Libia: rivolta anche a Tripoli, attaccata sede televisiva
redazione | Il 21, Feb 2011
In fiamme edifici. Massacro a Bengasi. Voci di fuga di Gheddafi. Il figlio Saif promette riforme
Libia: rivolta anche a Tripoli, attaccata sede televisiva
In fiamme edifici. Massacro a Bengasi. Voci di fuga di Gheddafi. Il figlio Saif promette riforme
(ANSA) La sede di una tv a Tripoli è stata saccheggiata e nella capitale libica alcuni edifici pubblici sono stati dati alle fiamme. Lo riferiscono testimoni. Secondo quanto riferiscono i testimoni, a Tripoli e’ stata saccheggiata anche la sede di una radio pubblica, mentre alcune stazioni di polizia e sedi dei comitati rivoluaizonari pilastro del regime sono stati dati alle fiamme ieri in tarda serata. Salgono a 18 i feriti degli scontri registrati in un cantiere gestito a Tripoli da alcune società sudcoreane: secondo il ministero degli Esteri di Seul, 15 operai bengalesi sono rimasti coinvolti, di cui due accoltellati e in gravi condizioni, mentre tre sudcoreani hanno riportato lievi escoriazioni. Nel sito ci sono oltre 1.000 lavoratori del Bangladesh e 40-50 sudcoreani, in base a quanto riferito dall’agenzia Yonhap. Il governo di Seul ha invitato le compagnie impegnate in lavori nel Nord Africa e in Medio Oriente ad alzare l’allerta e predisporre misure per garantire la sicurezza. L’Associazione dei costruttori (Icak), che riunisce un totale di 70 operatori con solide attività in Paesi come Libia, Yemen, Iran, Marocco e Bahrein, ha già accusato milioni di dollari di danni causati dalle proteste, nel mentre ha intensificato la collaborazione con il governo di Seul. Sotto osservazione, in particolare, la Libia, dove le aziende sudcoreane sono, ad esempio, impegnate nella realizzazione di centrali termiche a Tripoli e Al Khalij. “I lavoratori presenti a Bengasi sono stati spostati per sicurezza a seguito delle istruzioni fornite dalla nostra ambasciata in Libia”, ha riferito un funzionario del ministero dei Trasporti e degli Affari marittimi.
FRATTINI, AVVIARE PROCESSO RICONCILIAZIONE – In Libia “il processo di riconciliazione nazionale deve partire in modo pacifico arrivando poi ad una Costituzione libica: sarebbe un obiettivo fondamentale”. Lo ha detto il ministro degli esteri Franco Frattini, al suo arrivo al consiglio esteri a Bruxelles facendo riferimento al percorso proposto da Seif al-Islam. Il ministro degli esteri Franco Frattini ha espresso grande preoccupazione “per il fatto che si stanno affermando ipotesi come quelle di emirati islamici nell’est della Libia”. “A poche decine di chilometri dall’Europa questo costituirebbe un fattore di grande pericolosità”, ha detto il ministro. “Sono molto preoccupato per una Libia divisa a metà, tra Tripoli e la Cirenaica”, ha ribadito Frattini. La Libia e’ vittima di un complotto esterno, corre il rischio di una guerra civile, di essere divisa in diversi emirati islamici, di perdere il petrolio che assicura unita’ e benessere al Paese, di tornare preda del colonialismo occidentale. Cosi’ si e’ espresso in nottata, mentre circolano voci incontrollate di una possibile fuga del rais, Muammar Gheddafi, il figlio di quest’ultimo, Seif al-Islam, che, mentre i disordini arrivavano a Tripoli e per le strade della capitale si spara, in un discorso alla tv alla nazione ha promesso al Paese riforme, una nuova costituzione, e posto due opzioni: ”Siamo a un bivio: o usiamo i nostri cervelli, stiamo uniti e facciamo le riforme insieme, altrimenti dimentichiamoci delle riforme e per decenni avremmo la guerra in casa”. E ha assicurato che il padre-rais ”dirige la battaglia a Tripoli” e che ”vinceremo” contro il nemico e ”non cederemo un pollice del territorio libico”. Del rais non si hanno piu’ notizia, e mentre si parla di un bilancio di 300 morti, 50 solo nel pomeriggio a Bengasi, e testimoni affermano di udire folle in fermento e spari a Tripoli, alcuni capi tribali abbandonano il regime, invitano Gheddafi a ”lasciare il Paese” e anche il rappresentante libico alla Lega Araba annuncia che lascia l’incarico per ”unirsi alla rivoluzione”. In questo contesto Seif al-Islam, voce ”riformista” e ‘illuminata’ del regime, ha detto, parlando apparentemente a braccio e in dialetto libico direttamente al suo popolo, che la Libia ”non e’ la Tunisia e non e’ l’Egitto”. Ha parlato di ”giusta rabbia della gente” a Bengasi e in altre citta’ per le persone che sono rimaste uccise, ha ammesso che ”sono stati commessi degli errori”, con l’esercito che ”non era preparato” a una simile situazione e si e’ fatto cogliere dalla tensione. Anche se, ha detto, i media hanno ”esagerato” il numero di morti. Molti, ha detto Seif al-Islam, si sono lasciati ”entusiasmare” dagli eventi egiziani e tunisini, ”altri erano drogati”, ha detto. Ma la direzione della rivolta, ha detto a chiare lettere, viene da fuori: ”C’e’ un complotto contro la Libia”, diretto da gente, anche ”fratelli arabi”, che ”vi usano”, ”standosene comodamente seduti a Londra o a Manchester”, fra gli agi, a ”sorseggiare caffe”’ e guardando ”il Paese che brucia”. ”Milioni di sterline sono state investite” in questo complotto, che pero’ e’ mosso da poche centinaia di elementi, ”che non esprimono il popolo libico”. Il secondogenito di Gheddafi ha detto che sono state attaccate caserme, aperte prigioni, rubate armi pesanti, che dei ”civili” guidano perfino ”carri armati”. Se tutti i libici si armano ne nascerebbe una ”guerra civile” che durerebbe 40 anni. Non ci sarebbero 84 morti ma ”migliaia”; il Paese verrebbe diviso in ”staterelli” ed ”emirati islamici”, sarebbe un ”bagno di sangue”, ci vorrebbero visti da uno staterello all’altro, ”come in Corea”. E i libici, ha evocato Seif al-Islam, perderebbero il petrolio, che e’ ”cio’ che li tiene insieme”, ne fa un Paese, e con esso le scuole, gli ospedali, il benessere. ”Se ci separiamo – ha dichiarato – chi fara’ la riforma? Chi spendera’ per i nostri figli, per la loro salute, la loro istruzione?”. Inoltre, ha domandato, ”pensate che il mondo occidentale, permetterebbero di perdere il nostro petrolio, permetterebbero un’emigrazione incontrollata”, la formazione di emirati terroristi? Europa e Stati Uniti ”tornerebbero a occuparci, a imporre il colonialismo”. Quindi la proposta di convocare, entro poche ore, una Assemblea generale del popolo per costruire una ”nuova costituzione”, fare le riforme per creare insieme ”la Libia che sognate”. E una minaccia: ”L’esercito – ha detto – ora ha il compito di riportare l’ordine con ogni mezzo” e ”non e’ l’esercito egiziano o tunisino” ”Distruggeremo la sedizione e non cederemo un pollice del territorio libico”. I libici, ha concluso hanno combattuto e vinto contro gli italiani” e ”sono capaci di farlo”.
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