Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

TAURIANOVA (RC), MERCOLEDì 11 DICEMBRE 2024

Torna su

Torna su

 
 

Si decide il 14 dicembre, voto a Camera e Senato

Si decide il 14 dicembre, voto a Camera e Senato

| Il 17, Nov 2010

Premier ribadisce la linea decisa con Bossi: chiederemo lo scioglimento in caso di sfiducia

Si decide il 14 dicembre, voto a Camera e Senato

Premier ribadisce la linea decisa con Bossi: chiederemo lo scioglimento in caso di sfiducia

 

 

ROMA – Tra meno di un mese, il 14 dicembre, in un giorno solo si decideranno le sorti della legislatura. Non solo perché ci sarà il voto contestuale di Camera e Senato sulla mozione di sfiducia al governo a Montecitorio e sulla mozione di sostegno a Berlusconi a Palazzo Madama, ma anche perché proprio per quel giorno è atteso il pronunciamento della Corte Costituzione sul legittimo impedimento. Per allora sarà già legge la finanziaria, grazie all’accordo siglato oggi dal Presidente del Senato Renato Schifani e dal Presidente della Camera Gianfranco Fini al termine dell’incontro al Quirinale con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: varare la legge di stabilità entro la prima decade di dicembre, prima di affrontare la crisi. La contestualità del voto il 14 – dopo lo svolgimento al Senato, il 13 mattina, delle annunciate comunicazioni di Silvio Berlusconi e dopo il dibattito del pomeriggio alla Camera sulla mozione di sfiducia presentata da Pd e Idv – ha il primo effetto, secondo il Pdl, di rendere più difficile la strada verso eventuali governi tecnici ( anche se oggi è tornata a circolare con insistenza l’ipotesi di un esecutivo di unità nazionale a guida Mario Draghi). “Era quello che chiedevo”, avrebbe commentato con i suoi il Cavaliere. Con in mano la fiducia del Senato, in ogni caso Berlusconi dovrebbe dimettersi se invece fosse sfiduciato a Montecitorio. Ma a quel punto, con due diverse maggioranze nei due rami del Parlamento, chiederebbe al Capo dello Stato di sciogliere la sola Camera o entrambe le Camere per andare al voto in primavera. Tramontata l’ipotesi di un Berlusconi-bis allargato all’Udc, bocciata fin da subito da Pier Ferdinando Casini e definita ormai fuori tempo massimo anche da Fini, resta però sul tavolo ancora un’opzione.

Che il premier, da qui al 14 dicembre, possa ancora riportare dalla sua parte qualche esponente di Fli (oggi é tornato nel Pdl Giuseppe Angeli, deputato finiano 79enne) e quindi avere la fiducia, ancorché di misura, anche alla Camera. E’ quella che Ignazio La Russa, coordinatore del Pdl, definisce “la nostra controffensiva di verità, perché chi è passato in Fli ci pensi bene prima di votare la sfiducia al governo”. Daniela Santanché convoca infatti una conferenza stampa per rivelare, insieme al ritorno del figliol prodigo Angeli nel Pdl, “diverse telefonate da parte di finiani indisponibili a votare la sfiducia al governo”. Almeno cinque, si vocifera, mentre tre sarebbero i futuristi pronti a tornare nel Pdl (Polidori, Consolo e Moffa) dopo la fuga in avanti dei Briguglio e dei Bocchino che ieri, senza essere smentiti da Fini, parlavano già di larghe intese con il Pd in coalizioni elettorali o in esecutivi di unità nazionale. “Fini pagherà i suoi strappi in avanti – dice un esponente dell’inner circle berlusconiano -, alcuni dei suoi si avvicinano a noi e quasi si scusano dei suoi passi, ce l’hanno a morte con i falchi che lo spingono a sempre maggiori rotture. E noi non dobbiamo fare altro ora che favorire questi ripensamenti”. I finiani, a loro volta, denunciano una campagna acquisti fatta senza esclusione di mezzi (a partire da quelli economici) per spaventare il maggior numero possibile di esponenti di Fli, anche facendo circolare cifre gonfiate su passaggi in corso.

“Se Berlusconi ci riesce, se comprandosi qualcuno riesce a strappare la fiducia alla Camera di uno o due voti, faccia pure – dice un fedelissimo finiano – E poi vediamo quanto riesce ad andare avanti con una maggioranza così…”. Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, intanto, accusa il premier: “Abbiamo visto le date. Il governo si è voluto prendere 15 giorni di troppo traccheggiando e facendo melina sulla legge di stabilità”. “Berlusconi faccia un passo indietro, perché le elezioni anticipate sono un ricatto e in questo contesto sarebbero espressione di pura follia”, è invece il monito del leader Udc, Pier Ferdinando Casini. “Il governo durerà fino al 27 marzo”, esce invece dal coro la Lega. E’ questa,infatti, la data utile per portare a casa il federalismo fiscale.

BONAIUTI, PER RISPETTO CAMERE PREMIER A MATRIX 14 SERA – “Considerato che proprio stasera è stata fissata per il 14 dicembre la votazione di fiducia, il presidente Berlusconi, per il rispetto che si deve al Parlamento, ha deciso di parlare prima alle Camere. Per questo motivo è stata spostata alla sera del 14 dicembre la sua partecipazione al programma televisivo Matrix”. Lo rende noto il portavoce del presidente del Consiglio, Paolo Bonaiuti.

BERSANI INCALZA GOVERNO, 15 GIORNI DI TROPPO, A CASA
Tempo scaduto: il Pd suona il gong al governo e, temendo “meline” sulla legge di stabilità, incalza la maggioranza per un iter celere della manovra per poi portare in aula la crisi politica. Un timing che non concede neanche i 15 giorni in più rispetto all’iter deciso al Colle. Ma, tempi a parte, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani non perde la speranza che la spallata al governo preluda ad un governo di transizione “perché il paese ha problemi serissimi”, tali da scongiurare elezioni anticipate addirittura da far ipotizzare, in ambienti di opposizione e anche di maggioranza, la necessità di un governo super-tecnico a guida del governatore di Bankitalia Mario Draghi. Le date, concordate tra il Capo dello Stato ed i presidenti di Camera e Senato, non convincono Bersani: “il governo si è preso 15 giorni di troppo, traccheggiando ancora”. Ma è vero che questa road map trasformerà la manifestazione dell’11 nella prova di forza per mandare a casa Berlusconi. Un obiettivo che da tempo nel Pd non sentivano così a portata di mano anche se il dopo è ancora tutto da costruire. Ed il consenso dei democratici, come dimostrano i sondaggi e anche le primarie di Milano, non è da star allegri. Nel partito non si fermano le scosse telluriche delle primarie di Milano: Filippo Penati, l’uomo al fianco di Bersani dai tempi della campagna congressuale, lascia e il segretario non fa nulla per fermarlo.

Ma il leader Pd prova a spostare l’attenzione da polemiche e frecciate degli alleati. Troppo delicato il passaggio politico, con il governo sempre più vicino alla fine, per “guardarsi l’ombelico”, afferma Bersani, che nel pomeriggio riunisce le parti sociali, da Emma Marcegaglia ai leader di Cgil-Cisl e Uil, “per illustrare il nostro programma economico di alternativa”. Prove di programma elettorale e un modo per cercare di allargare il voto del Pd oltre il tradizionale recinto. Una tela che i vertici democratici provano a tessere dentro e fuori dal Palazzo. Sono quotidiani i contatti anche con finiani e centristi per definire le tappe parlamentari che portano a “mettere in chiaro” la fine del governo. Un legame che Bersani spera preluda a intese future per il governo di transizione: “Fuori da questa strada non credo ci possano essere soluzioni positive”, incalza il leader Pd perché “il primo passo é una nuova legge elettorale altrimenti con questa legge, noi non abbiamo paura ma è certo che fa perdere tempo”.

Il Terzo Polo per ora non si sbilancia ma c’é uno scenario internazionale che potrebbe fare il “gioco” di chi punta ad allontanare con un governo tecnico le elezioni anticipate. Davanti alle nubi sempre più cupe che si addensano in Europa a causa della crisi economica con un rischio default per Irlanda e Grecia, circola con maggior insistenza, in ambienti parlamentari di maggioranza e opposizione, l’ipotesi di un governo a guida del governatore di Bankitalia Mario Draghi in caso di caduta di governo. Una soluzione di altissimo profilo, come fu Carlo Azeglio Ciampi nel ’93, davanti ad una situazione di emergenza che potrebbe non essere interpretata come un ribaltone di palazzo dai cittadini. Ma Bersani per ora non si sbilancia: ”La valutazione dei nomi e degli incarichi la lascio nella fase giusta al presidente Napolitano”.