A 33 anni dalla strage di Via D’Amelio, il ricordo del magistrato Marisa Manzini, “Grazie Paolo, grazie Giovanni”

banner bcc calabria

banner bcc calabria

Sono trascorsi 33 anni dalla strage di via D’Amelio, nella quale persero la vita Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano,  Walter Eddi Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli. Era il 19 luglio 1992 e 57 giorni prima, il 23 maggio, un’altra strage aveva ucciso Giovanni Falcone e la sua scorta.

Ricordare quel giorno mi provoca una forte emozione.

Stavo svolgendo l’uditorato a Torino e come tutti i miei giovani colleghi del DM dicembre 91 attendevo di iniziare la professione per cui avevo studiato tanto. La morte di Giovanni Falcone prima e quella di Paolo Borsellino poi, hanno segnato fatalmente la mia esistenza.

Quelle morti hanno – in me come in altri magistrati che, da li a poco, avrebbero dovuto scegliere la sede dove iniziare a svolgere la loro professione – fatto comprendere che sarebbe stato necessario impegnarci per cercare di modificare il corso delle cose. Dovevamo lavorare per contrastare le organizzazioni mafiose che stavano conducendo una violenta guerra contro lo Stato.

Avrei voluto iniziare la mia carriera in Sicilia. Cosa Nostra era la responsabile di quelle morti (insieme ad altre raffinate menti). Non fu possibile perché i posti vennero occupati tutti dai colleghi siciliani. Allora decisi di individuare come mia prima sede Lamezia Terme, in Calabria, dove il 4 gennaio di quello stesso anno erano stati assassinati il Sovr. della Polizia di Stato Salvatore Aversa e la moglie Lucia Precenzano.

La Calabria è, per molti versi, simile alla Sicilia e, sin da subito, mi sono dovuta confrontare con la violenza di una organizzazione criminale che negli anni ha assunto sempre maggiore potenza: la Ndrangheta. Sono gli uomini come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone che infondono, a tutti i magistrati che si trovano a dover svolgere investigazioni nei confronti delle associazioni criminali che infiltrano e distruggono il nostro meraviglioso territorio, la necessaria speranza e la forza per continuare.

La memoria del coraggio, della tensione etica, del rigore professionale e della carica umana di Paolo Borsellino ci aiutano a proseguire nell’impegno.

Nel giorno in cui ricordiamo e commemoriamo la sua morte, voglio ricordarlo proprio per il suo coraggio, che gli ha consentito, anche dopo l’assassinio di Giovanni Falcone, pur nella consapevolezza che anch’egli avrebbe trovato la morte, di proseguire nelle inchieste senza momenti di ripensamento.

Nei due mesi successivi alla scomparsa del suo collega amico, Paolo ha continuato a rivolgersi alle giovani generazioni,  con la sicurezza che solo da loro puo’ nascere quel movimento culturale che potrà promuovere una società libera  dalle mafie.

Allora voglio ricordarlo con la frase che, più di ogni altra. è diventata il simbolo della lotta contro la mafia e la corruzione. Voglio dedicarla ai giovani calabresi, perché, come credeva Paolo, solo loro potranno promuovere quel risveglio culturale  necessario per sentire “il fresco profumo di libertà, che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.

Grazie Paolo, grazie Giovanni.

Marisa Manzini