Crisi Mezzogiorno, Nicolò: “Renzi scopre l’acqua calda” "Serve un’azione strutturata e regolamentata a più livelli e bisognerebbe agire su mare-cielo-terra, sul fronte delicatissimo dell’assistenza socio-sanitaria e creare le condizioni per arginare l’emergenza profughi"
“Non era certamente necessario il ‘certificato di morte’ della Svimez perché il Premier Renzi si rendesse finalmente conto dello stato di crisi economico-sociale del Mezzogiorno. Non si scopre certo oggi l’acqua calda rispetto ad una situazione che tante tante volte ho fatto presente, con toni anche decisi, nel mio compito istituzionale di verifica e di stimolo. Tanti gli atti ed i verbali, di cui si trova traccia nelle sedute di Consiglio e tante le denunce su problematiche che investono il nostro territorio sui quali abbiamo acceso i riflettori da lungo tempo ma di cui, evidentemente, Renzi si è accorto solo ora”. A dirlo, è il capogruppo di Forza Italia alla Regione, Alessandro Nicolò che aggiunge: “Si apprendono dai media diverse strategie che il Presidente intenderebbe attuare per rilanciare il Mezzogiorno: ministero ad hoc, stanziamento finanziario con fondi europei e confinanziamenti. Per non parlare della trovata dell’ultima ora: una convocazione di una direzione speciale del PD quando, invece, la vera proposta sarebbe quella di un Consiglio dei Ministri allargato a tutti i Governatori del Sud, in particolare della Calabria, area economicamente più depressa delle altre”.
Aggiunge Alessandro Nicolò: “Sembrerebbe come se il Mezzogiorno fosse una questione di partito o di bandiera e non meritasse, invece, una visione globale del problema ed un’azione sinergica con gli attori politico-istituzionali locali, gente che vive ed affronta ogni singolo giorno le questioni legate alla mancanza di infrastrutture, alla disoccupazione, ad una carente offerta sanitaria sia in termini di strutture che di prestazioni erogate, alla mobilità insostenibile, alle aziende agricole in ginocchio a causa della concorrenza sleale, e cosi via. Il nostro status socio-economico sotto la media nazionale ed europea sta di fatto per entrare nell’agenda del Governo Renzi e del partito democratico, una domanda è d’uopo, ma fino ad oggi abbiamo scherzato? Il porto di Gioia Tauro dovrebbe rappresentare la testa di ponte verso le aree della zona Maghreb e di tutto il Mediterraneo invece rischia la chiusura oltre ad offrire tariffe proibitive per gli operatori commerciali. L’aeroporto dello Stretto, piuttosto che assurgere a risorsa della Città Metropolitana, è uno dei primi ostacoli al turismo locale al punto che, nella stagione estiva, è inverosimile immaginare di raggiungere la città dei bronzi in aereo con la famiglia. E che dire dell’alta velocità, opera ancora da inserire nella programmazione governativa tanto che al momento ci si deve accontentare di una linea a tratti non elettrificata ed obsoleta che, insieme con la nautica da riporto, l’assoluta carenza di piani e strategie utili per ospitare le navi da crociera, fa parte di quel sistema di infrastrutture ancora da costruire”.
“Siamo di fronte – rileva Alessandro Nicolò – a numerose opere incompiute di collegamento esterno ed interno che inficiano lo sviluppo e la crescita del territorio. In più, si riscontra la scarsa competitività delle nostre aziende che, pur avendo prodotti di nicchia e tipicità uniche, non riescono ad aggredire il mercato, soprattutto a causa della difficoltà di trasportare le merci. Serve un’azione strutturata e regolamentata a più livelli e bisognerebbe agire su mare-cielo-terra per garantire indifferentemente dal vettore la logistica (su strada, su rotaia, su nave o by air) e, sul fronte delicatissimo dell’assistenza socio-sanitaria, creare le condizioni per arginare l’emergenza delle emergenze: ovvero, l’arrivo incontrollato di migliaia di profughi, che restano ad oggi gli unici veri ‘visitatori’ di una terra bellissima. Altro che rilancio del comparto turistico!”.
“Tutto questo mentre- conclude Nicolò- da Renzi si alza la richiesta ai primi cittadini di essere più incisivi e lavorare di più, senza rendersi conto che senza strumenti e senza essere messi in condizione di farlo, il loro contributo rischia di restare marginale”.