Polistena, solo pillole d’opposizione A nove mesi dalle elezioni stenta l'offerta della prospettiva politica pubblica delle minoranze
di Giuseppe Campisi
POLISTENA (RC) – C’è una cosa che più di
tutte sta mancando all’agorà politico della città. Potremmo dire,
mutuando allegoricamente la terminologia medica, che si tratti della
sindrome da deficit di opposizione. Se è vero che le elezioni hanno
stabilito nettamente chi doveva assumersi il diritto/dovere di governare
la città è altrettanto vero che la democrazia fissando i paletti ne ha
stabilito anche i controllori. Controllori dell’operato
politico-gestionale che hanno, forse ed in un certo qual modo, preferito
accomodarsi, appiattirsi fino a quasi divenire evanescenti rispetto al
ruolo affidato. Quasi nove mesi, si dirà, sono trascorsi dalla chiusura
delle urne. Un tempo poi non così lungo ma neanche tanto breve. Il tempo
necessario ad una gestazione che però ha potuto diradare i dubbi e
restituire la necessaria lucidità d’azione rispetto alle promesse od ai
programmi della campagna elettorale lasciata alla spalle e fatta,
talvolta, di confronti aspri e accesi e di proposte propinate ai
cittadini come il cambiamento tripartisan epocale tanto atteso ed a
portata di mano. Anzi, di matita. A nove mesi da quelle grida di piazza,
acclarata la governance, le opposizioni hanno perso la seconda grande
occasione. Quella cioè di formulare proposte, vigilare sulle scelte
della maggioranza e verificarne i contenuti attuativi. Un tappo forzoso
al canale magmatico che tanto fermento (e molte legittime aspettative)
aveva procurato nei 3048 cittadini che avevano scelto la compagine di
ReAzione Civica e nei 1056 di coloro che si erano affidati alla
formazione di Polistena Amministriamo Insieme. La rappresentanza,
insomma, delle istanze del 42% circa del totale della cittadinanza
votante. Non v’è traccia di iniziative pubbliche, convegni, dibattiti,
discussioni, slanci partitici. Poco o nulla. Un vuoto sconcertante, un
silenzio assordante interrotto solo dalla presenza contingente nei
consigli comunali tenuti ben al riparo dentro le mura del palazzo. Non
si tratta di un Aventino ma di una sorta di opposizione in pillole od al
minimo regime. Al contrario, la gente avrebbe bisogno di sapere, di
conoscere, di valutare le scelte compiute e da compiersi anche
attraverso l’offerta di un’altra prospettiva politica che non sia solo
quella della formidabile corazzata della propaganda comunista. A
smuovere le acque ci hanno provato, di recente e meritoriamente, i
sostenitori del locale meet up del M5S, quasi fosse l’unico segnale
proveniente dal microcosmo politico polistenese captato alla stregua di
un impulso, peraltro, extraconsiliare, indirizzato a cercare di
sollecitare un confronto e stimolare la riflessione del senso civico.
Spanò, Baglio, Ferrandello e Ruello da una parte e la solitaria Anna
Giancotta dall’altra sembrano quasi aver accettato di buon grado il
ruolo di convitati di pietra dell’assise cittadina che si badi bene
esclude, _ipso facto_, il mero ufficio di alzatori di mano, pigiatori di
bottoni e banditori alle urla. La politica che decide non può passare
come svolazzare come una rondine a primavera sopra le loro teste. Allora
delle due l’una. O la maggioranza, in un sol colpo, non solo è riuscita
nella formidabile impresa di asfaltare politicamente gli avversari ma
anche a rilegarli alla consegna del silenzio oppure gli argomenti delle
minoranze sono da considerarsi così flebili e fragili da non poter
sostenere una competizione politica di medio termine qual è la durata
della consiliatura comunale. Sarebbe invece auspicabile, per il bene
della democrazia e per il rispetto dovuto ai cittadini, che le
opposizioni si ridestassero dal torpore post-elettorale ed
interrompessero il digiuno della formulazione delle proposte e
dell’ignavia politica pubblica. La carenza della partecipazione alla
vita politica attiva extra-palazzo e pubblica della città si tramuta nel
limitato rispetto del mandato ricevuto dai cittadini, nell’accentuarsi
del disequilibrio delle forze in campo ma anche in una sorta di gioco al
ribasso del bene comune che di per sé non può prescindere la penuria del
contributo delle minoranze. Al netto di ciò, non può non registrarsi un
evidente difetto di comunicazione delle opposizioni che impedisce al
cittadino medio polistenese di cogliere le differenze, financo le
sfumature, della condotta politica finora posta in essere dall’insieme
delle formazioni che compongono il consiglio comunale ad eccezione di
quella di una maggioranza, molto prolifica sotto il profilo della
trasmissione delle informazioni dalla catena di comando ai
cittadini-elettori. E poi ancora, come non denotare l’abbandono a se
stessi ed alla propria sorte degli esponenti della minoranza da parte
dei partiti politici nazionali e regionali di riferimento? O la quasi
tragicomica fine che hanno fatto le promesse di vicinanza e di
solidarietà politica, a prescindere, dei propri delfini da parte dei
leaders provinciali e regionali venduta un tanto al chilo nel periodo
preelettorale? Se è vero che il quadro politico nazionale si presenta,
ora più di allora, allo stato liquido ed in continua metamorfosi ciò non
può essere una attenuante immunizzante alla ritirata delle buone
intenzioni solo professate sulle piazze polistenesi. Perché questo non
farebbe altro che avvalorare l’ipotesi, poi non così tento peregrina,
che quel matrimonio presunto indissolubile ostentato nella campagna
elettorale delle comunali del 2015 con i candidati locali fosse da
intendersi “_fino a che sconfitta non ci separi_” e salvo buon fine. Un
modo come un altro per intendere la politica locale come lontanissima
periferia dell’impero romano, regionale o provinciale e semmai come un
buon serbatoio di consensi a cui attingere per le elezioni della
bisogna. Un pasticciaccio all’italiana, quest’ultimo, che sarebbe
difficile da far digerire finanche ai più consumati e radicali
sventolatori di bandiere.