La questione meridionale
redazione | Il 25, Gen 2014
Editoriale di Caterina Sorbara
La questione meridionale
Editoriale di Caterina Sorbara
I viaggiatori stranieri dell’ottocento scrivevano: “L’Europa finisce a Napoli. La Calabria, la Sicilia e tutto il resto sono Africa”.
La questione meridionale (in passato studiata da grandi meridionalisti quali Fortunato, Salvemini, Villari e Dorso) esplose all’indomani dell’ Unità d’Italia, anche se non c’è dubbio che le sue radici e i suoi presupposti risalgono a fasi precedenti; d’altronde essa non nasce all’improvviso ma cresce all’interno di determinata condizioni, sia esse economiche che politiche.
Il Sud è stato sempre visto come una colonia da tutti i paesi che l’hanno occupato (es. la Spagna) perciò veniva lasciato in stato di arretratezza.
Correva l’anno 1873, quando il deputato radicale Antonio Billia dichiarava in Parlamento che esisteva il problema del Mezzogiorno di cui il governo avrebbe dovuto occuparsi.
Comincia così “il valzer della risoluzione del problema”.
Tra il 1874 e il 1876 gran parte dei Collegi elettorali del Sud furono conquistati dai candidati della sinistra storica, i quali richiedevano maggiori investimenti pubblici nelle infrastrutture(strade, ferrovie, scuole).
Dopo essere stati eletti, però, sia in ambito locale che nazionale non si discostavano dai loro predecessori nella gestione clientelare della cosa pubblica…
In seguito i governi presieduti da Giovanni Giolitti, furono i primi ad approvare leggi , con cui furono finanziati lavori pubblici che, tuttavia, non si rivelarono efficaci, alla prova dei fatti.
Non risolse il problema nemmeno la Riforma Agraria, né la Cassa per il Mezzogiorno.
Negli anni sessanta prese slancio, un’altra fase della politica d’intervento per il Meridione, collegata ai governi di centrosinistra che, sfociò nella creazione delle cosiddette “Cattedrali nel deserto”come a Napoli, l’AlfaSud di Pomigliano, a Taranto (siderurgia) a Gela (petrolchimica).
A Gioia Tauro, era stato promesso un centro siderurgico. Si espropriarono terreni, ma non se ne fece niente. In seguito, si parlò di una fabbrica di ricambi d’auto, di un laminatoio a freddo, di una zecca e persino di uno stabilimento militare.
Non si fece niente!
Alla fine venne costruito il porto che ancora oggi, stenta ad occupare il posto che merita nel Mediterraneo.
Oggi a 150 dell’Unità d’Italia , la questione meridionale, dimostra di continuare a possedere, una sua corposa e drammatica attualità.
A più di 150 dell’Unità d’Italia, la situazione è la seguente: Sanità sfasciata, con ospedali da quarto mondo, dimensione troppo piccola delle imprese, con conseguente scarsa internazionalizzazione, presenza di un sistema bancario poco efficiente, ritardi nella pubblica amministrazione, incapacità di sfruttare le risorse ambientali e paesaggistiche, disastro di strade e autostrade( manca in alcuni tratti persino la segnaletica e le illuminazioni), disastro delle ferrovie, che rischiano in alcuni tratti la soppressione, ndrangheta infiltrata dappertutto, politici molto spesso dediti agli inciuci e ai propri interessi, asserviti al capo di turno.
Ebbene a più di 150 anni dall’Unità d’Italia, il Governo Nazionale , si ricorda di noi facendo arrivare le armi siriane. Invece di istituire subito la Zes, manda le armi siriane.
Dicendo che “è improbabile” che succeda qualcosa. Ma improbabile non vuol dire impossibile.
Ma la cosa che più fa male è che dalle altre regioni d’Italia c’è stato un fermo e autorevole “No” che dal governatore Scopelliti non si è sentito.
Adesso tutti noi, abbiamo paura .
Paura che possa succedere qualcosa ai nostri figli, ai bambini che, sono la parte più fragile della società.
Bambini, figli di questo territorio, violentato, vilipeso, oltraggiato, svenduto, beffato e deriso.
Beffarda è la frase che abbiamo sentito : <>.
La nave , con il carico di morte, avanza e si avvicina, quello che invece permane è il dolore, la rabbia, l’amarezza della questione meridionale mai superata e più che mai attuale.
Caterina Sorbara