Mimmo Petullà recensisce libro don Leonardo Manuli Fatica letteraria del teologo che riattualizza la memoria del sacerdote e cappuccino Padre Alessandro Nardi
di Mimmo Petullà
E’ stato da poco pubblicato – per le Edizioni Sant’Antonio – il nuovo libro scritto dal teologo Leonardo Vincenzo Manuli, il cui titolo è “Un frate cappuccino, parroco e missionario. Padre Alessandro Nardi o. f. m. capp”. Dallo studio scaturisce un apprezzabile esercizio di contestualizzazione, grazie al quale la configurazione della parrocchia intitolata a San Giuseppe – e animata dal sunnominato sacerdote dal 1987 al 2011 – risulta analizzata non perdendo di vista le più ampie dinamiche del territorio. Si tratta di un approccio da non sottovalutare, dal momento che in questo modo l’autore lascia intendere che ogni struttura ecclesiale – anche in quanto istituzione sociale – non possa essere pensata disgiuntamente dalla contemporaneità delle ragioni storiche e culturali del luogo con il quale è tenuta a misurarsi. Sono appunto per questo richiamati taluni accadimenti che hanno interessato e contrassegnato lo spazio urbano, producendo un mutamento nella trama dei rapporti d’interdipendenza e di reciprocità dei cittadini.
E’ in questo quadro di riferimento che è proposta la figura di Padre Alessandro, il cui profilo – delineato non solo nella specificità ministeriale ma anche nel dato antropologico – appare pienamente inserito nel tempo della nuova evangelizzazione e nel vissuto di una molteplicità di storie umane. Una capacità di essere e d’interagire, questa, indicante una presenza che si è strutturata nel segno di una profonda testimonianza ecclesiale, offerta nell’appassionato desiderio d’incoraggiare i fedeli a scommettere sulla liberante fedeltà di Gesù. Innumerevoli sono i riferimenti, orientati all’esperienza concreta e denotanti l’assidua disposizione del cappuccino taurianovese a un empatico ascolto, rilevato dall’autore come “uno degli aspetti più importanti del suo ministero e che anche gli altri preti e parroci dovrebbero avere”.
E’ possibile cogliere, in questa direzione di senso, uno dei compiti più urgenti di cui Padre Alessandro ha inteso farsi carico, vale a dire esplorare e sperimentare nuove forme di appartenenza, aprendo al contempo la realtà parrocchiale alla vita sociale e culturale della comunità. Intorno all’individuazione di questo perno l’autore fa ruotare il nucleo sensibile del suo lavoro, volto da una parte a cogliere e interpretare il carisma francescano sotteso allo slancio missionario ed evangelizzatore, dall’altra a indicare gli sforzi compiuti per evitare il rischio di un isolante ripiegamento pastorale. Sistematici risultano infatti i tentativi, mostranti la possibilità di vivere la parrocchia nell’impegno a rispondere alle diverse situazioni e sensibilità, dunque non come una realtà a sé, ma aperta all’incontro e al dialogo anche con gli altri parroci. Si tratta di un cammino di corresponsabile collaborazione, che tuttavia non sembra essere stato pienamente condiviso, tenendo conto che dall’analisi del teologo Manuli – tra l’altro fondata su dinamiche esperienziali e osservazionali – emergono certe resistenze nei percorsi di costruzione a favore di una logica comunionale: “Sotto il profilo ecclesiale, lui ha cercato di avvicinarsi alle realtà delle altre parrocchie, ma ogni campanile fa storia a sé, per conformazione di luogo, questioni storiche e tradizioni comunitarie”.
Il servizio della fede del cappuccino appare in ogni caso correlato alla temporalità del quotidiano, con un’attenzione del tutto particolare al recupero della qualità delle relazioni umane. Tale aspetto è proposto dall’autore come un costitutivo fondamentale della personalità e della pastorale del parroco taurianovese, che grazie a quest’approccio rinnova e rinsalda i legami con il territorio nella concretezza e nella molteplicità delle sue dimensioni. La chiave di tali rapporti – fondata sulla forza distintiva e cordiale della prossimità – si rivela più propriamente comprensiva di un’insistente affermazione della dignità umana, il cui riconoscimento è espletato da Padre Nardi come un essenziale bisogno etico, che lo stesso autore riassume eloquentemente nella capacità di “toccare e scottarsi nell’incontro del volto dell’altro”.
Proponendo la grata e riattualizzata memoria del sacerdote cappuccino, il teologo Vincenzo Leonardo Manuli pone una questione, che lascia chiaramente avvertire nell’esigenza di un discorso nuovo sulle parrocchie. L’auspicio è che il suo lavoro possa tra l’altro rivelarsi come un’opportunità per ripensare l’inquadramento dei rapporti, a partire dall’assunzione di un impianto pastorale più unitario, caratterizzato dall’impiego di strumenti e di linguaggi capaci di valorizzare ulteriormente le intrinseche potenzialità, per interpretare in modo più critico le complesse trasformazioni che stanno interessando anche la città.