apre uno spiraglio con delle dotazioni ben precise che daranno respiro alle imprese e metteranno in circolo denaro necessario a creare nuova ricchezza e nuova occupazione”
Riceviamo e pubblichiamo:
Signor Presidente, le disposizioni che stiamo per approvare sono attese dai nostri sindaci, dai nostri amministratori e, soprattutto, dalle nostre imprese. La cosa anomala è che per arrivare a soluzioni di buonsenso, pagare cioè le imprese che abbiano già fornito opere o servizi alla pubblica amministrazione, ci sia stato bisogno di un decreto-legge.
È quindi evidente che a monte c’è qualche disposizione illogica. Mi riferisco al Patto di stabilità interno. Bisogna, senza mettere a rischio il rapporto deficit-PIL italiano, tornare a ragionare sui meccanismi del Patto e, in parte, con questo decreto lo si fa.
Il decreto apre uno spiraglio con delle dotazioni ben precise che daranno respiro alle imprese e metteranno in circolo denaro necessario a creare nuova ricchezza e nuova occupazione.
Gli spazi per ulteriori aggiustamenti sembrano esserci, considerando che a disposizione presso la Tesoreria dovrebbero esserci circa 15.000 milioni di liquidità.
Durante l’esame in Commissione bilancio è stato accolto un maxiemendamento dei relatori; il decreto finisce così per affrontare differenti aspetti del vincolo ai debiti degli enti locali e delle Regioni. Con la ulteriore garanzia dello Stato, introdotta durante l’esame da parte del Senato, si amplia di molto la disponibilità a favore degli enti territoriali. Insomma, si tratta di una serie di aspetti tecnici risolti dal testo al nostro esame che vanno nella direzione di liberare risorse altrimenti bloccate.
Il dibattito di questi giorni sostiene di stabilire un limite al livello dell’indebitamento e di introdurre il principio di equilibrio, se non di pareggio, di parte corrente. In questo senso, andrebbero riscritti i vincoli della legge n. 243 del 2012, di attuazione del novellato articolo 81 della Costituzione, che saranno in vigore da gennaio 2014. Il nuovo articolo 81, è bene ricordarlo, prevede appunto l’equilibrio e non il pareggio di entrate e di spese. Il limite dell’indebitamento va introdotto con vincoli precisi, oltre i quali decade la Giunta. Chi si candida alla guida di un Comune o di una Regione si trova purtroppo a governare anche il debito ereditato dalla Giunta precedente, che costituisce una grande limitazione e un forte freno alla novazione governativa.
È ovvio che tutto questo ci induce a delle riflessioni ulteriori. Il recupero di evasione, agendo positivamente sulle entrate, diventa un elemento importante per il rispetto del Patto di stabilità. Sugli investimenti in conto capitale, che servono alla creazione di infrastrutture, va rilevato come questi potrebbero costare meno a parità di opere realizzate; basta leggere alcuni capitolati d’appalto per rendersene conto. È facile dire che lo Stato o gli enti non pagano i debiti; forse bisognerebbe entrare nel merito dei debiti e in alcuni casi anche ricontrattarli prima di pagarli.
Sulla spesa per consumi intermedi, che è di circa 130 miliardi annui, è necessario individuare concretamente i margini in cui si insinuano sprechi e corruzione. Infatti l’80 per cento di questa spesa è fatta dalle amministrazioni locali; è necessaria una definitiva standardizzazione e sono indispensabili parametri comuni in tutta Italia. Di quanto si può diminuire questa voce nella spesa pubblica? È un punto su cui dobbiamo ragionare, Governo e Parlamento insieme, perché ovviamente meglio si affinano e si studiano forme per diminuire i costi delle forniture della pubblica amministrazione, a parità di servizi, più risorse rimangono per fare interventi su altre voci di spesa, come gli investimenti in conto capitale, oggetto dell’intervento del decreto al nostro esame.
A tale proposito, non possiamo non ascoltare il recente appello della Corte dei conti, che stima in circa 60 miliardi il costo della corruzione. Anche in questa direzione si deve muovere a nostro avviso la revisione del patto.
Nel nostro Paese c’è bisogno di una nuova ondata di semplificazione, di snellimento delle procedure burocratiche e di cancellazione di tante pratiche burocratiche. A nostro parere, meno potere discrezionale alle pubbliche amministrazioni significa certamente meno corruzione. Bisogna porre un freno a chi utilizza in modo improprio il proprio ruolo per vantaggi e a fini personali, facendo lievitare i costi pubblici. Bisogna quindi invertire l’onere della prova: il cittadino deve essere libero di intraprendere, di fare e di costruire, mentre il controllo dell’ufficio pubblico ex post deve sostituire l’autorizzazione ex ante.
Questo è lo spirito che ha ispirato la nascita del Popolo della Libertà, questa è la via su cui si è mosso l’allora Governo Berlusconi nel 2008, sin dall’inizio, e che ora è patrimonio della sinistra del presidente Letta. Semplificazione è sinonimo di minori costi per le imprese e per i cittadini e corrisponde ad una vera e propria manovra finanziaria, con l’effetto però di avere effetti strutturali. Il taglio delle norme sinora approvate per semplificare e non ancora completamente attuate porterà a risparmiare circa 8,5 miliardi.
C’è quindi un ampio margine per ridurre il costo della burocrazia. Non affrontare quindi i problemi della pubblica amministrazione, limitandosi a registrarli come immodificabili e pensare solo a revisionare il patto, sarebbe certamente un errore imperdonabile per tutti noi.
Giovanni Bilardi (Grande Sud)
redazione@approdonews.it