Cartella annullata? Equitalia dev’essere condannata a pagare integralmente le spese Non può essere dichiarata la soccombenza reciproca anche se il contribuente ha perso il primo grado e vinto il secondo
In caso di annullamento giurisdizionale della cartella esattoriale le spese processuali
devono essere liquidate interamente a carico di Equitalia, le cui competenze, com’è
noto, sono state assorbite dal 1 luglio scorso da Agenzia delle Entrate-Riscossione.
Per la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20261 del 22 agosto 2017 è da ritenersi
illegittima la compensazione dei costi di lite anche se il contribuente ha perso
il primo grado di giudizio e vinto il secondo. Una decisione che per Giovanni D’Agata,
presidente dello “Sportello dei Diritti”, rende giustizia a coloro che si
sono visti annullare in sede di processo tributario questi atti impositivi ritenuti
illegittimi, ma spesso hanno ricevuto la beffa di vedersi ingiustamente compensare
le spese di causa, nonostante la declaratoria di nullità. Nella fattispecie, la
Suprema Corte ha accolto il ricorso di un contribuente che, nonostante l’invalidità
della pretesa fiscale, era stato condannato a versare parte dei costi del processo.
In particolare, dopo aver ricevuto la notifica di una cartella esattoriale per il
bollo auto, in primo grado aveva perso, ma tale decisione era stata ribaltata dalla
Commissione Tributaria Regionale di Roma. Come sovente accadeva, i giudici tributari
avevano però compensato le spese di giudizio sulla base di una supposta soccombenza
reciproca tra l’esito del giudizio di primo grado e quello di secondo. Ma il contribuente
non ha gettato la spugna ed ha deciso di ricorrere in Cassazione per vedersi riconosciuto
il diritto a non pagare parte delle spese di giudizio I giudici di legittimità,
in tal senso hanno dato ragione al cittadino ritenendo illegittima tale decisione
e rilevando che nel giudizio tributario, la compensazione delle spese richiede la
concorrenza di altri giusti motivi esplicitamente indicati in motivazione che non
possono essere desunti dal complesso della sentenza, pena la sua cassazione sul punto.
Ma per i giudici di piazza Cavour vi è di più: nessuna ragione giuridica consentiva
alla Commissione Tributaria Regionale di far applicazione della compensazione di
cui all’art. 92 c.p.c., in quanto, la soccombenza reciproca deve sussistere all’interno
del medesimo giudizio, non tra giudizio di primo e secondo grado, tant’è vero che
l’appellante integralmente vittorioso ha diritto non solo alle spese del giudizio
d’appello ma anche alla riforma delle spese del primo grado di giudizio e, quindi,
alla liquidazione delle spese del doppio grado di giudizio. In particolare, ricordano
gli ermellini il principio stabilito dall’ordinanza delle Sezioni Unite n. 2883/14
che «l’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui permette la compensazione
delle spese di lite allorché concorrano “gravi ed eccezionali ragioni”, costituisce
una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla
a un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente
determinabili “a priori”, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice
del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato
su norme giuridiche. In particolare, anche l’oggettiva opinabilità delle questioni
affrontate o l’oscillante soluzione a esse data in giurisprudenza integra la suddetta
nozione, se e in quanto sia sintomo di un atteggiamento soggettivo del soccombente,
ricollegabile alla considerazione delle ragioni che lo hanno indotto ad agire o resistere
in giudizio e, quindi, da valutare con riferimento al momento in cui la lite è stata
introdotta o è stata posta in essere l’attività che ha dato origine alle spese,
sempre che si tratti di questioni sulle quali si sia determinata effettivamente la
soccombenza, ossia di questioni decise».