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Palestina, i diktat di Netanyahu allontanano la pace

Palestina, i diktat di Netanyahu allontanano la pace

| Il 25, Mag 2011

Il premier israeliano a Washington pone le sue condizioni: no al ritorno dei profughi, Gerusalemme capitale indivisibile di Israele, interruzione del dialogo tra Fatah e Hamas

di DOMENICO GIOVINAZZO

Palestina, i diktat di Netanyahu allontanano la pace

Il premier israeliano a Washington pone le sue condizioni: no al ritorno dei profughi, Gerusalemme capitale indivisibile di Israele, interruzione del dialogo tra Fatah e Hamas

 

Ieri il Congresso statunitense ha accolto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, recatosi a Washington per una visita istituzionale molto attesa, specie dopo le dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi dal presidente americano Barak Obama sul processo di pace israelo-palestinese.

Il discorso di Netanyahu si è svolto secondo un copione prevedibile. «Io mi sono alzato di fronte al mio popolo e ho detto che accetterò uno Stato palestinese – ha dichiarato il premier davanti ai parlamentari statunitensi – adesso è il momento per il presidente Abbas di alzarsi di fronte al suo popolo e dire “io accetterò uno stato ebraico”. Queste sei parole cambieranno la storia. Con queste sei parole, il popolo israeliano sarà pronto a raggiungere un ampio compromesso». Secondo Netanyahu, quindi, la responsabilità di portare avanti il percorso di pace sarebbe tutta in mano ai palestinesi e al presidente dell’Anp Mahmud Abbas, perché il primo ministro di Israele si dice «pronto a fare compromessi dolorosi per ottenere questa pace storica». Vediamo quali sono allora questi «compromessi dolorosi».

Per quanto riguarda i confini, Netanyahu ha dichiarato: «Saremo generosi sulle dimensioni del futuro Stato palestinese». Tuttavia, il premier israeliano ha ribadito il no all’appello di Obama, che nei giorni scorsi aveva proposto il ritorno di Israele entro i confini del 1967, quelli precedenti all’occupazione di Gerusalemme est e della Cisgiordania. «Israele non tornerà mai ai confini indifendibili del 1967», ha chiosato con categorica “generosità” Netanyahu.

Poi c’è lo status di Gerusalemme. Fino a ieri non c’erano dubbi sul fatto che Gerusalemme dovrà essere la capitale sia di Israele che del futuro Stato palestinese. Ma le “generose concessioni” di Netanyahu mettono in discussione anche questo punto che sembrava ormai assodato nelle precedenti trattative. Per il premier israeliano infatti «Gerusalemme non deve essere più divisa e deve rimanere la capitale unita di Israele».

L’altra “apertura” riguarda la questione dei profughi palestinesi della diaspora. Sono ormai quasi 5 milioni i palestinesi che vivono principalmente tra il Libano, la Giordania e la Siria, e che chiedono di poter tornare alle loro case abbandonate sotto il fuoco dell’allora costituendo Stato di Israele, nel 1948. Per il primo ministro di Tel Aviv il problema dei profughi «sarà risolto al di fuori dei confini palestinesi», un modo garbato per dire che non c’è alcuna intenzione di riconoscere il diritto al ritorno.

Nella serie “problemi che si risolvono al di fuori dei confini”, Netanyahu annovera anche la questione delle colonie illegali israeliane, quelle costruite in violazione del diritto internazionale nei Territori occupati della Cisgiordania e a Gerusalemme est. Si tratta di insediamenti che dovrebbero essere smantellati, ma a cui Israele non ha molta voglia di rinunciare. Tanto è vero che per lo stesso Netanyahu «colonie continueranno ad esistere al di fuori dei confini israeliani».

La generosità non è ancora finita, perché per il premier israeliano ci sono anche altre questioni su cui imporre le proprie condizioni. Ad esempio sulla difesa del futuro Stato palestinese. Netanyahu pretende che la futura Palestina sia completamente smilitarizzata, senza la possibilità di creare un proprio esercito di difesa. In compenso però, il futuro Stato palestinese non dovrà opporsi alla presenza di basi militari israeliane sul proprio territorio, dal momento che Israele intende mantenere dei presidi militari lungo il fiume Giordano.

L’ultima condizione imposta da Netanyahu riguarda questioni di politica interna palestinese. «Straccia il tuo patto con Hamas» ha chiesto da Washington il premier israeliano ad Abu Mazen. E proprio questa richiesta è l’indice di quanto poco serie siano le intenzioni di pace di Netanyahu. Infatti, che senso avrebbe firmare una pace con i palestinesi senza Hamas? Quante chance avrebbe di essere rispettata da tutti?

redazione@approdonews.it