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TAURIANOVA (RC), SABATO 14 DICEMBRE 2024

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Federica Centorrino, la forza della vita La scoperta del cancro e la lotta per la vita. La storia della rinascita di una giovane donna calabrese che ce l'ha fatta

Federica Centorrino, la forza della vita La scoperta del cancro e la lotta per la vita. La storia della rinascita di una giovane donna calabrese che ce l'ha fatta
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di Giuseppe Campisi

Gioia Tauro – Federica Centorrino oggi ha 24 anni ed è una giovane donna calabrese
felice di vivere la sua vita attorniata dall’affetto della sua famiglia
e tanti sogni nel cassetto da realizzare. Una famiglia che l’ha protetta
e custodita negli anni bui che hanno attraversato la sua tenera
esistenza durante i quali ha dovuto vedersela con un nemico invisibile
ma spesso letale: il cancro. Ma la sua, fortunatamente, è una di quelle
storie italiane a lieto fine che si devono raccontare per infondere
speranza e futuro, per spronare chi sta, malvolentieri, combattendo
quella battaglia durissima per ritornare alla vita. Ha appena 21 anni
Federica quando è alle prese con una fastidiosa irritazione alla pelle
che in un primo tempo i medici scambiano per stress o per un banalissimo
virus. Ma l’acume di Nino Pugliese – un bravo specialista del presidio
ospedaliero gioiese a cui i familiari si erano rivolti in seguito ad un
ricovero – riesce a fiutare senza errori la gravità della situazione che
da li a poco prenderà definitivamente il nome di linfoma non-Hodgkin,
una neoplasia emato-oncologica che origina nel sistema linfatico e che
attacca cellule e tessuti che hanno il compito di difendere l’organismo
dagli agenti esterni.

Tutt’un tratto la quotidianità di Federica viene
sconvolta e lei si trova catapultata sul ring della vita a lottare
contro un avversario che ha una identità ben definita benché le cure per
abbattere questa incognita siano tutt’altro che semplici o dal risultato
scontato. Inizia così un lungo calvario con prima tappa la già
martoriata sanità calabrese, con un ricovero al Riuniti che per essere
accettato ha bisogno, addirittura, della presenza dei carabinieri.
Quando uno pensa alle farfalle, in genere, pensa alla gioia ed alla
spensieratezza insite alla bellezza di queste creature danzanti
nell’aria con una insolita delicata armonia. Invece, il 18 febbraio
2013, Federica scopre che una massa vorace, bizzarramente a forma di
farfalla, le sta comprimendo nel petto organi vitali come il cuore ed i
polmoni. E’ la sua corsa contro il tempo e contro ogni pronostico. Sarà
il San Martino di Genova per due anni la sua nuova casa. Sua e della sua
famiglia. Una famiglia nella famiglia dove medici e pazienti lottano
insieme per bruciare terreno al male accomunati dallo stesso obiettivo.
Venticinque cicli di chemio sono la prima ricetta. Non funziona.
Federica perde, come da prassi, i capelli ma non le speranze.

Anche se calva, sa bene di essere una testa dura calabrese. Ha carattere e non
s’arrende. «Non ho mai creduto di morire – racconta con un sorriso che
disvela tutta la sua timidezza -. Quando ti trovi davanti a questo bivio
ha due sole scelte possibili: deprimerti e dargliela vinta sapendo già
quale è la fine che ti attende oppure farti coraggio e reagire e lottare
per la vita. Io ho sempre scelto questa via con la determinazione di
voler vivere ed al contempo sapere tutto ciò che mi sarebbe accaduto»
afferma con un lucidità impressionate mentre snocciola le date della sua
storia come si fa scorrendo i grani di un rosario. Già, le date. Numeri,
giorni, eventi a cui molto spesso nella normale quotidianità non si da
molto peso ma che per un malato oncologico diventano un vero e proprio
investimento. Oltre a non perdere le speranze ed a lottare con
positività è la fede l’altra stampella fondamentale a cui Federica e la
sua famiglia fanno ricorso in quei momenti difficili. Una fede
incrollabile, fatta di preghiere, suppliche e di una giudiziosa speranza
riposta nelle mani di Dio, quello stesso Dio a cui Federica ha cercato
di chiedere conto del perché di una impresa al limite e tanto complicata
e da cui, nel proprio raccoglimento, ha provato a darsi la risposta con
un abbandono totale alla sua volontà. Cosa vuoi chiedere a Dio mentre
combatti contro un nemico strisciante che ti sta succhiando la vita
giorno dopo giorno? Il miracolo. Quel portento inspiegabile, umanamente
e scientificamente, che serve a rimettere le cose a posto. Che serve a
restituirti la tua normalità, a farti vivere le gioie e gli affanni
quotidiani del tuo tempo e della tua fresca età. A farti riassaporare il
gusto di un gelato o le chiacchiere con gli amici, il valore di una
carezza, il mutare delle stagioni, il sorriso dei tuoi nipoti,
l’allegria di un pranzo domenicale, l’affetto della tua famiglia, il
valore del tempo che scorre. Tutte cose che sottovaluti quando stai bene
e quando non sei costretta a pensare ad un piano b per la tua vita. Ma
la strada è ancora lunga e le sofferenze da sopportare tante. Le cure
non danno gli effetti sperati e nel novembre 2013 si teme il peggio. La
famiglia di Federica – aggiornata per bocca dell’onnipresente sorella
Carmela che fa la spola tra la Calabria e la Liguria – deve iniziare
secondo l’ultimo bollettino, a prepararsi al peggio quasi si fosse
arrivati a scandire in countdown. «Capisci? E’ come se qualcuno ti
strappasse il cuore e ci ballasse sopra» sussurra Carmela con gli occhi
umettati mentre, con la madre accanto, rivedono il film della rinascita
della sorella con quest’ultima a fare, in lacrime, da spettatrice
silente al suo passato. Una condizione durissima quanto inaccettabile
per Federica e per i suoi cari. Ma qualcosa accade in quei due
lunghissimi anni, realizzati come quasi eterni, nel ripetersi di ore
vissute forzosamente nel policlinico genovese.

Accade che viene premiata
la caparbietà di un medico donna, Marina Congiu, che giocandosi alla
disperata il tutto per tutto si rivelerà poi la vera svolta per la
storia clinica di Federica. Il cambio dei protocolli captato come un
ultimo disperato segnale è l’inatteso scatto che segna la risalita della
china. Gli esami iniziano a dare riscontro positivo. Federica migliora.
Vistosamente. L’autotrapianto realizzato, da li a poco, con il
trattamento farmacologico delle sue stesse cellule staminali inizia a
fare effetto. Il tumore è aggredito, finalmente! Intanto la famiglia le
costruisce attorno quella necessaria cortina di tranquillità che le
serve per misurarsi in questa competizione non voluta. E’ l’ora della
verità e servono tutte le forze per affrontarla. Ma c’è bisogno ancora
di prudenza e cautela. Il fatalismo è dietro l’angolo ed ogni
oscillazione, anche minima, nelle analisi pet fa sobbalzare i cuori.
Mille ricordi affollano la mente, persino quello del racconto di come
doveva essere – scaramanticamente – il proprio funerale.
Settecentoventicinque giorni dopo ecco svanire le paure e riaffiorare il
sorriso. “Lui”, quel male inatteso, silenzioso e codardo, è scomparso ed
il trapianto di midollo donato dal fratello a febbraio 2014 è
l’assicurazione definitiva che si è imboccata la strada giusta che porta
dritta all’uscita del tunnel ed alla fine dell’incubo. Servono ora solo
cento giorni ancora per sciogliere definitivamente la prognosi. Cento
giorni che separano dalla luce e che devono scongiurare i rischi di
ricadute. Federica sente che deve essere per forza la volta buona,
l’inizio di una nuova vita ed assieme, di nuovi progetti. Di nuovi
orizzonti che si spalancano come immense praterie per lei e per la sua
famiglia dopo giorni densi di tribolazione, carichi di rabbia compressa,
di speranze che sembravano evanescenti. Nel frattempo una pagina social,
“La Piana di Gioia ci mette la faccia”, creata dal nulla e figlia delle
emozioni della sorella diventa un punto di riferimento per i tanti che
vivono gli stessi tormenti con la missione di aiutare il prossimo e con
il compito di poter restituire, almeno in consigli, parte della fortuna
ricevuta atteso il vulnus materiale delle istituzioni, in tutta questa
vicenda, inspiegabilmente latitanti.

E’ il 24 maggio 2015 e Federica ha
la certezza di aver vinto. La sua voglia di vivere è stata più potente
del male che ha cercato di affliggerla. Ha vinto con la sua positività e
la sua capacità di guardare oltre. Ha vinto contro la malasorte, contro
le speculazioni, contro i pietismi di facciata. Contro ogni aspettativa,
contro le diagnosi mediche avverse, contro il tempo che le è ora
eternamente debitore. Federica, è rinata quel 13 febbraio 2014 e con lei
è rinata anche la speranza per chi è ancora in trincea a combattere.
L’ha salvata la scienza e, perché no, la mano di Dio. Ma l’ha salvata,
più di tutto, il desiderio di non mollare mai la presa della vita di cui
oggi è la testimonianza più vera. Un motto latino dice che “la felicità
della vita dipende dalla qualità dei tuoi pensieri”. E per chi crede di
essere arrivato ai tempi supplementari dell’esistenza, qualunque sia
l’età, per chi sente di non avere più nulla da perdere nella corsa della
vita restando in dilaniante attesa di risposte – che magari e senza un
perché – tardano ad arrivare, non sarà tanto ma è il minimo vitale a cui
doversi aggrappare. Ecco, in fondo, Federica ha vinto anche per
dimostrare di essere il segno di un altro finale possibile.