L’intimità non è un affare di Stato: riflessioni di un uomo che crede nel rispetto e nella libertà

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di Claudio Maria Ciacci

Viviamo in un’epoca in cui lo Stato sembra voler entrare in ogni aspetto della nostra vita.
Adesso, persino nella sfera più intima di tutte: quella dei rapporti tra uomo e donna.
La nuova legge sul consenso sessuale, presentata come una conquista di civiltà, rischia invece di trasformarsi nell’ennesimo passo verso una società diffidente, dove l’amore è sorvegliato e la naturalezza delle relazioni viene sostituita dalla paura di sbagliare.
Il rispetto verso la donna, la famiglia e la dignità dell’altro è un principio che si impara a casa, non nei tribunali.
Non serve un articolo di legge per insegnare che “no” significa no, o che la libertà dell’altro è sacra.
Queste sono regole morali, prima ancora che giuridiche, radicate nella coscienza di chi ha ricevuto un’educazione sana e fondata su responsabilità, onore e rispetto reciproco.
Ma lo Stato moderno, incapace di educare, preferisce normare tutto.
Così anche ciò che dovrebbe nascere da fiducia e spontaneità viene recintato da definizioni, procedure, interpretazioni penali.
Un atto d’amore rischia di diventare un atto amministrativo.
Nessuno mette in dubbio che le violenze vadano punite con severità.
Ma un rapporto consensuale tra due adulti non dovrebbe mai diventare oggetto di sospetto, solo perché una delle parti, magari dopo una rottura o una delusione, decide di riscriverne il senso.
Serve equilibrio, non fanatismo.
Chi davvero rispetta le donne non le vuole “protette” dallo Stato a ogni costo, ma libere e responsabili delle proprie scelte.
E allo stesso modo, chi rispetta gli uomini non li vuole vivere sotto costante minaccia di una denuncia strumentale.
Ci sono due momenti nella vita dell’uomo che dovrebbero restare fuori dallo sguardo del potere: l’amore e la morte.
La morte, perché è il momento più personale e inevitabile;
l’amore, perché è il momento più libero e vitale.
Sono gli unici spazi in cui l’essere umano si spoglia di tutto, anche del ruolo sociale, e mostra la sua essenza.
Quando lo Stato pretende di regolare anche questo, di decidere come dobbiamo amarci, quando e con quali parole, non sta più difendendo la libertà, ma la sta svuotando.
Una società che vive l’intimità come un rischio legale è una società destinata a chiudersi, a spegnersi.
Già oggi in Italia nascono sempre meno figli, e non solo per motivi economici: manca la fiducia, la serenità, la voglia di costruire insieme.
Se ogni gesto affettuoso deve essere interpretato, se ogni rapporto può trasformarsi in un processo, le persone si chiudono, diventano diffidenti, si isolano.
E senza fiducia, non ci sono né famiglie né futuro.
Credo nel valore dell’educazione, della responsabilità personale e della libertà.
Serve insegnare ai giovani che il rispetto non è una legge da temere, ma un modo di vivere.
Serve una giustizia più giusta, capace di distinguere tra il male vero e le ombre delle relazioni umane.
E serve, soprattutto, uno Stato che torni a fidarsi dei suoi cittadini, invece di trattarli come potenziali colpevoli.
L’amore è libertà, non sospetto.
E la libertà vera non ha bisogno di essere firmata, registrata o provata: si riconosce negli occhi di chi la vive con rispetto.